Federico Pizzarotti (foto LaPresse)

Non solo Pizzarotti. Come mollare Grillo e vincere felici (lezioni al Pd)

David Allegranti

Il marchio M5s ha portato male, ce l’ha fatta chi se ne è andato. Ma aver coccolato il sindaco di Parma è stato un errore

Roma. “Pizzarotti è uscito dal MoVimento 5 stelle. Sono contento e specialmente per lui. Spero che si goda i suoi quindici minuti di celebrità… Arrivederci Pizza, ciao”. Tre ottobre 2016, Beppe Grillo scrive un post di congedo da Federico Pizzarotti dopo l’addio al M5s. E’ irridente, velenoso, sprezzante.

 

Domenica scorsa, 25 giugno 2017, Pizzarotti ha prolungato di 5 anni il suo quarto d’ora wharoliano, mentre il partito di Grillo non è riuscito neanche a piazzare un consigliere di opposizione. E’ la dimostrazione che un candidato ex M5s può vincere e mantenere un consenso elevato anche senza il brand del partito di Grillo, cioè il motivo principale per cui un aspirante sindaco grillino di solito riesce a vincere (quantomeno al primo mandato). Il marchio a cinque stelle è un simbolo potente, tant’è che ogni volta che si trovano davanti un candidato sindaco riottoso, i vertici del partito minacciano di vietargliene l’uso. Il sindaco di Parma, che a lungo ha duellato con la dirigenza del suo vecchio partito prima di mollare la casa madre, ha battuto al ballottaggio il candidato del Pd, Paolo Scarpa, che è rimasto molto deluso e ieri sera si è tolto qualche sassolino: “Il Pd nazionale e regionale in questi ultimi anni – dice Scarpa – ha di fatto adottato e cullato Pizzarotti come un ‘enfant prodige’ da inglobare nel progetto renziano. Risulta evidente dai numerosi pubblici encomi da parte dei vari Merola (sindaco di Bologna), Nardella (sindaco di Firenze), dello stesso Renzi e dopo che i presidenti dell’Anci (l’associazione dei comuni italiani), Delrio e Fassino, avevano portato Pizzarotti ai vertici nazionali della loro associazione. Oggi Pizzarotti vince Parma dopo gli espliciti sostegni di Salvini e della Meloni, in un paese che sta virando improvvisamente a destra. Ottimo risultato”.

 

Pizzarotti ora rivendica la distanza dai partiti, compreso il M5s. “Essere una lista civica, libera, fuori dagli schemi di partito, è un pregio che può permettere di recuperare, al ballottaggio, voti da elettori che hanno sensibilità diverse”. Lo dimostrano anche i flussi elettorali elaborati dall’Istituto Cattaneo: l’elettorato che al primo turno ha votato per il centrodestra, al ballottaggio ha scelto prevalentemente Pizzarotti.

 

Ma il sindaco di Parma non è l’unico caso di amministratore ex M5s che riesce a non disperdere il proprio consenso pur non avendo con sé le insegne del partito di Grillo. A Comacchio, in Emilia Romagna, Marco Fabbri, espulso dal movimento nel 2014, era già stato confermato sindaco al primo turno dell’11 giugno. Beppe Grillo lo fece fuori tre anni fa con un post, lui non la prese bene, espresse il suo disappunto (“Amarezza, tanta amarezza per una espulsione arrivata con metodologie squadriste”) e non lesinò critiche al padrone del M5s: “A Comacchio hai mangiato a sbafo l’anguilla, da buon genovese ti sei risparmiato i soldi per una chiamata per espellermi e non hai avuto nemmeno i coglioni per un confronto sul tema: prendo atto”. Insomma, Fabbri è un altro che ha superato la maledizione dei 15 minuti scagliata dal Sacro Blog.

 

Nel 2012, quei primi sindaci grillini furono salutati come degli eroi dal movimento. Cinque anni dopo, il M5s non è riuscito a eleggere nessuno. E’ infatti andata male anche a Mira, provincia di Venezia, dove Alvise Maniero dopo un primo giro ha deciso di lasciare il Comune per non bruciare tutti e due le candidature che il M5s concede ai suoi aspiranti consiglieri comunali, sindaci o parlamentari. Al ballottaggio si affrontavano centrosinistra e centrodestra, e Mira è il primo comune amministrato dai Cinque stelle a tornare sotto le insegne di Pd e alleati. Domenica scorsa, Marco Dori, candidato di centrosinistra ha vinto contro Antonella Trevisan, candidata del centrodestra, sostenuta dal sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. Insomma, se li voti poi li eviti. 

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.