Perché il pregiudizio anti-vaccini e l'anticasta si tengono assieme
I no-vax non si fidano di quel che dicono i medici così come dei politici. E invocano libertà di scelta, magari attraverso referendum, per stabilire cosa è una malattia e cosa no
Roma. Tre deputati del Pd sono stati aggrediti da alcuni manifestanti no-vax davanti a Montecitorio, dopo il voto sul decreto sui vaccini obbligatori, diventato legge. Gli insulti non devono stupire e sono coerenti con la ferocia antiscientifica portata avanti da un pezzo dell’establishment italiano a caccia di facili consensi. Oltretutto, la diffidenza nei confronti del sapere è consustanziale alla deriva antiparlamentare che una parte del sistema politico italiano conduce. Non ci si fida dei medici così come non ci si fida dei politici.
“La società – scrive Frank Furedi nel suo saggio ‘Che fine hanno fatto gli intellettuali?’ – si mostra diffidente verso la ricerca del sapere, e spesso non ha fiducia in quanti dicono di sapere. Esiste un diffuso sospetto nei confronti dell’autorità scientifica, e quanti cercano di estendere i confini di tale conoscenza sono spesso accusati di ‘giocare a fare Dio’. Questo tipo di accuse non si rivolge solo alle persone impegnate in aree controverse come la ricerca genetica o la nanotecnologia, ma anche a quanti cercano di pervenire a una migliore comprensione della salute umana in generale”. Medici compresi, purtroppo. I no-vax non si fidano di quel che dicono i medici, sono convinti che Big Pharma li stipendi tutti, insieme ai politici. Invocano libertà di scelta, magari pure attraverso referendum per stabilire che cosa è una malattia e che cosa non lo è. Eppure, dice al Foglio Luciano Violante, da poco in libreria con “Democrazie senza memoria” (Einaudi), “la libertà di scelta in queste materie non tiene conto dei danni che si recano a terzi. Chi la invoca sui vaccini, perché non la chiede anche per le cinture in auto o il casco in motocicletta? Il pregiudizio antiscientifico è la cifra del populismo contemporaneo. Tutto ciò che serve a influenzare il comportamento in termini positivi, come la scienza, viene visto negativamente e dipinto come Potere con la p maiuscola. Senza però la capacità di distinguere quello abusivo da quello fondato su capacità scientifiche. Pensiamo al caso di Ilaria Capua o agli insulti a Rita Levi Montalcini. Questo è un atteggiamento primitivo, antiscientifico, da ‘Signore delle Mosche’. Una società civile si regge invece sul sapere scientifico. C’è però chi pensa, come quel comico, che possa esistere un ospedale in cui uno vale uno, in cui rifiutare un medico per scegliersene un altro o decidere di usare la flebo al posto della pillola. Solo che alla fine i pazienti, nell’ospedale uno vale uno, muoiono…”.
Chi appartiene alle istituzioni ha molte responsabilità. Così come ce le ha il giornalismo, al quale capita in casi come questo, di procedere per tesi, con l’obiettivo di dimostrare una teoria vantando i crismi della presunta imparzialità. E’ il peggiore possibile, perché finge obiettività; a questo punto meglio un giornalismo decisamente schierato, con cui si può anche non essere d’accordo, ma trasparente negli obiettivi. Tuttavia, schierati o no, laddove non si parla di politica o altro, ma di salute, c’è poco da fare: non tutti sono scienziati, quindi non tutti – spiace dirlo ai cultori della democrazia diretta – sono sullo stesso piano. Come disse Nanni Moretti in una storica scena di “Sogni d’oro”: “Parlo mai di astrofisica io? Parlo mai di biologia io? Parlo mai di neuropsichiatria? Di botanica? Di algebra? Io non parlo di cose che non conosco. Parlo mai di epigrafia greca? Parlo mai di elettronica? Parlo mai delle dighe, dei ponti, delle strade? Io non parlo di cardiologia, io non parlo di radiologia. Io non parlo delle cose che non conoscoooooooooo”.
Antifascismo per definizione
Parlare di patria è paccottiglia nostalgica e un po' fascista? Non proprio
cortocircuiti Nimby