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In difesa del privilegio in politica. Ribelliamoci alla fuffa anti casta

Claudio Cerasa

Arriva in Parlamento la legge anti vitalizio. La propone il Pd, la sogna il Movimento 5 stelle e forse persino il Cav. Storia e ragioni di un orrore culturale che alimenta la delegittimazione del Parlamento e che ci farà vivere una settimana da Grillo, con l’idea che la politica sia a costo zero

Nella primavera del 2003, il regista americano Thomas Peter Shadyac diresse un film molto divertente interpretato da Jim Carrey, Morgan Freeman e Jennifer Aniston. Il titolo del film lo ricorderete tutti – “Una settimana da Dio” – e nello sceneggiato Morgan Freeman, nei panni del Creatore, concede a Jim Carrey, nei panni di un giornalista con una vita molto complicata, di trascorrere una settimana da dio. Quattordici anni dopo, la storia di quel film ci ritorna utile per descrivere, in un titolo semplice e immediato, il senso dell’incredibile settimana politica che si apre da oggi e chissà quando finirà: una settimana da Grillo. Con ogni probabilità, salvo rinvii legati al dossier sui vaccini, domani arriverà a Montecitorio una legge, presentata dal deputato del Pd Matteo Richetti, nuovo uomo simbolo della comunicazione Pd, finalizzata a combattere la piaga insostenibile dei “vitalizi” parlamentari. I vitalizi in realtà non esistono più dal 2012 (dettagli, no?) e tutti coloro che sono diventati deputati o senatori a partire da quella data hanno pensioni da parlamentari calcolate con metodo contributivo (non più retributivo) e dunque legate a quanto ciascun onorevole ha versato durante gli anni del suo mandato. Ma presentare una legge per rivedere le pensioni dei parlamentari non poteva essere sufficiente – tra poco arriviamo al punto – e così la proposta di legge firmata Richetti ha introdotto un altro principio: il ricalcolo retroattivo dei vecchi vitalizi parlamentari, quelli previsti dalla vecchia normativa.

 

La normativa era certamente imperfetta (consentiva anche a chi era stato parlamentare per poche ore di ottenere un vitalizio) ma per quanto fosse imperfetta, la scelta di agire su un diritto acquisito (nel nostro ordinamento il principio generale di irretroattività della legge stabilisce che nessuna regola debba avere effetto sul passato, ma sono dettagli no?) si porta con sé una serie di problemi non da poco, non ultimo quello dei ricorsi che potrebbero essere fatti contro tutti coloro che ancora oggi godono di una pensione retributiva, ovvero di un assegno calcolato sulla media degli ultimi anni di retribuzione e non sui contributi versati tutti gli anni. Dal punto di vista tecnico, dunque, la legge è un disastro. Ma la ragione per cui oggi ci occupiamo di questa legge non ha niente a che fare con la componente tecnica ma ha a che fare con la componente culturale che questa legge si trascina dietro, e che ci permette di dire con sicurezza che al centro della legge “contro i vitalizi” non c’è solo il vitalizio: c’è la condensazione di uno spirito anti parlamentare che da anni si muove come una ruspa sul corpo inerme e complice della politica. Uno spirito anti parlamentare – chiamiamo le cose con il loro nome – che da anni si manifesta in modo più o meno sfumato e che al centro ha una parola che riesce a unire le forze politiche di ogni colore persino più della lotta al terrorismo: la guerra contro i “privilegi” della politica.

 

In un paese normale, oggi, ci sarebbe una classe dirigente
e una pubblica opinione che avrebbero la forza e il coraggio
di ribellarsi alla distruzione progressiva della democrazia rappresentativa. In Italia, purtroppo, la classe dirigente con l’opinione pubblica ha scelto una strada diversa
e ha deciso di essere complice di questo orrore

Questa guerra, o battaglia se volete, negli ultimi dieci anni è stata combattuta con intermittenza costante e nel giro di poco tempo ha registrato un salto di qualità importante. La battaglia oggi non è più solo contro qualche auto blu di troppo o qualche (vero) spreco della politica ma è contro qualcosa di più importante: il diritto di coloro che rappresentano gli elettori in Parlamento a essere considerati cittadini non come gli altri. In fondo, è il principio che si trova dietro l’idea dell’“uno vale uno”. In fondo, è il principio della politica intesa genericamente come una grande “casta”. In fondo, è il principio che si ritrova dietro un’idea genuinamente e sobriamente sintetizzata da Beppe Grillo in un comizio del 2013: “Se al Qaeda viene qui, gli diamo le coordinate per bombardare il Parlamento”.

 

Negli anni successivi abbiamo scoperto che per fortuna il Movimento 5 Austerlitz sulle coordinate geografiche non dà sempre il suo massimo ma purtroppo abbiamo appreso che a quattro anni da quelle dichiarazioni da ambulanza di Grillo quell’idea ha trovato una sua traduzione plastica. La guerra assoluta contro la casta. La guerra generica contro i vitalizi. La guerra indiscriminata contro gli assurdi privilegi della politica.

Una guerra che già in questi mesi ha mostrato il volto più osceno della politica italiana – quando alla Camera l’Ufficio di presidenza di Marina Sereni ha introdotto un contributo di solidarietà a carico di chi percepisce i vitalizi più alti, i grillini, per far vedere che si trattava di un’operazione di facciata, hanno fisicamente assediato e poi occupato la sala dove si riunisce l’ufficio di presidenza, scontro fisico con i commessi compreso, una roba mai successa neanche sotto il fascismo. Una guerra che, in tono certamente più sfumato rispetto al Movimento 5 stelle, il Pd, oggi, ha scelto di fare propria e che potrebbe essere fatta propria non solo dal Movimento 5 Austerlitz ma anche da Forza Italia (Mariastella Gelmini ha già sottoscritto la legge Richetti e anche Laura Ravetto ha già votato il testo in commissione).

 

E’ comprensibile che in un paese schiavo della dottrina dell’antipolitica i partiti cerchino un modo per evitare di essere travolti dallo tsunami anti casta. Non è comprensibile però che in un paese come l’Italia non ci sia nessuno che abbia il coraggio di dire la verità, di descrivere il mondo per quello che è e dire che per chi fa politica avere dei privilegi non è solo un diritto ma è un dovere che aiuta a difendere ciò che è la democrazia.

In questa settimana da Grillo, tutti i parlamentari che voteranno sì alla legge anti vitalizi lo faranno pensando prima di tutto a un blog di un clown che in questo modo, di fronte al voto contro “i privilegi della politica”, sarà forse più clemente con gli sventurati politici che faranno campagna elettorale contro Beppe Grillo (“A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro che ti epura”, diceva anni fa Nenni, con discreto anticipo rispetto alla legge Richetti). Penseranno a questo ma nel nostro piccolo ci permettiamo un consiglio: cari parlamentari, prendete coraggio, dimenticate il blog, recuperate un grande discorso fatto nel 1982 a Londra da Nilde lotti, allora presidente della Camera dei deputati, durante la conferenza dei presidenti delle Assemblee parlamentari europee Londra, e imparatelo a memoria. E prendete fiato.

 

“Tutte, o quasi, le Costituzioni degli stati moderni presentano, secondo uno schema più o meno simile, un complesso di istituti che, variamente denominati (immunità, privilegi, prerogative, guarentigie), ruotano attorno alla netta affermazione dell’autonomia e dell’indipendenza del Parlamento quale massima espressione della sovranità popolare e organo centrale della struttura dello Stato. Si tratta di istituti che affondano le loro radici in epoca medievale, evocando le lotte (a partire dal XIV secolo in Inghilterra) per affermare le prerogative delle Assemblee elettive rispetto al sovrano, e che hanno assunto nuovo significato negli ordinamenti costituzionali moderni derivati dalla Rivoluzione francese e dalla teoria della separazione dei poteri. Esperienze storiche a noi più vicine hanno poi radicato con maggior forza nella coscienza comune tali istituti quando lo scontro politico è divenuto più aspro, sboccando in certi casi in regimi dittatoriali… Non segno esteriore della sovranità popolare, né privilegio del potere, le immunità parlamentari rispondono ancora oggi all’esigenza di tutelare l’indipendenza dell’organo, che è la massima espressione democratica della sovranità, da qualsiasi ingerenza. Tale esigenza, anzi, diviene ancora più pressante per la complessa articolazione e diffusione del potere che una moderna democrazia richiede… Le prerogative parlamentari, considerate nel loro complesso sistematico e cioè l’autonomia regolamentare, il potere di auto-organizzarsi, il principio degli interna corporis, l’autonomia finanziaria e contabile, il sistema di immunità personali e di sede, la verifica dei poteri e la stessa indennità parlamentare, sono tutti istituti che fanno corpo per assicurare, con disposizioni quasi sempre di rango costituzionale, lo spazio necessario alla libera esplicazione delle funzioni parlamentari… Questa straordinaria combinazione di misure – che comportano deroghe rilevanti al regime ordinario – trova fondamento da un lato nella necessità che il processo di decisione parlamentare si svolga in condizioni di assoluta e reale indipendenza, dall’altro nel ruolo centrale che il Parlamento assume rispetto agli altri poteri dello Stato. Il privilegio parlamentare – conclude Iotti citando una celebre definizione di Erskine May, storico costituzionalista inglese – rappresenta la somma dei diritti di cui dispongono collettivamente ciascuna Camera e individualmente ciascun parlamentare per essere in condizione di esercitare le loro funzioni”. Ecco.

 

In un paese normale, oggi, ci sarebbe una classe dirigente e una pubblica opinione che avrebbero la forza e il coraggio di ribellarsi alla distruzione progressiva della democrazia rappresentativa. In Italia, purtroppo, la classe dirigente con l’opinione pubblica ha scelto una strada diversa e ha deciso di essere complice di questo orrore. Per questo, e non solo per questo, oggi non troverete da nessuna parte (tranne che su questo giornale) un editoriale in difesa di un principio sacrosanto: il diritto di coloro che rappresentano l’Italia a non essere considerati cittadini come gli altri.

 

“Lo stato d’animo sommariamente inquisitore che si sente montare nel dibattito pubblico, e che risparmia spesso il settore privato, ha un nome nella politica francese: il poujadismo”. Lo ha scritto un mese fa su Libération il direttore Joffrin. Quell’editoriale oggi andrebbe volantinato a tutti coloro che in Italia, forse senza accorgersene, stanno legittimando l’idea che la politica sia a costo zero e che il privilegio sia il vero nemico di una buona democrazia. E’ una balla, ok?

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.