Matteo Salvini (foto via Twitter)

Il nuovo miracolo del Cav.? Mollare Salvini

Salvatore Merlo

Non si può dirozzare, spulciare né spidocchiare. Non è Bossi. È inutile

Dice che quando andrà al governo toglierà la scorta a Roberto Saviano, ché gli sta antipatico. Quindi, soddisfatto della sparata, va a farsi un selfie in discoteca, al Papete, a Milano marittima, dove si sbronzano i ragazzotti del Giambellino, e lo pubblica su Facebook. Subito un’utente prosperosa gli scrive: “Già ti stimavo prima… Ora ti lovvo alla follia”. E la cosa deve ringalluzzirlo perché, vitellone padano in costume da bagno, il cocktail in mano e la panza di fuori, in un attimo offre generose perle di saggezza sociologica: “Basta stare un’ora in spiaggia per capire quanti abusivi fanno concorrenza sleale ai commercianti italiani”.

  

 

Poi arriva il giorno in cui scopre a modo suo la letteratura, i libri, insomma quelle cose che si usano per pareggiare le gambe del tavolo traballante in casa di zia Pina. Eccolo dunque che va a incontrare Mauro Corona, lo scrittore di cui deve aver visto tutti i libri in televisione, l’autore eremita che ha inseguito con un’ascia due ragazzi che gli erano entrati in casa. “Grande Mauro!”, gli dice. “Così si fa!”, lo esorta. D’altra parte, dopo aver chiesto l’arresto di Giorgio Napolitano – ma solo qualche settimana prima che quelli del suo partito affiggessero i manifesti con scritto “il fascismo ha reso grande l’Italia” – lui aveva riunito le agenzie di stampa per consegnare loro queste immortali parole: “Se uccido un rapinatore voglio una medaglia”. Poi: “I campi rom vanno rasi al suolo”. E ancora: “Ci vuole la castrazione chimica”. Ma non basta: “Chissà che cosa avrebbero fatto a questo SCHIFOSO ambulante, abusivo e clandestino nel suo Bangladesh…”. E devono essere tutte cose che lo eccitano.

  

Anche Bossi indossava vestiti improbabili, si faceva foto in canottiera e in piscina, regalava sparate insurrezionali bergamasche, falloforie, sgrammaticature civili, e atmosfere un tempo relegate all’osteria, allo spogliatoio o al dopolavoro del fascio. E insomma, senza doversi necessariamente spingere al paradosso di Kraus, secondo il quale nulla incita all’imitazione quanto il cattivo esempio, non c’è alcun dubbio sul fatto che l’inventiva, diciamo pure il recondito genio di Matteo Salvini, si riveli in un patetico tentativo di clonazione o di replay. Ma è proprio qui che sorge un problema. Silvio Berlusconi andava d’accordo con Bossi perché per Bossi – che ha portato l’odore del suo sigaro sin dentro i ministeri e nei Palazzi del potere romano – il dito medio non era un fine, ma un mezzo per arrivare al governo.

 

Al contrario, per Salvini, il dito medio sembra il punto di partenza, ma anche il punto di arrivo. Come seguisse una specie di parafrasi biblica: rutto per rutto. Dunque la domanda è improrogabile. Ma Berlusconi, che è così pignolo da essersi ancora una volta sottoposto a un trattamento dimagrante in vista delle elezioni, lui che impartisce prescrizioni sull’aspetto, la barba e l’alito, insomma lui che con il passare degli anni vede aumentare capelli e cura dell’estetica, davvero si vuole alleare con Salvini? Se lo mette in casa? Ma l’ha guardato bene? (qui c’è una foto). Forse lasciarlo in un angolo a sbraitare indecenze, isolare la sguaiataggine che condivide con Grillo, sarebbe la vera riforma berlusconiana verso la civiltà, molto più importante del maggioritario o della riduzione delle tasse, molto più significativo del pareggio di bilancio e persino del milione di posti di lavoro.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.