Mario Draghi (foto LaPresse)

Perché Draghi sarà il vero protagonista della nostra campagna elettorale

Claudio Cerasa

Nei prossimi mesi l’unica certezza è che lo stress test giusto per misurare l’efficienza dei partiti di governo passa da ciò che ciascun partito sceglierà di fare con l'agenda del presidente della Bce

Prima con le banche, ora con la politica. Ma al centro di tutto c’è sempre un nome: Mario Draghi. Nel linguaggio convenzionale adottato dalla Banca centrale europea, l’espressione “stress test” coincide con un concetto che conosciamo tutti: un duro percorso di accertamento della solidità di un istituto di credito attraverso la simulazione di diversi scenari possibili. Da sempre, la valutazione dell’efficienza di una banca è una prerogativa importante della Bce. Ma nei prossimi mesi il capo della Banca centrale europea sarà protagonista involontario di un altro stress test importante, che questa volta misurerà l’efficienza non più delle banche ma della politica, e soprattutto di quella italiana. Le scelte che Draghi farà nel corso del consiglio del 25 e del 26 ottobre avranno ovviamente un impatto importante sulle elezioni italiane e ci permetteranno di capire se il giudizio che i mercati daranno sulla solidità del nostro paese, a fronte di una riduzione del Qe, diventerà o no un ulteriore ingrediente della campagna elettorale (un conto è avvicinarsi alle elezioni con uno spread pari a 160 punti base, un conto è farlo con uno spread di 100 punti superiore).

 

Ma, accanto alle decisioni relative al futuro dell’acquisto di titoli di stato da parte della Bce, il nome di Draghi avrà un impatto importante sulla campagna elettorale per almeno due ragioni. La prima riguarda l’identità dei partiti di governo, la seconda ragione il futuro del prossimo Parlamento. Nel 2011, la lettera inviata da Draghi e da Trichet all’allora governo italiano venne subita da molti partiti come una sorta di commissariamento del Parlamento. Nel 2018, invece, l’adesione alla dottrina Draghi, dottrina ben sintetizzata nell’idea rivendicata anche la scorsa settimana a Francoforte di “ridurre gli elementi di vulnerabilità dell’Italia con l’implementazione delle riforme strutturali”, potrebbe diventare uno spartiacque importante per tracciare una linea di divisione netta tra i partiti che con responsabilità intendono completare quello che i governi di grande coalizione non sono riusciti a fare negli ultimi sei anni e i partiti che con meno responsabilità intendono smontare pezzo per pezzo quello che i governi di grande coalizione hanno provato a fare. Naturalmente, la continuità con la linea Draghi non sarà esplicitata nello stesso modo virtuoso scelto nel 2015 dal Portogallo, quando i due maggiori partiti di governo sottoscrissero in campagna elettorale un programma da sostenere a prescindere da chi avrebbe vinto le elezioni.

 

Ma per capire in quale campo sceglierà di giocare ciascuna delle forze politiche che si presenterà alle elezioni sarà sufficiente chiedere a ogni candidato premier cosa intende fare con i punti non ancora realizzati della famosa lettera della Bce. Far proprie in toto le parole di Draghi sarebbe forse eccessivo, ma l’idea di sfidare le forze antisistema misurando il loro grado di responsabilità più sui temi concreti (burocrazia, produttività) che sui temi fuffa (vitalizi, uscita dall’Euro) potrebbe essere un’arma micidiale per mettere in luce la fragilità del pensiero populista. Chissà. Nel campo del centrodestra, ma a volte anche in quello del centrosinistra, l’evocazione del nome Draghi è una tecnica utilizzata spesso da Berlusconi per mettere in braghe di tela Matteo Salvini. Il Cav. fa sapere spesso di sognare un Draghi candidato premier (e ogni volta, all’idea, Salvini ovviamente perde per un attimo i sensi). Ma il sogno del Cav. non è mai stato descritto nella sua interezza. Berlusconi sa infatti che in un contesto proporzionale il candidato premier non esiste e per questo, quando pensa a un Draghi proiettato a Palazzo Chigi, lo fa immaginando uno scenario non pre elettorale ma post elettorale. Uno scenario di non governabilità in cui l’unica opzione possibile per seguire la dottrina Draghi anche nella prossima legislatura sarebbe solo una: chiedere al titolare di applicarla direttamente. Può piacere o no, ma nella grande incertezza dei prossimi mesi l’unica certezza è che lo stress test giusto per misurare l’efficienza dei partiti di governo passa anche da ciò che ciascun partito sceglierà di fare con l’unica agenda con cui si può guidare l’Italia: quella firmata da Mario Draghi.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.