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Il paradosso dei grillini: ignorare la storia ma ripeterne tutti gli errori

Guido Vitiello

Di Maio e gli errori cromatici su Cesare Battisti, Casaleggio e i diktat sulle interviste e tutto il sotto-leninismo del M5s

L’ultima balordaggine di Luigi Di Maio, che si è inventato un Cesare Battisti coinvolto nelle stragi, non è meno balorda delle precedenti ma si presta forse a qualche considerazione più raffinata, degna del “raffinato borghese” che ha sedotto Mario Monti a Cernobbio. Scambiare un terrorista rosso per un bombarolo nero non è neppure impuntatura post-ideologica, è orgoglio daltonico. Ma siccome Di Maio non è l’agitatore studentesco che sembra, è il capo neonominato del primo partito italiano, rinfoderiamo i sarcasmi sull’eterno fuoricorso scarso in storia e in grammatica: non possiamo permetterceli. Soffermiamoci piuttosto sul paradosso di un movimento che, ignorando tutto l’ignorabile di storia novecentesca, resta ugualmente impigliato negli strascichi delle sue reti.

 

Mentre l’ombra del centenario della Rivoluzione si avvicina, e con essa i novantacinque anni della marcia su Roma, consiglio di tornare a un libro preziosissimo, che avrebbe meritato un passaggio meno effimero e meno pettegolo nelle cronache: “Supernova. Com’è stato ucciso il MoVimento 5 Stelle”, dei fuorusciti Nicola Biondo e Marco Canestrari. Ne vien fuori il ritratto di un parco a tema totalitario, di una rigatteria dove s’incontrano tutti gli scarti del Novecento in una forma parodistica e ingannevolmente comica (sarà pur vero che la storia si ripete come farsa, ma per chi la patisce c’è poco da ridere; e l’aver trattato il fascismo da “opera buffa” non ha certo aiutato a risparmiarci il ventennio). Ci sono scene grandiose, come quella in cui Gianroberto Casaleggio riceve nel suo ufficio la deputata Giulia Sarti, che era appena stata ospite da Santoro: “Lui si fece trovare con un libro sulla scrivania e dopo i freddi convenevoli iniziò a leggere dalle pagine del volume. L’autore era Lenin e il capitolo aveva come oggetto i dissidenti e le espulsioni dal partito”. La Sarti, che in seguito sarebbe tornata alla disciplina, era stata vittima di un altro cliché dei movimenti rivoluzionari: la guerra fratricida dietro la facciata dell’unanimismo egualitario, l’uso della calunnia per farsi strada nei ranghi del partito mettendo i rivali in cattiva luce presso un capo temuto più che amato.

 

E’ tutto un grande discount del leninismo. Casaleggio, bizzarro discendente dell’intelligencija proletaroide cresciuto però nel sottobosco del terziario, era dedito con perfetto cinismo a un “esperimento di ingegneria politica e sociale” (Gor’kij non aveva forse detto che “le classi lavoratrici sono per Lenin quello che i minerali sono per un metallurgo”?). E il suo ricorso metodico alla menzogna e alla manipolazione emotiva culminò in un documento interno al M5s, datato 2015, che dettava la linea per le comparsate televisive dei parlamentari, qualora il dibattito avesse toccato il tema dell’immigrazione: “Diamo sfogo a rabbia + paura”. Gli autori raccontano che nei suoi ultimi giorni l’ascetico Casaleggio, oltre che malato, era avvilito dall’arrivismo della sua razzumaglia di miracolati, sedotti dalla grande meretrice di Roma; un po’ come il capo bolscevico che, tra un colpo apoplettico e l’altro, aveva denunciato gli “avventurieri e canaglie”, gli “elementi millantatori e chiassosi” e i “carrieristi” infiltrati nel partito. Parabola tipica dell’ingegnere sociale che vuole rifare il mondo daccapo ignorando l’abc della natura umana. Ma la circostanza che il sotto-leninismo di Casaleggio si sia servito di strumenti comici – un ex del Grande Fratello che ha imposto ai parlamentari lo sbiancamento dei denti, una “coach tv” che li ha sottoposti, tra gli incensi, a sedute di ipnosi e Pnl – non ci autorizza a buttarla sul ridere. Questo è un lusso che lasceremo ai posteri.

 

Ora la bottega dei cimeli totalitari ha esposto in vetrina un bambolotto nuovo di zecca, spavaldamente ignaro di tutto ciò che l’ha preceduto. E serve a poco moraleggiare con Santayana, perché chi non conosce la storia e chi la conosce hanno l’identica probabilità di ripeterla. Hanno anche, per fortuna, la stessa chance di combatterla.

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