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Quanto è davvero minacciata l'Italia

Claudio Cerasa

Il pericolo è sempre lo stesso, ma le minacce aumentano. Cosa si capisce sul terrorismo islamico dalla lista fitta fitta dei 64 espulsi nel 2017 per ragioni di sicurezza nazionale

Quello che segue non vuole essere un articolo allarmistico, cupo e preoccupato ma vuole essere solo un modo per descrivere un fenomeno importante, in evidente crescita, con il quale negli ultimi mesi si sono ritrovati a fare i conti le forze dell’ordine e i tecnici del ministero dell’Interno, e naturalmente anche il ministro Marco Minniti. Il fenomeno riguarda un numero cruciale, da non sottovalutare, che indica le persone espulse dall’Italia per motivi di sicurezza nazionale. La formula “sicurezza nazionale” è una formula astratta dietro la quale si nasconde in realtà un problema molto definito che si collega al numero di persone considerate a rischio di radicalizzazione islamista e allontanate dall’Italia in quanto riconosciute come dei potenziali veicoli di terrorismo islamico. Il numero da tenere d’occhio è il 64 ed è un numero cruciale per una ragione semplice: nei primi sei mesi del 2017 il numero di persone espulse dall’Italia per ragioni legate alla sicurezza nazionale è pari al numero di persone che sono state espulse dall’Italia sia nel 2015, sia nel 2016. Nel 2015 (governo Renzi) il numero di persone espulse considerate una minaccia per il paese a causa della loro radicalizzazione era pari a 66 casi. Stesso numero, identico, nel 2016. Se il trend dei primi sei mesi del 2017 dovesse essere mantenuto anche nei prossimi sei mesi significherebbe che nell’arco di quest’anno l’Italia ha individuato sul suo territorio un numero di potenziali veicoli di terrorismo islamico pari al numero di minacce individuate nell’arco di due anni. Il livello di minaccia, nel nostro paese, è sempre a livello due, allerta che precede immediatamente quello dell’attacco in corso (in tutto i livelli sono tre), ma le minacce individuate nel nostro paese non sono più le stesse e si stanno moltiplicando mese dopo mese. Abbiamo messo insieme tutti i profili delle espulsioni volute dal ministero dell’Interno nel corso del 2017 e le abbiamo messe in fila per provare a delineare un quadro di quello che sta succedendo nel nostro paese nell’ambito della lotta al terrorismo. Il ministero dell’Interno sostiene che non ci sia un collegamento diretto tra l’aumento dei flussi dei migranti e l’aumento delle minacce potenziali individuate sul nostro territorio ma riconosce che alla lunga una non regolamentazione dei flussi può portare a un maggiore rischio per il nostro paese anche dal punto di vista della tenuta della sicurezza nazionale. E per una ragione in particolare che naturalmente si lega al ruolo delle ong e delle navi private che trasportano senza regole certe i migranti da una parte all’altra del Mediterraneo: “Fino a quando – è la linea di Minniti – il traffico dei migranti passava quasi esclusivamente dalle navi militari la percentuale di infiltrazioni sospette non poteva che essere bassa. Mentre prima c’era una ragionevole certezza che chi aveva intenzione di agire contro la sicurezza nazionale ci avrebbe pensato due volte prima di imbarcarsi su una nave che sarebbe stata soccorsa dai militari, oggi con percentuali capovolte, con la missione Frontex che salva l’11 per cento dei migranti, con la missione Sofia che salva il 9 per cento dei migranti, con la guardia costiera italiana che salva il 28 per cento dei migranti e con le ong che arrivano a salvare il 34 per cento dei migranti, non si può dire che valga lo stesso principio. Le ong considerano prioritario salvare persone in mare non garantire la sicurezza nazionale del paese che andrà ad accogliere quei migranti ed è evidente che l’estremismo umanitario, se non regolato, non è il migliore alleato per chi ha come obiettivo quello di tutelare la sicurezza di un paese”. Tutto chiaro. Ma che profilo hanno i 64 espulsi dall’Italia per ragioni di sicurezza nazionale? Partiamo dalla fine, dall’ultimo caso, quello di venerdì scorso, del quale molti giornali non si sono accorti.

 

L’ultimo della lista – una lista che il Foglio ha potuto consultare grazie alla collaborazione di alcune forze di polizia che hanno messo insieme in collaborazione con il Viminale tutti i dati sulle espulsioni – si chiama Hadeg Abdelmoutalib, ha 52 anni, è un cittadino marocchino residente a Perugia, dove era stato imam presso il Centro Culturale Islamico e da cui fu allontanato molti anni fa in ragione della sua impostazione salafita. Abdelmoutalib era da tempo seguito dalla Digos di Perugia per i suoi contatti con alcuni soggetti coinvolti in indagini per terrorismo – tra i quali Korchi El Mostafa, ex imam della moschea di Ponte Felcino, frazione in provincia di Perugia, arrestato nel 2007 e poi condannato per reati di terrorismo internazionale. Nell’ambito di queste indagini si è scoperto che il 52enne marocchino ha contribuito “a radicalizzare alcuni cittadini tunisini”, già espulsi nel 2015 e nel 2017 (i loro nomi sono Saber Mansouri e Imed Labidi). Inoltre, Hadeg “continuava a svolgere lezioni coraniche e prediche ultraradicali presso il luogo di culto Assalam di Corciano (provincia di Perugia) e sul suo profilo Facebook sono altresì emersi post con i quali il cittadino marocchino condivideva inequivocabilmente l’ideologia e i metodi del Daesh”. Hadeg Abdelmoutalib è stato rimpatriato nel pomeriggio del 14 luglio dalla frontiera aerea di Roma Fiumicino. Cinque giorni prima, il nove luglio, altra espulsione. Stavolta l’uomo è un algerino di 48 anni, Larbi Rouabhia, entrato clandestinamente in Italia nel 2016, richiedente asilo. L’algerino è stato seguito per alcuni mesi mentre si trovava in provincia di Catania, nel centro di accoglienza di Licodia Eubea, dove era ospitato insieme al figlio, e in quel contesto “ha mostrato forte avversione nei confronti dei costumi occidentali, condannando le operazioni militari della Coalizione anti-Daesh, vantandosi di aver in passato sgozzato molti uomini e di esser stato detenuto in Algeria, sino alla sua fuga. L’uomo – continua la nota – ha posto in essere, inoltre, condotte aggressive verso le operatrici ed altre donne ospitate nel centro, in quanto asseritamente portatrici di comportamenti non conformi ai dettati islamici, fatti per i quali è stato deferito per maltrattamenti e discriminazione razziale”. Il 9 marzo del 2017 l’uomo è stato trasferito presso il Centro di permanenza per i rimpatri di Caltanissetta e durante il suo trasferimento verso la struttura ha minacciato di compiere stragi nel nostro Paese in nome del Califfato. “Ulteriormente è stato indicato dall’intelligence quale titolare di un profilo social sul quale sono stati rinvenuti contenuti pro Stato Islamico e di tenore anti-sciita”. L’8 luglio 2017, alla scadenza naturale del suo trattenimento al Cpr di Caltanissetta, è stato accompagnato presso l’aeroporto di Roma Fiumicino da dove è stato rimpatriato il 9 luglio 2017. Tre giorni prima un altro caso, stavolta una cittadina russa di 49 anni. Il suo nome è Marina Kachmazova, straniera irregolare il cui permesso per lavoro subordinato era scaduto nel 2013, ed era sospettata di aver intrapreso un percorso di indottrinamento “che l’ha portata ad abbracciare l’ideologia jihadista”.

 

I provvedimenti sono duri e se il trend resterà tale nel 2017 il numero di espulsi sarà il doppio sia del 2016 sia del 2015. I casi: 27 tunisini, 15 marocchini, 7 egiziani, 3 pachistani, 3 kosovari, 2 albanesi, 2 algerini, 1 russo, 1 gambiano, 1 francese, 1 sudanese

L’indottrinamento sarebbe avvenuto grazie agli insegnamenti del marito, un cittadino russo/ceceno di nome Eli Bombataliev, sottoposto il 5 luglio 2017 a un fermo dalla procura distrettuale di Bari con l’accusa di reato di associazione con finalità di terrorismo internazionale e istigazione a commettere delitti. Il cittadino russo (non espulso) era un assiduo frequentatore della Moschea “Al Dawa” di Foggia e in questo contesto aveva radicalizzato due fratelli albanesi, Lusien Mustaqi (23 anni) e Orkid Mustaqi (26 anni) entrambi espulsi il 5 luglio 2017, i quali avevano “intrapreso un percorso di radicalizzazione che li aveva portati ad abbracciare l’ideologia jihadista”. Pochi giorni prima, il 3 luglio, un tunisino di 22 anni, Ghaith Abdessalem, è stato espulso “per violazione di reingresso in territorio nazionale”. Il caso è importante perché Abdessalem è un reclutatore di combattenti per lo Stato Isalmico, era inserito nella lista consolidata dei “jihadisti/combattenti partiti dall’Italia verso la Siria” ed era stato già espulso il 3 dicembre 2015. Abdessalem è stato rintracciato il 24 giugno 2017 con altri 10 connazionali sbarcati a Linosa. Negli stessi giorni un marocchino con precedenti di polizia per reati comuni è stato espulso per un’altra ragione che vale la pena approfondire. Il suo nome è Khalid Lackhar, 50 anni, ed è stato individuato nell’ambito di una lunga attività di intelligence condotta contro un cittadino libico El Fituri Aymen Muftah – presunto estremista sospettato di aver introdotto esplosivi in Gran Bretagna per la realizzazione di progettualità terroristiche – che sarebbe stato il principale referente di quest’ultimo nella città di Torino. Lackhar era stato segnalato “quale terminale in Italia di una rete criminale dedita a favorire l’ingresso di elementi contigui allo Stato Islamico provenienti dalla Libia”, era entrato in Italia nel 2007 ed era diventato irreperibile dal 2011. E’ stato rimpatriato il 29 giugno 2017. Un giorno prima di un altro tunisino, Tijani Khabir, residente regolarmente in provincia di Novara, segnalato dall’Intelligence per la sua deriva radicale sotto il profilo religioso. “Noto in ambiente come soggetto aggressivo e facilmente irritabile – è la nota compilata dalle forze dell’ordine – lo straniero avrebbe manifestato un’ingiustificata insofferenza verso l’Italia e l’Occidente. Gravato da precedenti per reati comuni, tra cui maltrattamenti in famiglia, è stato oggetto di approfondimenti da parte della Digos di Novara dai quali è emerso come Tijani sia effettivamente un soggetto incline alla violenza. Khabir era inoltre in contatto con gli estremisti Ben Salah Brahim (espulso il 16 gennaio 2015 in esecuzione del decreto emesso dal Ministro dell’Interno per motivi di sicurezza) e Hamaied Abdelwahab Ben Jaloui (veterano dei conflitti nella ex-Jugoslavia e in Afghanistan, vissuto negli anni ‘90 in Italia ed unitosi in Nord Africa, ad Al Qaeda nel Maghreb Islamico). Tijani Khabir è stato rimpatriato il 30 giugno 2017. Due settimane prima, siamo al 15 giugno, altra espulsione. Stavolta siamo a Varese, in Lombardia, e l’espulso è un ragazzo di 32 anni. Si chiama Salem Ahmed Mohamed Nabawy, e da mesi era monitorato dall’Arma dei Carabinieri “in ragione del suo recente ossessivo interesse verso l’islam che lo ha portato allo scontro, anche fisico, con suoi connazionali per discussioni su tematiche religiose”. In un’occasione in particolare, il 28 maggio 2017, all’aeroporto di Malpensa il ragazzo egiziano era stato respinto all’imbarco di un volo per l’Egitto e allontandosi dal terminal “veniva rintracciato dal personale operante nei pressi dell’area Cargo mentre, brandendo una sbarra di metallo, pronunciava frasi farneticanti relative all’asserita superiorità della religione islamica”. Otto giorni prima un altro tunisino è stato rimpatriato. Il suo nome è Ahmed Bounaouara, 25 anni, tunisino, titolare di permesso di soggiorno per lavoro subordinato, recentemente scaduto, frequentatore della moschea di Donnalucata in provincia di Ragusa, ed è stato individuato nell’ambito di un’ulteriore indagine, che lo scorso 14 aprile ha portato all’espulsione di un altro tunisino, Jilani Bacem Ben Mohamed Ben Ali, e di un altro connazionale, Khalifa Abdessattar. Le ragioni della sua espulsione sono legati principalmente a una frase postata sul suo profilo su Faceoook, accompagnata da molti messaggi e immagini di propaganda jihadista: “Io sto andando è sicuro che non torno, quindi addio”. Dinamica simile a quella dell’espulsione di un altro tunisino, il 34enne Mohamed Mansouri, residente regolarmante a Piombino, in provincia di Livorno, espulso “per aver condiviso sul proprio profilo Facebook immagini e video riconducibili al radicalismo islamico, in particolare file multimediali di propaganda per lo Stato Islamico”. Pochi giorni prima, caso più noto, è stato espulso un venticinquenne del Gambia, Malang Barry, “per aver danneggiato nel cortile esterno della Parrocchia della Madonna del Rosario di Foggia una teca contenente la statua della Madonna e per aver incendiato un presepe, motivando il suo gesto per la sua appartenenza alla fede musulmana”. Da Perugia, il 9 giugno, è stato espulso un altro marocchino, El Mehdi Ghouiza, 28 anni, in Italia dal 2001, con precedenti per reati comuni in relazione ai quali è stato anche sottoposto alla misura della libertà controllata, “individuato essere l’utente social che ha pubblicato sul suo profilo facebook alcuni post dal tenore farneticante: in particolare, lo straniero nei suoi commenti ha manifestato con insistenza il desiderio di farsi giustizia per la morte del proprio fratello (recentemente deceduto sul lavoro l’anno corso precipitando da una impalcatura in un cantiere edile in provincia di Perugia), scrivendo, al termine di uno dei post, che il viaggio del jihadista era pronto”.

 

Per aver esultato alla notizia dell’attentato avvenuto a Londra, a marzo, il 5 giugno è stato espulso un egiziano di nome Khatab Ghonim. Per aver provato a indottrinare in carcere alcuni detenuti è stato espulso un altro tunisino, in regime di detenzione dal 2013, che si “adoperava per reclutare alla causa jihadista altri detenuti di fede islamica e che in più circostanze aveva manifestato sentimenti anti-occidentali inneggiando agli attacchi terroristici commessi in Europa”. Stessa accusa per un altro egiziano, Essam Mohamed Omar Makram, 62 anni, già coinvolto in una delle indagini di anti terrorismo condotte negli anni novanta a Milano (è la famosa operazione Sfinge, che portò, nel giugno del 1995, all’arresto di 12 egiziani per associazione a delinquere finalizzata all’estorsione, falsificazione di documenti, detenzione di armi da fuoco all’arresto, ritenuti collegati al gruppo terroristico Al Jamaa Al Islamya) che nella casa Circondariale di Monza “ha palesato da subito il suo carisma, dimostrandosi rigido osservante della pratica religiosa, impegnato in azione di proselitismo nei confronti di altri detenuti stranieri, circuendo in particolare i soggetti più fragili verso una visione radicale della religione”.

 

Le relazioni con il caso Amri, i punti di appoggio, gli imam segnalati e l’ultimo caso di Perugia: venerdì scorso

E ancora. Per aver tenuto una predica in cui avrebbe divulgato messaggi dal tenore radicale, “invocando il taglio della testa per i non credenti ed invitando i presenti, se chiamati da Allah, a sacrificare la propria vita”, il primo giugno è stato espulso un altro marocchino, Redauane Zerroug, residente a Perugia. Per essere stato individuato come un membro del circuito italiano dei foreign fighter, il primo giugno è stato espulso da Brescia Mohammed Zakariae Youbi: venticinque anni, marocchino, titolare di permesso di soggiorno, già arrestato nel giugno 2013 dalla Digos “per i reati di addestramento ad attività con finalità di terrorismo internazionale ed incitamento alla discriminazione razziale o alla violenza per motivi razziali, etnici e religiosi, e, successivamente alla sua liberazione disposta dal Tribunale del Riesame, partito nel settembre dello stesso anno per la Siria dove si è unito alle milizie dello Stato Islamico”. Il 26 maggio, ancora, è stato espulso Kadhi Wissem, , 24enne tunisino, gravato da diversi precedenti penali per reati comuni, violenza sessuale e stupefacenti. “Oggetto di monitoraggio del D.A.P. in quanto durante l’udienza di convalida dell’arresto aveva proferito parole ingiuriose verso il giudice e quindi inserito nella categoria degli attenzionati con rischio medio di radicalizzazione, si è ulteriormente evidenziato nell’ambito della vicenda relativa al cittadino italiano Hosni Ismail Tommaso Ben Youssef, tratto in arresto la sera del 18 maggio 2017 per aver ferito, con due coltelli, due militari ed un agente della Polizia ferroviaria. In particolare, è stato accertato che Hosni Ismail Tommaso Ben, la cui pagina Facebook è risultata presentare contenuti di propaganda prodotti dallo Stato islamico, annovera tra i suoi amici virtuali un account riconducibile al Khadi Wissem, profilo che a sua volta reca diversi contenuti di matrice jihadista”.
Il 19 maggio è stato espulso un tunisino di 42 anni, El Gharbi Ridha, che assieme ad altri reclusi presso la Casa Circondariale di Ancona, “avrebbe in più occasioni inneggiato all’Isis manifestando l’aspirazione di unirsi alle fila dei combattenti e per aver esultato alla notizia degli attentati di Bruxelles del 22 marzo 2016”. Il 13 maggio è stato rimandato in Tunisia Boubaker Sadraoui, 32 anni, fratello di un uomo sottoposto a fermo lo scorso 7 febbraio “per il reato di apologia di terrorismo, aggravato dall’uso del mezzo informatico, in relazione ai numerosi documenti e video di propaganda jihadista rinvenuti sul suo profilo Facebook”. Ancora il 13 maggio è stato espulso un altro tunisino, Ben Abdallah Marouan, 34enne, sbarcato nel 2011 a Lampedusa, abitante a Ragusa, bracciante agricolo: “Le indagini della Dios di Ragusa ne hanno evidenziato la contiguità ad ambienti dell’estremismo islamico. Utilizzando il proprio profilo facebook, ha pubblicato/consultato contenuti celebrativi del jihad, tra i quali un video di propaganda dell’autoproclamato Stato islamico contenente una dichiarazione di fedeltà al leader dell’organizzazione terroristica”. Il 12 maggio è stato espulso un tunisino, irregolare, Yacoubi Sayed che avrebbe fornito all’attentatore di Berlino Anis Amri un supporto logistico. Il 5 maggio è stato espulso da Milano un marocchino ritenuto coinvolto in un’attività di finanziamento dell’IS attraverso i proventi del traffico internazionale di sostanze stupefacenti, Maadani Abdelmajid. Il primo maggio un cittadino tunisino residente a Perugia, Labidi Imed, era emerso all’attenzione nell’ambito di attività investigative per il reato di apologia di terrorismo, aggravato dall’uso di messi telematici. Il 28 aprile un egiziano, Ashraf Mohamed Gamaleldin Mohamed Aly Omar, residente a Catania, espulso dal territorio nazionale nell’aprile 2013 e tuttavia rientrato dopo aver ottenuto in maniera fraudolenta un visto dall’Ambasciata d’Italia in Egitto, “è emerso all’attenzione nell’ambito di attività investigative, coordinate dal Servizio Centrale Antiterrorismo, condotte sui possibili contatti in Italia dell’attentatore di Berlino Anis Amri”.

 

Il 27 aprile un egiziano abitante in provincia di Latina, Elkat Basem Maher Elsayed,27 anni, “si è evidenziato nell’ambito di un’animata discussione avuta con altre persone per aver affermato di condividere l’operato dell’autore dell’attentato compiuto a Berlino, auspicando ulteriori attacchi della stessa tipologia”. Nello stesso giorno un tunisino di 32 anni, abitante a Ragusa, Hemiri Khoubaybe, “è risultato contiguo ad ambienti dell’estremismo islamico”. “Lo straniero – si legge in una nota dell’anti terrorismo – utilizzando il proprio profilo facebook, ha pubblicato/consultato contenuti radicali e giustificativi del jihad nonché ha condiviso materiale postato altri utenti della rete con i quali era sistematicamente in contatto virtuale. In particolare, si evidenzia il suo forte interesse per alcuni post relativi a figure riconducibili al fondamentalismo islamico, tra le quali un esponente di vertice dell’organizzazione terroristica Al Jama’a al Islamiyya (responsabile dell’attentato compiuta nel 1997 presso il sito archeologico di Luxor in cui furono uccisi 58 turisti e 4 egiziani), ed un terrorista pakistano già detenuto presso la base statunitense di Guantanamo”.

 

Il 20 aprile un altro tunisino, Abdessattar Khalifa, è stato espulso per aver “condiviso sul web, con altri utenti di orientamento radicale, contenuti propagandistici di matrice jihadista” (“al riguardo si segnalano file riproducenti immagini di uomini armati, verosimilmente appartenenti a gruppi riferibili ad Al Qaeda, nonché un video recante un appello in lingua araba con l’esortazione a prestare giuramento di fedeltà al leader del Daesh). Nello stesso giorno un tunisino di 27 anni, Jilani Bacem Ben Mohamed ben Ali, che in passato aveva tentato di raggiungere la Siria partendo dalla Francia, con il supporto di una filiera di reclutamento, è stato monitorato a lungo dal Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo che “ha confermato la sua adesione ideologica all’autoproclamato Stato Islamico, che ha manifestato consultando siti web di propaganda jihadista nonché mantenendo contatti virtuali con altri utenti di medesimo orientamento”. Il 14 aprile è stato espulso un altro egiziano, titolare di permesso di soggiorno, residente a Roma, già in passato sospettato di contiguità con ambienti estremisti, già segnalato in ambito di intelligence per il suo attivismo sul web, è risultato a seguito di accertamenti investigativi palesemente attestato su posizioni jihadiste favorevoli all’autoproclamato Stato Islamico.

 

Le forme di radicalizzazione più colpite sono quelle che si registrano sui social, poi ci sono i molti casi registrati in carcere

L’11 aprile è stato espulso un sudanese, detenuto nel carcere di Messina per violazione della Legge sulla immigrazione clandestina, sottoposto da mesi a osservazione carceraria “in quanto indicato da fonte confidenziale come simpatizzante dell’autoproclamato Is e appartenente ad un gruppo armato libico”. Il 14 aprile è stato espulso un egiziano, 41 anni, di nome Abdelwahed Osama Refat Mohamed, espulso perché “ha postato e condiviso con utenti dello stesso orientamento ideologico, contenuti apologetici del leader Abu Bakr al Baghdadi e proclami inneggianti alla conquista di Roma ad opera del califfato. In ragione degli indicatori di pericolosità rilevati, è stato emesso nei suoi confronti un provvedimento di espulsione del Ministro dell’Interno per motivi di sicurezza dello Stato”. Tre giorni prima un 22enne del Sudan, detenuto nel carcere di Messina per violazione della Legge sulla immigrazione clandestina, è stato espulso “in quanto indicato da fonte confidenziale come simpatizzante dello Stato Islamico e appartenente ad un gruppo armato libico”. Il 7 aprile un egiziano di 42 anni è stato espulso un quanto “è emerso all’attenzione nell’ambito del monitoraggio dei detenuti a rischio di radicalizzazione per il suo forte carisma esercitato nei confronti dei compagni di detenzione ai quali si è facilmente imposto come imam”. Ancora il 7 aprile è stato espulso un marocchino di 34 anni, Faroussi Youness, il cui profilo “è emerso nell’ambito di indagini svolte dalla Digos di Milano nei confronti di due foreign fighters, suoi connazionali, partiti dal capoluogo lombardo nel gennaio 2015 alla volta dell’aera siro-irachena per unirsi all’organizzazione terroristica dello Stato Islamico. Al riguardo, come emerso da acquisizioni di intelligence, il marocchino sarebbe desideroso di partecipare al jihad nel conflitto siro-iracheno”. Nello stesso giorno un altro egiziano di 42 anni è stato espulso da Novara dopo che il suo profilo “è emerso all’attenzione nell’ambito del monitoraggio dei detenuti a rischio di radicalizzazione per il suo forte carisma esercitato nei confronti dei compagni di detenzione ai quali si è facilmente imposto come imam”.

 

Il 2 aprile vengono allontanati tre cittadini kosovari “indagati per il reato di appartenenza all’ organizzazione terroristica dello Stato Islamico. In tale contesto è stato documentato come i tre cittadini kosovari abbiano assistito, insieme ai soggetti poi arrestati, a numerosi video di propaganda jihadista, o che mostravano tecniche per realizzare attentati suicidi, condividendone i contenuti”. Il 31 marzo è stato espulso un tunisno per aver inneggiato all’Isis a Roma, alla Stazione Termini. Il 25 marzo un altro marocchino, che nel 2012 aveva rifiutato di prestare giuramento per ottenere la cittadinanza italiana, “confidando ad alcuni connazionali che l’accettazione dello status avrebbe offeso la sua religione e che l’osservanza della Costituzione avrebbe violato i dettami shariatici”. Il 23 marzo ancora un altro tunisino, residente a Cinisello Balsamo, per aver diffuso sul web “documenti di propaganda jihadista e di sostegno allo Stato Islamico”. Il 22 marzo a Firenze un marocchino irregolare è stato espulso, “assiduo frequentatore del Centro Culturale Islamico “Al Takwa” del capoluogo fiorentino, segnalato dai responsabili di quella comunità per aver intrapreso un percorso diradicalizzazione religiosa che lo ha portato ad avere forti contrapposizioni con gli altri fedeli, in particolare all’indomani dell’attentato compiuto a Nizza il 14 luglio 2016”. Il 22 marzo un altro marocchino, di 29 anni, è stato espulso, e scarcerato anticipatamente dalla Casa Circondariale di Viterbo, per aver asserito in un’occasione “di essere un terrorista”, per aver inoltre “apertamente manifestato solidarietà nei confronti degli autori dell’attentato contro la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo” e per aver svolto “attività di proselitismo diffondendo messaggi e ponendo in essere azioni minatorie e di prevaricazione nei confronti di altri detenuti. Il 18 marzo un agerino di 30 anni è stato espulso, da Napoli, per aver “espresso apprezzamento per l’azione terroristica dell’attentatore di Berlino definendolo un vero musulmano”, auspicando che un’analoga azione terroristica si possa riproporre in territorio italiano”. L’11 marzo un 37enne tunisino è stato espulso per aver fornito un supporto ancora ad Anis Amri, e Hicham Alharabi “è risultato intestatario di una numerazione emersa tra i contatti dell’utenza mobile intestata ad Anis Amri allorquando quest’ultimo, nel giugno 2015, era stato ospitato nell’abitazione di Yaajoubi Montasser e della sua compagna, ad Aprilia”. Mancano ancora venti casi e proviamo ad andare via veloci. Il 10 marzo un pakistano a Torino. Il 9 marzo un tunisino a Ragusa. Il 6 marzo un tunisino irregolare detenuto a Brescia “emerso all’attenzione nell’ambito del monitoraggio dei detenuti a rischio di radicalizzazione religiosa poiché, secondo quanto riferito da fonte interna confidenziale, era solito incitare sia nel corso della preghiera che durante le normali attività inframurarie, all’odio razziale e alla violenza contro le donne, definite ‘impure’, nonché per aver manifestato approvazione dopo gli attentati di Parigi del novembre 2015”.

 

Il 2 marzo un tunisino a Milano, “animato da profondi sentimenti di odio nei confronti dell’Occidente, aveva anche manifestato l’aspirazione di raggiungere la Siria per unirsi alle milizie dello Stato Islamico”. Il 28 febbraio un marocchino di 33 anni, già arrestato dalla questura di Catania dopo aver lanciato alcuni sassi contro un’autovettura, è stato espulso dopo che sul suo telefonino “sono state rinvenute immagini di una pistola associata a versi del Corano e a luoghi sacri per l’islam. Il cittadino marocchino – si legge sempre nelle note – aveva anche urlato frasi a favore dello Stato islamico e minacce contro il nostro Paese”. Il 25 febbraio un altro tunisino legato ad Amri. Il 25 febbraio un tunisino è stato espulso da Palermo dopo “aver evidenziato le sue simpatie per le attività del Daesh, durante la sua pregressa permanenza a Lucca, durante la quale avrebbe confidato di non escludere la possibilità di recarsi in Siria, in zona di combattimenti e che un suo parente avrebbe militato nel fila del Daesh”. Il 20 febbraio un marocchino che, a Bologna, “aveva esultato alla notizia degli attentati appena compiuti a Bruxelles”, e dieci giorni prima un altro marocchino che aveva esultato per gli attacchi a Bruxelles, dalla casa di reclusione Gorgona di Livorno. L’8 febbraio un marocchino, già in carcere presso la casa circondariale di Rimini, che durante la detenzione ” si è evidenziato, oltre che per atti di autolesionismo ed altre infrazioni disciplinari, per aver proferito ad alta voce frasi di forte avversione e risentimento contro le istituzioni italiane, minacciando, invocando Allah, di “dichiarare guerra allo Stato italiano”. Il 7 febbraio, mancano dieci casi e ci siamo, un cittadino francese “monitorato per aver manifestato propensione alla radicalizzazione religiosa, era ritenuto suscettibile di raggiungere la Siria per compiere il Jihad”.

 

Il 26 gennaio un tunisino che in carcere a Reggio Emilia aveva evocato azioni suicidi e che rivolgendosi ad un detenuto musulmano avrebbe detto in lingua araba: “Smettiamo di tagliarci noi e iniziamo a tagliare le guardie”. Il 24 gennaio un marocchino che nel carcere di Ivrea ha manifestato “l’intenzione di ‘sgozzare americani ed inglesi’ una volta espiata la pena”. Il 20 gennaio due pakistani sono stati espulsi, ad Olbia, per aver inneggiato allo Stato Islamico dal suo profilo Facebook. Il 19 gennaio un tunisino di 53 anni, nella mensa della Caritas di Latina, durante la distribuzione dei pasti ha urlato: “Io non mangio questa merda”, minacciando poi un volontario intervenuto per calmarlo dicendogli: “Io esco fuori, ti aspetto. Occhio per occhio dente per dente, perché i tuoi fratelli hanno ammazzato un mio fratello a Milano”, con riferimento al conflitto a fuoco in cui il 23 dicembre aveva perso la vita il terrorista Anis Amri. Espulso anche lui. Il 15 gennaio un 46enne tunisino, nella casa Circondariale di Augusta, “è stato attenzionato per la sua condotta in quanto, dopo aver mantenuto un profilo non di rilievo, ha assunto la posizione di leader tra i detenuti di fede islamica, manifestando atteggiamenti radicali e palese ostilità verso il personale della Polizia Penitenziaria”. Espulso anche lui. Così come un tunisino ad Ancona, di 32 anni, Sami Chalbi, espulso il 13 gennaio per aver inneggiato allo Stato Islamico e dopo aver intrattenuto rapporti ancora con l’attentatore di Berlino. Infine un tunisino di 26 anni, che aveva inneggiato al jihad su Facebook, espulso il 5 gennaio, e un marocchino di 32 anni,residente a Padova, “titolare di permesso di soggiorno di lungo periodo per motivi familiari, tra i fondatori del centro culturale “Al Hikmah” di Padova i cui componenti risultano connotati da una impostazione salafita\wahabita. Come abbiamo visto da questa lunga carrellata i profili sono tanti, diversi l’uno dall’altro e le città in cui si sono registrate delle minacce potenziali hanno messo insieme un numero di espulsioni in cui i cittadini coinvolti sono stati per 27 volte tunisini, per 16 volte marocchini, per 7 volte egiziani, per 3 volte pakistani, per 3 volte kosovari, per due volte albanesi, per due volte algerine mentre in un caso gli espulsi erano russi e gambiani. Non si tratta di allarmare, ma si tratta di informare, senza ideologia, sapendo però che l’Italia oggi è di fronte a una questione che non può ignorare: l’aumento non solo dell’immigrazione irregolare ma anche l’aumento delle minacce legate al radicalismo di matrice islamica. I due fatti non sono collegati ma è possibile che Minniti abbia ragione: senza presidiare con la polizia giudiziaria tutte le navi che arrivano in Italia e che portano migranti esiste il rischio concreto che l’aumento di flussi migratori coincida con aumento ancora maggiore del rischio terrorismo in Italia. Il quadro è questo e lo abbiamo descritto in abbondanza. Se ne riparlerà. Ne riparleremo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.