La catastrofe migratoria

Guido Bertolaso

Caos e mancanza di coordinamento. Così l’Italia e l’Europa hanno gestito in modo incredibile e paradossale gli sbarchi sulle nostre coste. Un’emergenza annunciata

Prevenire è meglio che curare, questo è il “mantra” ossessivamente ripetuto a tutti quelli che si occupano di sanità, di Protezione civile, o della gestione delle emergenze in generale. E’ ben noto che la prevenzione è un’attività poco amata dalla politica, non porta voti né consensi politici. Mi stupisco comunque sempre nel constatare come crisi ampiamente annunciate siano abitualmente rappresentate come imprevedibili, inimmaginabili, situazioni cui “non eravamo preparati”: che la rotta balcanica fosse stata di fatto annullata dagli accordi con la Turchia (miliardi di euro a fronte della chiusura delle frontiere turche) era noto da tempo, che l’estate avrebbe favorito la ripresa dei passaggi degli scafisti era noto, che la Libia fosse rimasto l’unico paese di passaggio libero di centinaia di migliaia di persone in fuga da guerre, dalla fame, dalla siccità e dalla povertà era noto anche ai bambini era noto dal momento in cui è stato fatto fuori il Colonnello Gheddafi!

 

Nonostante tutto leggo le notizie drammatiche dell’arrivo nei porti italiani di 7.000 nuovi profughi su una decina di navi. I titoli della stampa sono allarmanti, le dichiarazioni dei politici di turno vedono e descrivono l’imminente catastrofe e chiedono azioni di emergenza nazionale e europee.

 

Che il fenomeno migratorio fosse un’emergenza nazionale e europea era ben noto, ma il governo ha gestito nel corso degli ultimi anni il fenomeno in modo incredibile e paradossale.

 

E’ sufficiente vedere la distribuzione delle competenze per capire la confusione e la totale mancanza di concertazione e coordinamento nazionale, per non parlare di quello europeo.

 

Di seguito sono elencate le principali istituzioni che in Italia hanno competenza alla gestione dei migranti:

 

- Ministero degli Affari esteri: almeno 4 le Direzioni generali coinvolte: Affari politici, Italiani all’estero e Politiche migratorie, Europa, Cooperazione allo sviluppo, oltre all’Aics (Agenzia per la cooperazione allo sviluppo).
- Ministero dell’Interno: Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione; Polizia di stato, Arma dei carabinieri; prefetture e questure sul territorio.
- Ministero della Difesa: Esercito e Marina.
- Ministero dei Trasporti: Guardia costiera e Autorità portuali.
- Ministero della Giustizia.
- Ministero della Pubblica istruzione.
- Ministero della Salute: Dg della Prevenzione sanitaria, Asl.
- Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
- Autonomie locali: regioni e municipalità.
- Croce rossa italiana, Anci, Conferenza stato-regioni.
- Unhcr, Unicef, Oim, Icrc, Ficross, Msf, Save the Children, Oxfam, Emergency, Ngo.

- Inviato speciale Onu, Ue, Lega araba, Unione africana, Stati Uniti, Russia, Vaticano, enti privati (Eni, Bp etc.).

 

Alle citate istituzioni va aggiunta una lunga lista di organizzazioni del privato sociale, della società civile e del mondo del volontariato nazionale che gestiscono, su incarico delle istituzioni territoriali o centrali, centri di raccolta, punti di arrivo degli sbarchi, centri per minori non accompagnati, centri di assistenza sanitaria.

 

C’è da chiedersi chi ha, in questo variegato mondo di competenze, il ruolo di coordinamento e di verifica affinché le diverse istituzioni operino in modo concertato, coerente evitando sovrapposizioni, duplicazioni, dispersione delle risorse!

 

Una situazione di così grave e complessa emergenza avrebbe dovuto imporre la creazione di una “struttura centrale di coordinamento” alle dirette dipendenze del presidente del Consiglio dei ministri.

 

Una struttura che, nel rispetto delle diverse competenze istituzionali, svolga il gravoso compito del coordinamento, il famoso “direttore d’orchestra” in grado di rendere armonica la partecipazione dei diversi attori impegnati nello sforzo nazionale di risposta alla crisi.

 

Ogni giorno la stampa riporta dichiarazioni dei politici o dei tecnici piuttosto scontate con slogan vecchi e consumati come il “salviamoli a casa loro”, blocchiamo i porti, non diamo più contributi a Bruxelles etc. etc.

 

Analizzate singolarmente queste esternazioni sono vuote, scontate e riflettono la debolezza ideale, la poca competenza e la scarsa chiarezza di ciò che è possibile fare nelle condizioni in cui il sistema Italia vive.

 

Cosa avrebbe potuto fare la struttura di coordinamento di cui ho sopra accennato?

 

Avrebbe dato elementi al presidente Renzi per guardare con prudenza gli accordi che vedono oggi la nostra Guardia costiera come referente unico di tutte le operazioni di Search and Rescue (Sar) nel Mediterraneo.

 

Avrebbe realizzato strutture operative più efficienti nei paesi di transito e di partenza dei profughi.

 

Avrebbe governato con più attenzione e con metodo scientifico la distribuzione dei profughi in Italia attivando un sistema di monitoraggio e verifica assai più efficiente di quello che ha consentito la generazione di Mafia capitale.

 

Ma andiamo con ordine nell’analisi di ciò che avrebbe potuto essere fatto e di ciò che dovrebbe invece essere messo in atto.
Sento dire dal presidente Renzi che sono stati aumentati i fondi per la cooperazione internazionale, ma mi risulta che la neonata (due anni fa) Agenzia della cooperazione non abbia ancora le dotazioni dell’organico necessario a funzionare adeguatamente. Non risulta che ci sia una missione di esperti di emergenza in Libia localizzata presso la nostra ambasciata ad esempio, piuttosto che una task force in Niger, Mali, Nigeria, e altri paesi della zona ove poter attivare in concerto con altri paesi e organizzazioni internazionali le attività di assistenza umanitaria, la creazione di corridoi umanitari protetti (sul modello di quanto fatto dalla Comunità Sant’Egidio) e l’eventuale accompagnamento e assistenza al rientro nei paesi di partenza.
Azioni queste indispensabili per sostenere e rendere più accettabili i necessari interventi di aiuto al potenziamento dei sistemi di sicurezza in quei paesi (esercito, polizia, guardie di frontiera, intelligence).

 

Una struttura centrale di coordinamento avrebbe lavorato meglio e di più con l’Unione europea per far decollare in tempi rapidi e in dimensioni compatibili alla gravità della situazione, iniziative di Csdp (Common security and Defence policy) che sono quelle operazioni europee che vedono l’invio di contingenti militari e di polizia per operazioni di assistenza alla ricostruzione degli apparati militari e dei sistemi di sicurezza nei paesi che escono da difficili situazioni di conflitto.

 

In Libia pare che debba essere solo l’Italia a occuparsi di formare e equipaggiare la guardia costiera libica, visto che il misero programma “Eubam Libia” dell’Ue conta su ben 23 persone basate oltretutto a Tunisi. Un numero ridicolo di persone che costano al bilancio dell’Unione e non fanno assolutamente nulla. L’analoga operazione in Kosovo conta su 800 uomini e vede la partecipazione di Norvegia, Turchia, Stati Uniti, Canada e Svizzera.

 

Aumentiamo i fondi di aiuto allo sviluppo ma la cooperazione italiana non ha nemmeno un esperto che lavori a Bruxelles presso l’Ue e tutta l’attività di analisi e partecipazione ai complessi e defatiganti lavori della Commissione europea sul tema migranti è delegata alla diplomazia (pur efficiente ma non competente tecnicamente). L’Agenzia tedesca di cooperazione ha a Bruxelles una squadra di decine di tecnici e esperti di cooperazione, e i risultati si vedono ovviamente e lo stesso discorso vale per inglesi e francesi.

 

C’era un italiano ai vertici del sistema europeo di gestione delle crisi, Agostino Miozzo, che si occupava proprio di queste attività, ma la signora Mogherini che è stata mandata a Bruxelles per curare anche gli interessi dell’Italia ha pensato bene di cacciarlo, probabilmente perché era un uomo di Bertolaso/Berlusconi/Letta e non serviva più alla causa del partito di Renzi.

 

Questa è un’altra delle ragioni per cui per la Libia vengono assegnati 23 uomini e al Kosovo 800, ma è ben noto che il Kosovo era nella sfera di attenzione politica e strategica di altri paesi dell’Unione e la Libia è considerata invece una priorità solo italiana.

 

Sono ben note le difficoltà logistiche e di sicurezza dell’operare in Libia, soprattutto dopo il disastroso intervento militare, ma è altrettanto noto che le operazioni di Csdp non sono costruite per fare missioni in Costa Azzurra o ai Caraibi; una valutazione dei rischi è quindi importante ma non può esimere l’Europa dal realizzare un’operazione indispensabile in un paese che vive una disastrosa transizione verso la stabilità. Il governo italiano nella sua permanente distrazione ha avallato una farsa di cooperazione nel settore della sicurezza come quella in corso. E’ anche vero che dalla caduta del governo Berlusconi si sono presentati ai tavoli di Bruxelles (i tavoli dove si prendono decisioni sostanziali e non chiacchiere) ben 6 ministri degli Esteri italiani.

 

Sempre in tema di interventi di cooperazione all’estero ho letto che la scorsa settimana il presidente dell’Anci era a Tripoli e ha incontrato alcuni sindaci libici promettendo gemellaggi con città italiane. Questa è una bellissima iniziativa ma raccomando prudenza se si vuole realizzare qualcosa di utile. La storia di queste collaborazioni non ha dato, nel passato, risultati esaltanti; cooperare con realtà difficili come quelle libiche non è una semplice pratica burocratica di ordinaria amministrazione e non mi risulta che nei comuni ci siano tutte queste competenze e le professionalità necessarie.

 

A livello nazionale potremmo discutere a lungo sui meccanismi di accoglienza, distribuzione dei profughi, assistenza dei minori non accompagnati etc. Ma anche qui prevale l’improvvisazione, la rivalità e la scarsa collaborazione tra ministeri, la mancanza di una visione complessiva del problema.

 

Non si può negare che molto è stato fatto, vi è anzi evidenza di uno straordinario lavoro svolto da prefetture e da sindaci e tanti sono gli esempi virtuosi che purtroppo non fanno notizia la cui conoscenza aiuterebbe invece la politica nazionale a comprendere quali risorse sono disponibili e come meglio utilizzarle.

 

Quando in Italia esisteva una Protezione civile operante sul territorio nazionale questo tipo di emergenza sarebbe stato elevato a emergenza di interesse nazionale e quindi posto sotto il coordinamento dell’unico organo deputato in Italia a gestire situazioni così complesse che è proprio il dipartimento della Protezione civile. Oggi vediamo nell’attuale dipartimento solo una struttura burocratica, incapace di far volare elicotteri e aerei per l’antincendio boschivo, sorda alle richieste dei Vigili del fuoco, cieca di fronte all’assurda politica di azzeramento del Corpo forestale dello stato che, nei modi e nei tempi voluti dalla ministra Madia, ha provocato un altro disastro nazionale di cui pagheremo le conseguenze quest’inverno, oltre che piangere le vittime oggi.

 

Prevenire è meglio che curare e credo che l’emergenza migranti, che è solo all’inizio di un processo che durerà negli anni a venire, sia un banco di prova per il governo di questo nostro straordinario ma sfortunato paese.

P.s. Mentre i nostri ministri e il nostro presidente del Consiglio minacciano l’Europa e fanno grandi sparate politico-diplomatiche, nel silenzio stampa più assoluto la Francia e la Germania firmano proposte di cooperazione rafforzata franco-tedesca nel campo della Sicurezza e della Difesa e un’alleanza franco tedesca per il Sahel. Loro fanno geopolitica e vera strategia internazionale e noi dobbiamo tenerci i profughi!

Di più su questi argomenti: