Virginia Raggi e Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Il disastro Raggi sul bilancio: chiudete gli occhi e immaginate un governo Di Maio

Salvatore Merlo

L'Oref boccia il bilancio di Roma. Il comune dei pasticcioni allo sbaraglio sbaglia a inserire le cifre. Roba da ridere

A pagina settantuno della relazione sulla gestione del bilancio consolidato del comune di Roma, alla voce “crediti”, i ragazzi del M5s invertono un 6 con un 8. Roba di poco conto, direte voi. E che sarà mai? A chi non è capitato di sbagliarsi almeno una volta, componendo il numero di telefono della zia Peppa? Il 6, in fondo, deve aver pensato anche l’assessore al Bilancio Gianni Lemmetti, è parente dell’otto. Eppure, trattandosi di un bilancio di miliardi di euro, ed essendoci una certa apprezzabile distanza tra “sessantotto milioni di euro ” e “ottantasei milioni di euro”, come ben comprenderete la sciatteria è invece risultata catarifrangente, l’errore marchiano, la svista ciclopica, e non solo per ragioni di gigantismo, intendiamoci, ma pure per un fondato e diremmo persino allarmante sospetto che forse, a ben pensarci, riguarda più il dottore oculista che il dottore commercialista.

 

L’Oref – nota per Luigi Di Maio: Oref non significa “Officina Revisioni e Freni”, ma “Organo di Revisione Economico Finanziaria” – è un organismo statutario dell’Assemblea capitolina a cui è conferito l’esercizio della funzione di revisione economico-finanziaria del comune di Roma nell’ambito dei princìpi fissati dalla legge. Questa istituzione di diritto pubblico si riunisce due volte alla settimana in un bel palazzo del centro storico, è composta da tre professionisti sorteggiati ogni nove mesi dall’albo, e venerdì, con diciassette pagine fitte di osservazioni, ha cassato, anzi ha demolito il bilancio di Roma spiegando di non ritenere, citiamo dalle conclusioni, “che le risultanze esposte in bilancio rappresentino in modo veritiero e corretto la reale consistenza economica, patrimoniale e finanziaria dell’amministrazione pubblica di Roma Capitale”.

 

E sarà anche vero quello che diceva un vecchio e saggio ragioniere dello stato ai tempi allegri di Antonio Gava, e cioè: “Dottore, si ricordi che se nella contabilità pubblica si facessero i conti sul serio sarebbe la fine del paese”, insomma sarà certamente vero che compilare un bilancio pubblico è un atto politico più che algebrico, tuttavia, in questo caso, Raggi, Lemmetti e i ragazzi grillini del comune di Roma non vengono rimproverati per essere dei raffinatissimi e cinici operatori di finanza creativa, ma per essere degli impenitenti pasticcioni allo sbaraglio che confondono le somme da dare e da avere, nel rapporto con lo spaventoso e clientelare cosmo delle ventuno aziende partecipate, ed erroneamente gonfiano pure di venti milioni i crediti. E non perché sono furbi, ma solo perché nel battere a macchina si sono sbagliati e hanno invertito le cifre. Roba da divertirsi, o disperarsi.

 

A dire il vero una cosa del genere era già successa, l’anno scorso, quando assessore al Bilancio era l’indimenticabile Andrea Mazzillo, un giovanotto che non risultava nemmeno iscritto all’albo dei commercialisti ma che dopo essere diventato assessore era stato chiamato a tenere un corso all’Università di Cassino, e dunque, per questo, si faceva chiamare “professore”. Alla fine il bilancio passò, fu corretto, ma solo perché in soccorso di Mazzillo era segretamente arrivato un piccolo pool di professori veri, guidati da un ordinario di Economia aziendale, Marco Lacchini. Perseverare, si sa, è diabolico. E la signora Raggi, che con un brivido ci lascia immaginare cosa potrà essere il grillismo a Palazzo Chigi, persevera: ha lasciato di nuovo fare tutto in casa, stavolta dal suo nuovo assessore al Bilancio, Lemmetti, anche questo, come Mazzillo, un vero esperto di conti avendo egli esercitato la professione di cassiere in discoteca nonché in un negozio di biancheria intima (poi purtroppo fallito).

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.