Matteo Renzi e Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

I numeri dell'Europa che va dimostrano che all'Italia serve una grande coalizione

Claudio Cerasa

Gli osservatori internazionali guardano al nostro paese con una certezza: nessun partito può permettersi il lusso di scendere a compromessi con altri partiti non pienamente iscritti nel perimetro dell’apertura europeista 

In definitiva la questione è semplice: è giusto o no, oggi, fermare un treno in corsa? Tra i molti spunti di riflessione contenuti all’interno del Bollettino mensile pubblicato ieri dalla Banca centrale europea – quello, per capirci, che certifica che l’Europa corre, eccome se corre, e che ci dice che nonostante i molti uccelli del malaugurio l’Eurozona corre sempre più veloce e corre più delle aspettative, con un più 2,2 per cento che verrà registrato nel 2017, un più 1,8 nel 2018, un più 1,7 nel 2019 – ce n’è uno molto particolare che ci aiuta a mettere a fuoco un tema che avrà una sua centralità nella prossima campagna elettorale italiana: chi avrà il coraggio di trasformare i successi dell’Europa in un’arma di distruzione di massa per spazzare via le zanzare sovraniste?

 

Senza falsi imbarazzi e senza false modestie, nel suo ultimo Bollettino, per la prima volta la Bce riconosce in modo esplicito che le buone performance registrate negli ultimi anni dall’Europa sono legate anche al successo ottenuto dall’applicazione del punto centrale della dottrina Draghi: sostegno monetario in cambio di riforme strutturali. Attraverso le risposte offerte da un gruppo formato da 55 importanti società europee, che insieme rappresentano circa l’1 per cento dell’occupazione totale dell’area dell’euro, la Banca centrale europea ha confermato nero su bianco “l’importanza delle riforme strutturali come strumento per incrementare il tasso di crescita potenziale e rafforzare la capacità di tenuta dell’economia dell’area dell’euro” e ha messo insieme una serie di suggerimenti basilari per spiegare ai governanti dell’area euro che l’unico modo per non fermare il treno in corsa dell’Europa è non mollare l’approccio di successo utilizzato negli ultimi anni da molti paesi. Ovverosia: scommettere alla grande, e senza titubanze, sul vaccino dell’apertura dei mercati per rendere inoffensivo ogni genere di virus sovranista.

  

La Bce nota che “la maggior parte delle imprese ha indicato che le recenti riforme strutturali hanno avuto un impatto positivo sulle proprie attività commerciali”, ricorda che “le valutazioni positive sono state principalmente correlate agli effetti delle riforme del mercato del lavoro”, aggiunge che l’80 per cento delle imprese ha individuato come priorità “l’impegno per una maggiore flessibilità degli orari di lavoro e un più agevole utilizzo dei contratti temporanei” e conclude la sua analisi con un dato che è qualcosa in più di una considerazione finale. E’, piuttosto, un piccolo e perentorio messaggio politico: “L’85 per cento delle imprese – nota la Bce – ha indicato che l’implementazione delle riforme è stata principalmente ostacolata da considerazioni di natura politica”.

 

La traduzione di questo ragionamento ci porta a mettere insieme alcuni elementi che torneranno utili nei prossimi mesi e che riguardano uno dei temi tabù della prossima campagna elettorale italiana: lo spettro della grande coalizione. La ragione per cui un numero sempre più elevato di osservatori internazionali (e anche nazionali) auspica che paesi come l’Italia non interrompano l’emozione di una grande coalizione anche nella prossima legislatura non è legata solo alla speranza di una non affermazione del grillismo ma è legata a qualcosa di più: alla consapevolezza che mai come oggi nessun partito può permettersi il lusso di scendere a compromessi con partiti non pienamente iscritti nel perimetro dell’apertura europeista. Seppure con mille contraddizioni, oggi in Italia esistono solo due partiti che non gigioneggiano quando parlano di protezionismo, di sovranismo, di globalizzazione, di sburocratizzazione, di pressione fiscale e di apertura dei mercati e né il maggior partito del centrodestra né il maggior partito del centrosinistra hanno al loro fianco partiti con i quali sarebbe auspicabile vederli alleati. Anche per questo, più ci si avvicinerà alla data delle elezioni e più sarà chiaro a tutti che, mentre per un paese come la Germania la grande coalizione è solo una necessità, per un paese come l’Italia la grande coalizione potrebbe essere qualcosa di diverso: una nuova opportunità per provare a non far fermare un treno che finalmente va.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.