Gli inciampi di Appendino sulla cultura, che perde anche il Fringe Jazz Festival

David Allegranti

Così nel capoluogo piemontese la cultura è diventata un problema

Roma. Torino perde un’altra manifestazione culturale. Stavolta è il Fringe Jazz Festival, che abbandona il capoluogo piemontese dopo cinque edizioni. Destinazione: Firenze, dal 13 al 17 settembre. “Sulle rive dell’Arno e con l’aiuto di tantissimi partner ed associazioni fiorentine porteremo quindi un modello di successo che con tutta la nostra forza volevamo veder andare avanti”, spiegano gli organizzatori, che adotteranno lo stesso format: solo eventi gratuiti, collaborazioni tra artisti internazionali e musicisti del territorio, e le “Night Towers”.

 

L’anno scorso Francesco Astore, tra gli organizzatori del festival, raccontò di aver inutilmente provato a parlare con l’amministrazione di Chiara Appendino, ma “alla richiesta di incontro nessuna risposta ci è stata ancora data: a prescindere da qualsiasi punto di vista sarebbe stato almeno educato dirci ciao e grazie”. E ciao, adesso, lo dice proprio il Fringe. Un giorno magari il festival tornerà a casa. “Torino – dice oggi Astore – è la mia città e ben conosco il suo bellissimo istinto materno che vorrebbe tenere vicino a sé tutti i suoi ‘figli’, ma un progetto per essere forte deve sempre raccogliere nuove sfide, cambiare, farsi strada nel mondo e poi riportare a casa nuove competenze ed idee”.

 

Intanto però è un’altra occasione mancata, dicono alcuni torinesi sulla pagina Facebook del festival, costretti alla trasferta toscana. Insomma, la cultura a Torino è diventata un problema. La mostra su Manet che si sarebbe dovuta tenere quest’anno è saltata ed è stata organizzata a Milano; la Appendino dette la colpa alla presidente della Fondazione Musei, Patrizia Asproni, che alla fine si dimise in polemica con l’amministrazione. “Non è lei che mi caccia”, spiegò la Asproni. “Sono io che mi dimetto. Non ci vado, non ce n’è bisogno. Tolgo il disturbo. E’ un problema di mancato rispetto delle competenze e del lavoro svolto. E ormai anche di profonda sfiducia in questa amministrazione”. Slam, sbam, ciao anche in questo caso.

 

Per non parlare della festa per i 25 anni della Lonely Planet in Italia, pubblicata dalla casa editrice piemontese Edt, trasferita da Torino a Bergamo. “Mesi fa – raccontò il direttore commerciale della casa editrice – abbiamo scritto alla sindaca Chiara Appendino e al Comune di Torino, ma non ci hanno ancora fissato un incontro. Mentre a Bergamo il sindaco Giorgio Gori, forse perché puntano sul loro aeroporto, si è dimostrato subito molto interessato”. L’amministrazione a cinque stelle nei mesi scorsi ha dato un orientamento preciso alla propria politica culturale: tagliare, tagliare, tagliare. L’anno scorso la città aveva investito 21 milioni; nel 2107 il finanziamento è stato inizialmente tagliato di quasi il 30 per cento, pari a 5,8 milioni, poi una “manovrina” successiva ha ridotto i tagli. Ad aprile, il blog Gabo su Torino aveva dato un’occhiata al bilancio, spiegando l’entità e la qualità delle riduzioni: “Lo stanziamento complessivo del Comune per questo settore del tutto accessorio scende dai 24 milioni e 965.280 euro del 2016 ai 18.278.314 del 2017. Di questa cifra, la quota riguardante il ‘sostegno agli enti’ – i soldi per i musei, i teatri, il cinema, i festival la musica, le mostre e quant’altro faceva cultura in questa città – cala (come si legge in tabella) da 22.271.343 euro nel 2016 a 15.994.571 euro nel 2017. Circa il 28 per cento in meno”. I tagli poi, appunto, sono stati ridotti ma sono comunque rimasti. Come quelli alla Fondazione Torino Musei, al Museo del Cinema e al Teatro Stabile. A non subire sforbiciate è stato invece il Salone del Libro che ha conservato i suoi 700 mila euro. In quest’ultimo caso, il trasloco a Milano voluto dall’Associazione Italiana Editori, non ha funzionato. “Tempo di libri” ad aprile ha chiuso con meno di 80 mila spettatori, mentre il Salone di Torino ha chiuso a maggio con 165 mila biglietti staccati in totale, di cui 140 mila proprio al Lingotto. Trentottomila visitatori in più rispetto all’anno scorso. La tradizione ha retto, per gran merito del direttore del festival, lo scrittore Nicola Lagioia. In questo caso alla Appendino è bastato solo non toccare nulla.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.