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Guida breve alle nuove riserve della Repubblica anti populista

Claudio Cerasa

Gentiloni, ma anche Minniti, Maroni e Tajani. Perché 76 mesi di governi basati su unità e trasversalità dovranno proseguire

Dal novembre del 2011 a oggi la politica italiana, in modo non sempre volontario, ha messo al centro della sua agenda di governo due parole che difficilmente spariranno nei prossimi duri mesi di campagna elettorale. Due parole chiare: unità e trasversalità. La miscela tra questi due termini ha rappresentato un collante unico per gli ultimi quattro governi avuti dal nostro paese e alla fine di questa legislatura i mesi continuativamente vissuti dall’Italia sotto una grande coalizione saranno la bellezza di settantasei: sei anni interi (2012, 2013, 2014, 2015, 2016, 2017) e due mesi nel 2011 più altri due nel 2018. Nonostante la grande coalizione sia un mostro politico dotato in modo naturale di una sua impopolarità, è altamente improbabile che nella prossima legislatura ci sia un governo dotato di caratteristiche molto diverse rispetto a quelle osservate negli ultimi anni. E alla luce di questo ragionamento elementare, si capisce bene come a pochi mesi dalle prossime politiche all’interno dei vari partiti che si candidano a governare il paese sia iniziato un lento, progressivo e naturale processo di scouting finalizzato a individuare volti capaci di rappresentare i due princìpi che in un modo o in un altro hanno guidato il paese dal 2011 a oggi, ma con l’aggiunta di un elemento in più: non solo unità e trasversalità, anche discontinuità. L’assunto che si trova all’origine di questa particolare attività di scouting, attività spesso non governata neppure dai vari leader di partito, è che al prossimo giro il Parlamento non avrà una maggioranza naturale a cui affidare la cloche del governo e sulla base di questo presupposto non è secondario iniziare a ragionare già da oggi su quelli che potrebbero essere dei profili utili sui cui scommettere un istante dopo la certificazione dell’ingovernabilità del paese – sapendo che gli alti costi a cui saranno sottoposti i candidati alle elezioni nella prossima campagna elettorale saranno un incentivo importante per evitare di tornare a votare e per trovare a tutti i costi una maggioranza per fare partire un governo (al Senato ci sono le preferenze e per i candidati a Palazzo Madama, stante la legge elettorale di oggi che prevede collegi grandi come una regione, andare in giro per farsi conoscere sarà una spesa non da poco). Per questo, anche per questo, i veri protagonisti di questa estate politica non sono i leader di partito, non sono i Renzi, i Berlusconi, i Salvini, ma sono coloro che meglio di altri rappresentano una sintesi possibile tra i vari tipi di Italia che potrebbero incontrarsi dopo le prossime elezioni. Il profilo di Paolo Gentiloni, ovviamente, è quello che meglio di altri sintetizza il passaggio del nostro paese dall’epoca delle rottamazioni a quella delle mediazioni. Ma accanto al volto trasversale e unitario dell’attuale presidente del Consiglio ce ne sono altri che per ragioni diverse rappresentano delle alternative possibili per guidare un’Italia che forse un giorno ci sarà: Marco Minniti, Antonio Tajani, Roberto Maroni. Le storie sono diverse tra loro ma in ognuno di questi profili c’è la proiezione di uno scenario che potrebbe maturare all’indomani delle prossime elezioni e che metterebbe al centro del dibattito politico la necessità di allargare, rispetto a oggi, il perimetro della maggioranza di governo, trovando un modo per mettere insieme non solo Forza Italia, il Partito democratico e qualche anima in pena del centro ma anche la Lega – su un modello già sperimentato alla Camera lo scorso 27 maggio, quando in commissione Bilancio l’emendamento che ha sostituito i voucher è stato votato non solo dal Pd ma anche da Forza Italia, Ap, Ala, Scelta civica e la Lega.

 

E’ uno dei grandi temi dell’estate, che naturalmente acquista una sua rilevanza particolare nei mesi in cui il terrorismo di matrice islamista potrebbe tornare a far tremare con continuità l’Europa: oltre Gentiloni, quali sono i volti che potrebbero mettere insieme le tre caratteristiche che abbiamo descritto? Da tempo, è noto, Marco Minniti, molto stimato dal presidente della Repubblica e conosciuto ormai in tutte le cancellerie d’Europa, ha assunto la fisionomia del ministro unico della nazione e il responsabile dell’Interno sa di godere della stima non solo dei partiti che oggi appoggiano l’attuale maggioranza (Berlusconi stravede per lui) ma anche di quelli che si trovano ai margini, dalla sinistra esterna al Pd fino alla Lega. Specularmente, nel centrodestra i volti che per ragioni diverse suscitano consensi trasversali, e che sono destinati a diventare sempre più centrali nel caso di un’affermazione significativa del centrodestra, sono da un lato Roberto Maroni e dall’altro Antonio Tajani. Entrambi i nomi, anche qui per ragioni diverse, sono il simbolo di un’alternativa istituzionale al populismo. Tajani, come ha ricordato ieri Repubblica, da presidente del Parlamento europeo rappresenta in modo genuino ciò che il centrodestra berlusconiano aspira a essere fino in fondo da qui alle prossime elezioni, ovvero un partito di puro buonsenso merkeliano capace di mostrarsi perfettamente alternativo a ogni genere di istinto populista. Tajani è in un certo senso il Gentiloni di Berlusconi e la carta del presidente del Parlamento europeo potrebbe essere spesa nella prossima legislatura in caso di un contestuale e clamoroso successo di Forza Italia e di un clamoroso flop del Pd (Tajani non è amato da Salvini, che non lo ha votato come presidente del Parlamento europeo, ma lo stesso Salvini due anni prima, da europarlamentare, lo aveva votato come vicepresidente del Parlamento europeo, mentre entrambi i governatori della Lega, Maroni e Zaia, hanno una grande stima del Gentiloni del Cav.). In questa piccola carrellata estiva, il nome finale da seguire con attenzione è quello di Roberto Maroni, attuale governatore della Lombardia, che nonostante le smentite di Berlusconi è, come racconta spesso Umberto Bossi agli amici più cari, il vero volto su cui intende scommettere il capo di Forza Italia nel caso in cui il centrodestra si ritrovasse al prossimo giro con numeri alti in Parlamento, non sufficienti però per far nascere un governo. Unità e trasversalità, ma forse anche discontinuità.

Nell’estate in cui la lotta al terrorismo da un lato e la gestione dei migranti dall’altro portano in modo quasi naturale gli elettori a osservare con diffidenza i professionisti della fuffa e i campioni della chiacchiera populista, i nomi da seguire con attenzione non sono quelli che si trovano alla guida dei partiti ma sono quelli che si trovano in una posizione più defilata, più laterale, più silenziosa, con un piglio e un profilo più legato alla necessaria mediazione che alla possibile rottamazione.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.