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Da riccio a volpe. Un gran libro di Cassano spiega la follia della sinistra Peter Pan

Claudio Cerasa

Basta parlare di fake news. Di candidati premier. Di premi di coalizione. C’è un saggio fenomenale del sociologo Franco Cassano che Matteo Renzi dovrebbe leggere con urgenza e far volantinare in tutta Italia. Manifesto per una sinistra anti nostalgia

Alla fine di questo weekend confuso e litigioso in cui, a sinistra, piazze in conflitto tra loro si sono divertite ad alimentare polemiche, veleni, ripicche, dispetti, rivalse, mettendo in campo argomenti spesso inutili e inconsistenti come “il futuro candidato premier”, “la necessaria modifica della riforma elettorale” e “il destino delle coalizioni”, per tornare a respirare, e per provare a occuparci di cose concrete e non di stupidaggini legate al premio di coalizione, occorrerebbe fermarsi un attimo, andare un istante nella libreria più vicina al vostro ufficio o al vostro ombrellone, chiedere di uno degli ultimi libri di Franco Cassano, prendersi un’ora di tempo e mettersi comodi con una penna e prendere appunti. Franco Cassano sapete tutti chi è. E’ un grande sociologo di sinistra che si è avvicinato alla politica nel 2013 quando fu portato in Parlamento da Pier Luigi Bersani dopo aver aperto una grande discussione nel mondo progressista in seguito a un suo discusso saggio, pubblicato nel 2011, sull’“umiltà del male”, una potente e rotonda critica contro l’aristocratismo etico della sinistra. Cassano è in Parlamento da quattro anni e un anno e mezzo dopo il suo arrivo a Montecitorio ha pubblicato un altro libro importante, non sufficientemente valorizzato in questi anni.

 

Il libro si chiama “Senza il vento della storia. La sinistra nell’era del cambiamento” ed è un libro che Matteo Renzi dovrebbe regalare a tutti i dirigenti e gli elettori della sinistra a sinistra del Pd.

Il libro comincia così, con questo attacco fulminante, e già dalle prime righe si capisce perfettamente il senso del saggio: un manifesto per una sinistra possibile dedicato a tutti gli uomini e le donne di sinistra che osservano la politica come se fossero degli eterni Peter Pan. “Secondo l’opinione comune è coerente – scrive un ispiratissimo Cassano – chi rifiuta di adattarsi opportunisticamente al nuovo e decide di non cambiare. Per chi la pensa in questo modo la coerenza è sinonimo di coraggio e di resistenza. Ma c’è anche chi la chiama la virtù degli imbecilli, ossia l’incapacità di apprendere dalle situazioni e la chiusura di fronte a qualsiasi mutamento. Insomma, c’è chi sceglie il riccio, l’animale che resiste oppure muore, e chi la volpe, l’animale che sa adattarsi alle situazioni”.

 

Il ragionamento di Franco Cassano è interessante da seguire non solo perché Cassano è un sociologo illuminato, ma anche perché le sue parole sono frutto di un percorso politico che ha progressivamente portato il sociologo lontano da una sinistra che per una vita ha sognato un’isola che non c’è. Al centro della tesi del libro c’è un’idea suggestiva che riguarda un punto che anche il segretario del Pd farebbe bene a cogliere. L’identità della sinistra oggi non dipende più dal suo rapporto con la destra ma dipende prima di ogni altra cosa dal posizionamento che la sinistra intende avere nel mondo rispetto alle sfide che contano. E tra le sfide che contano Cassano, naturalmente, mette in cima alla lista una parola chiave: il posizionamento della sinistra rispetto al tema della globalizzazione. La differenza tra la sinistra che si fa riccio e la sinistra che si fa volpe parte proprio da qui. “Anche per la sinistra essere fedele ai propri valori in un mondo profondamente cambiato significa avere il coraggio di guardare in faccia la realtà, perché accettare la sfida che essa propone, anche quando è spiacevole, è la condizione necessaria per continuare a essere dentro la partita del mondo con qualche possibilità di vincere… Se è vero che la globalizzazione ha prodotto un drammatico ridimensionamento delle conquiste del trentennio del dopoguerra, è anche vero che non è stata e non è solo questo. Il capitalismo finanziario, infatti, è sì il portatore di tutto il male che si dice, ma anche di altri mutamenti che persino Marx era capace di vedere e che la sinistra di oggi sembra ignorare… L’auto-relativizzazione richiesta alla sinistra è una mossa insieme facile e complicatissima, perché non significa rinunciare ai propri principi, ma, al contrario, collocarli nel mondo reale, guardando i conflitti diversi in corso nel mondo. Bisogna ricordare che non c’è nessuna onda verde della storia, ma una successione di incroci da attraversare e la strada per arrivare a destinazione è piena di curve e di lavori in corso”.

 

Il discorso di Cassano non è un discorso che arriva per caso ma è un discorso che si inscrive in una traiettoria precisa che il sociologo aveva già tracciato qualche mese fa e l’intento di Cassano è evidente: provare a guidare i vecchi compagni della sinistra non tanto verso Renzi (che Cassano non ama), quanto verso un orizzonte in cui la sinistra possa smetterla di essere guidata dalla sola e non solida agenda Tafazzi. Già otto mesi fa, prima del referendum costituzionale, Cassano mostrò di aver perfettamente capito che una sinistra matura aveva il dovere di schierarsi contro l’Italia della consociazione e a favore di un’Italia della competizione e per questo il sociologo, pur essendo stato scelto in Parlamento da quella sinistra che proprio sul referendum ha costruito il suo cammino alternativo a quello del Pd, arrivò a sostenere con queste parole le ragioni per cui era necessario votare Sì il 4 dicembre. “Se si guarda la materia del contendere con un minimo di distacco, l’impressione che si ricava è quella che tornino a proporsi due vecchi giochi della politica italiana, da un lato quello di impedire all’avversario di fare ciò che non sei in grado di fare tu, dall’altro quello, al primo strettamente connesso, di usare un argomento di rango superiore (riforma della Costituzione) per perseguire un obiettivo di rango inferiore (battere il governo e il premier). Che cosa accada all’interesse generale di un paese quando prevalgono questi giochi è facilmente immaginabile”. 

 

Conclusione: “E’ per questa ragione – disse Cassano capendo perfettamente che in ballo il 4 dicembre non c’era il destino politico del segretario del Pd ma il destino politico della sinistra italiana e anche dell’Italia – che guardo con grande diffidenza non solo chi urla, ma anche tutta la dottrina impiegata per sostenere una tesi o quella opposta. Io credo infatti che il dilemma sia semplice: cercare di restituire alla politica un ruolo diverso da quello di sensale subalterno e corporativo sempre più debole ed estenuato degli interessi esistenti, di darle la capacità di anticipare i tempi, di affrontare le sfide che al paese vengono da un mondo nel quale gli equilibri non sono più quelli che abbiamo conosciuto nel Novecento. In questo grande cambiamento il problema centrale è come riposizionare il paese e come restituire alla politica democratica un ruolo di guida. I problemi che ci circondano sono di difficile soluzione e richiedono dignità e serietà da parte di tutti. I regolamenti di conti interni al ceto politico ricordano invece quella poesia di Brecht in cui degli uomini che stanno segando i rami su cui sono seduti vedono i primi tra loro precipitare, ma invece di fermarsi scuotono la testa e continuano a segare”. Non si può dire che Cassano non c’abbia visto giusto. Dopo il 4 dicembre la sinistra ha continuato con passione e insistenza a segare i rami sui quali la stessa sinistra ha scelto di sedersi e l’implosione del sogno maggioritario ha portato i massimi dirigenti della sinistra a occuparsi più delle future liste da portare in Parlamento (la scissione del Pd e il ritorno delle correnti nascono anche per questo) che delle idee innovative da offrire in futuro agli elettori. Le piazze a confronto sabato scorso, quella del Pd di Renzi da una parte e quella dei nostalgici dell’Ulivo dall’altra, ci dicono che le parole di Franco Cassano, sia per una parte che per l’altra, rischiano di rimanere poco ascoltate se le due sinistre in lotta tra loro continueranno per troppo tempo a occuparsi di risolvere solo questioni di carattere personale.

 

“Di fronte a un mondo in costante movimento, la sinistra deve prendere atto della limitatezza del proprio insediamento sociale nei paesi sviluppati, dove cresce non solo l’area delle figure sociali escluse dalle garanzie conquistate nel tempo, ma anche la pressione che su quelle conquiste viene esercitata dall’ingresso nel regno di un relativo benessere di nuove aree del pianeta… Tutto questo non significa la fine della corsa della sinistra, ma solo l’inizio di un tragitto più laico e impegnativo non assistito dall’esistenza di classi generali: lavorare senza corsie preferenziali per l’uguaglianza, la fraternità e la dignità di tutti gli esseri umani, in questo contesto, richiede più speranza, più tempo, più curiosità intellettuale e meno presunzione… L’estensione del sospetto a qualsiasi prospettiva universalistica vista come inevitabilmente consegnata alle manipolazioni dei poteri forti, se non addirittura come un loro diretto prodotto, recide un tratto essenziale della sinistra, il suo appello a una fraternità larga e alla costruzione di istituzioni capaci di garantirla…”. Tutto questo, dice in conclusione Cassano, richiede insomma una peculiarità importante. Richiede, scrive ancora il sociologo, “la capacità di fare impresa, di esporsi al rischio, di guardare al futuro non con timore ma con l’idea di avere molte sfide da raccogliere per costruire un blocco sociale più largo, per mettere insieme tutte le energie necessarie per stare nel gioco grande della globalizzazione senza scivolare in una posizione periferica e subalterna”. Il futuro della sinistra, la sua collocazione nel mondo, non si risolve parlando di fake news, di candidati premier, di premi di coalizione, di soglie di sbarramento. Lo si risolve e lo si decide se la sinistra accetterà di confrontarsi sulle hard news facendo quello che Cassano le chiede: passare definitivamente dalla fase riccio alla fase volpe e archiviare per sempre la dannata isola che non c’è e mai ci sarà della sinistra che parla di futuro solo con i verbi perdenti del passato remoto.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.