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Non lo lasciano in pace, e alla fine Pisapia potrebbe lasciare loro

Redazione

Il leader di Campo progressista è imbarazzato dai compagni di strada della sinistra. Il Pd lo coccola. Ma lui è riluttante su tutto. Gli errori diplomatici di Renzi

Roma. E un po’ dicono sia colpa di Matteo Renzi, che quando lui aveva deciso di non ricandidarsi a sindaco di Milano prese a fregarsi le mani, si rivelò sollevato dalla notizia, e lo lasciò andare via con un po’ di supponente freddezza, “in quell’occasione Matteo non capì che Pisapia poteva essere una risorsa per noi. Avremmo anche potuto cercare di portarlo al governo. E invece niente. Certo non era un renziano, non era dei nostri, ma era un vincente di sinistra (cosa rara)”, dice adesso un parlamentare del giro di Renzi. Così adesso, mentre Giuliano Pisapia non riesce neppure a far parte del se stesso che ha inventato nelle ultime settimane perché troppo gli fa schifo la compagnia che ha radunato, mentre insomma il leader di Campo progressista fa un passo avanti e mezzo di lato, e mentre Rossi, Speranza, Fratoianni, tra i frizzi e i lazzi, non smettono di ricordargli di non essere la brigata di giovani che lui aveva sognato, adesso nel Partito democratico non pochi pensano che Pisapia dovrebbe entrare nel Pd. E dunque abbandonare i petulanti, lasciare i vecchi Bersani e D’Alema al loro destino. Dice per esempio Andrea Romano, deputato renziano: “Queste settimane dimostrano che Pisapia è un gentiluomo che si è trovato circondato da persone che sono più distanti da lui di quanto non sia il Pd di Renzi. Tanto che se la prendono addirittura con la sua buona educazione, con gli abbracci a Maria Elena Boschi. Per lui le porte del Pd sono aperte. E’ ovvio”. Ma perché Pisapia non è già nel Pd? Un po’ è colpa di Renzi, come si è detto. Ma pure dei consiglieri di Pisapia, del suo ambiente, forse persino dei suoi amici.

 

E c’è stato infatti un momento, dopo la candidatura di Beppe Sala a Milano, in cui forse per tarda resipiscenza il Pd di Renzi bussò alle porte dell’ex sindaco per capire se fosse disponibile a entrare nel partito. Non si sa bene con quanta convinzione venne portata avanti questa manovra, ma si sa solo che l’ambasciatore fu Graziano Delrio, allora ministro vicinissimo a Renzi, e che andò male. Pare infatti che Delrio, sbagliando del tutto approccio, e trattandolo come un cacicco qualsiasi a cui vanno proposti posti e scranni per i sodali, se lo fosse perso l’ex sindaco riluttante, che aveva rinunciato a candidarsi nella sua città, e che persino adesso dice di non voler entrare in Parlamento. E certo, in quei mesi di quasi due anni fa, nelle scelte che tennero Pisapia fuori dal Pd, pesarono anche le inclinazioni dell’“ambiente” frequentato da Pisapia, forse i consigli di Gad Lerner, dice qualcuno, forse la sensibilità di Cinzia Sasso, la moglie.

 

Da allora a oggi sono cambiante alcune cose. La prima è che attorno a Pisapia si sono aggregati i fuoriusciti dal Pd, i Rossi e gli Speranza, i Bersani e gli Stumpo, che fecero il governo con Berlusconi, che votarono il Jobs Act di Renzi, ma che quasi considerano Pisapia un traditore perché si era espresso favorevolmente al referendum e perché, alla festa dell’Unità, abbraccia Maria Elena Boschi. E insomma Pisapia si dimostra riluttante nella sua discesa in campo, anche perché non è entusiasta di questi compagni di gioco. Ma questo è sufficiente a immaginare che l’ex sindaco di Milano possa entrare nel Pd? Probabilmente no. Anche se nel partito di Renzi – chissà quanto credendoci (si vedrà) – sono in tanti a esprimersi con parole di stima e d’invito nei confronti di Pisapia. “Magari venisse con noi”, dice un senatore del Pd, “ma Renzi lo soffrirebbe. E lui si scoccerebbe presto. Alla fine, vedrete, Pisapia non solo non entrerà nel Pd, ma lascerà pure orfani Bersani, Speranza e D’Alema”.