Pensionati si abbronzano sul Monte Maddalena (foto LaPresse)

Scontro tra generazioni

Luciano Capone

Quant’è miope una politica che spreca fortune sulle pensioni e non pensa a investire per i giovani

Roma. I dati sull’aumento dell’occupazione dovrebbero spingere la politica a una riflessione sulle priorità immediate e di lungo termine per mettere l’economia su un sentiero di crescita. In cima alla lista della spesa per la prossima legge di Stabilità ci sono due temi: giovani e anziani, decontribuzione per chi entra nel mondo del lavoro e interventi sulle pensioni per chi esce o già è uscito. Nella maggioranza e nel governo ci sono posizioni differenti, in certi casi contrapposte. C’è chi vuole tenere tutto insieme e dare un po’ a entrambe le categorie, c’è chi vuole aiutare i pensionati e c’è chi vuole invece puntare sul lavoro (“Sarebbe un errore scegliere come priorità la previdenza rispetto all’occupazione giovanile”, ha dichiarato il viceministro dell’Economia Enrico Morando). Ma la sensazione è che quanto più ci si avvicina alla stesura della manovra tanto più si intensifica il pressing sulle pensioni e si fa sentire il peso elettorale degli anziani.

  
È emblematico in questo senso l’incontro tra il ministro del Lavoro Giuliano Poletti e i sindacati dei lavoratori tutto centrato sulle pensioni. Per disinnescare il derby tra generazioni si è parlato anche dei bisogni dei giovani, in assenza di giovani, ma sempre in ambito pensionistico. L’idea è quella di una pensione minima da 650 euro per le nuove generazioni che hanno carriere discontinue e pochi contributi. La promessa per i giovani non ha costi attuali, perciò piace ai sindacati, è un debito implicito che si manifesterà tra qualche decennio, e si scaricherà sui contribuenti futuri, ovvero i giovani di domani.

  
Dall’altro lato, in cambio di questo omaggio a carico dei posteri, i sindacati vogliono passare all’incasso chiedendo provvedimenti per la categoria che sta a loro più a cuore (non i lavoratori, ma i pensionati), come il blocco dell’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita, che costerebbe circa 1,5 miliardi. Sembrano pochi soldi, ma per fare un paragone è una cifra quasi pari a quella che il governo ha stanziato per il Reddito di Inclusione per aiutare 2 milioni di persone in povertà assoluta (con altri 2,6 milioni che ne restano fuori).

  
È naturale che la politica non possa ignorare la logica del consenso elettorale, ma a un certo punto, oltre a ciò che è conveniente, una classe dirigente lungimirante dovrebbe pensare a ciò che è giusto. E ci sono due motivi per cui tutti gli sforzi e tutte le poche risorse dovrebbero essere concentrati su giovani e lavoro. Il primo è dato dai numeri sull’occupazione: in Italia su 60 milioni di abitanti ci sono 23 milioni di occupati e 23,5 milioni di pensioni percepite da 16,5 milioni di pensionati). Il buon senso, rispetto a un paese che storicamente ha uno dei tassi di occupazione più bassi del mondo sviluppato, suggerirebbe l’opportunità fare in modo di aumentare il numero di persone che lavorano, anche perché sono quelle che pagano le pensioni.
   

L’altro motivo è di equità. I pensionati non sono solo tanti, ma stanno anche relativamente meglio. Sono la fascia che è uscita meglio dalla crisi. I dati Istat dicono che dal 2007 la povertà assoluta è più che quintuplicata per i giovani (dall’1,9 a oltre il 10 per cento), mentre è diminuita per gli over 65 (dal 4,8 al 3,9 per cento). Negli ultimi 20 anni il reddito e la ricchezza di giovani e anziani hanno imboccato direzioni opposte, in crescita per i nonni e in calo per i nipoti. E questo per un sistema di welfare totalmente sbilanciato a favore dei più anziani. L’Istat non solo dice che nel nostro paese più che altrove, “gran parte dell’azione redistributiva è svolta dai trasferimenti pensionistici”, ma evidenzia come per i giovani il ruolo dello stato sia una sciagura: dopo l’intervento pubblico (il mix di tasse e benefici) “per le fasce più giovani della popolazione aumenta il rischio di povertà”.

  
Concentrare le risorse sui giovani non è solo un investimento sulla crescita economica e sul futuro del paese, ma anche un intervento per raddrizzare un sistema ingiusto che crea problemi nel presente.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali