Silvio Berlusconi e Matteo Renzi (foto LaPresse)

Perché le amministrative dimostrano che si vince solo non inseguendo gli sfascisti

Claudio Cerasa

I risultati dei ballottaggi rischiano di alimentare l’illusione che per battere i populismi non sia necessario osare con le riforme ma sia sufficiente giocare con l’algebra. Perché Renzi deve arginare la sinistra Peter Pan sfidando il Cav. sulla prossima legge di stabilità

Il risultato delle amministrative di ieri avrà certamente un peso e, ancor prima dei problemi del Pd, ci aiuterà a capire le potenzialità concrete di un centrodestra non estremista, che sfruttando la contrapposizione plastica e violenta tra il modello Renzi e il modello Grillo è finalmente riuscito, almeno in alcuni casi, a rendere nuovamente accattivante il modello Berlusconi. Non sappiamo quali saranno le conseguenze immediate del voto di ieri ma sappiamo che in molti proveranno a dimostrare quello che è semplicemente impossibile dimostrare. Ovvero che il modello di coalizioni messo in campo alle amministrative sia il giusto modello da adottare anche alle prossime elezioni politiche. Questo giornale, giusto una settimana fa, ha proposto a Silvio Berlusconi e Matteo Renzi di firmare un patto riformista per spezzare le catene con gli estremismi di destra e sinistra e il voto di ieri in un certo senso rafforza la nostra convinzione sul fatto che i candidati vincenti sono in larga misura quelli che incarnano più il profilo tranquillo della ragionevolezza che il profilo malmostoso del moralismo movimentista. Nonostante questo siamo certi che la sinistra a sinistra del Pd proverà a dimostrare che senza la sinistra a sinistra del Pd le elezioni non si vincono e allo stesso tempo siamo certi che i proto-leghisti del centrodestra proveranno a dimostrare che senza allearsi con la Lega il centrodestra non ha possibilità di andare al governo. 

 

Il dibattito sulfureo sulle alleanze è un dibattito algebrico che ci trascineremo per molti mesi (consigliamo agli amici del centrosinistra il fenomenale monografico che pubblichiamo oggi di Francesco Cundari sul dramma dell’andare tutti insieme alle elezioni) ma è un dibattito noioso che rischia di distrarci da un appuntamento importante con il quale dovrà fare i conti nei prossimi mesi la politica e sul quale si potrebbe davvero misurare la credibilità delle forze politiche così dette responsabili. Evitato sfortunatamente il voto anticipato, che avrebbe permesso di avere nei mesi della legge di stabilità una maggioranza molto più legittimata rispetto a quella di oggi, esiste una sola possibilità che la prossima legge di bilancio non abbia un profilo minimalista e quella possibilità coincide con una mossa (a sorpresa) che Matteo Renzi potrebbe (dovrebbe) giocare nei prossimi mesi per mostrare di che pasta è fatto il suo Pd e provare a definire con chiarezza il perimetro delle forze che scommettono sullo sfascio del paese e quello delle forze che scommettono invece su una ricostruzione dell’Italia.

 

La mossa è semplice e razionale e permetterebbe di uscire dalla grande ambiguità in cui si trova non soltanto il governo guidato da Paolo Gentiloni ma anche il Pd guidato da Matteo Renzi: cosa fare con la sinistra che si trova a sinistra del Pd, che dopo aver ostacolato tutte le riforme pro mercato messe in cantiere dal Pd negli ultimi anni oggi ha scelto di seguire in materia economica la linea dettata dalla Cgil, che su molti aspetti curiosamente coincide non solo con la linea adottata dal Movimento 5 stelle ma anche con quella adottata dalla Lega Nord. Il che fare con la sinistra a sinistra del Pd non lo si risolve farfugliando parole incomprensibili sulle alleanze, ma lo si risolve mettendo in pista un’operazione verità relativa alla prossima legge di stabilità, trasformando quella che un tempo si chiamava finanziaria in un grande manifesto del buon senso e sfidando sul terreno del riformismo non solo la sinistra a sinistra del Pd ma anche e forse soprattutto il centrodestra. La questione è chiara. La sinistra a sinistra del Pd proverà a conquistare voti a sinistra del Pd trasformando la prossima legge di stabilità nel m anifesto di una nuova sinistra possibile. E l’unico modo che ha il Pd per non restare ostaggio della stretta della gauche a trazione sindacale è anticipare quello che probabilmente sarà costretto a fare nella prossima legislatura: cercare lontano dagli estremismi i voti per governare il paese senza politiche al ribasso e tentare di coinvolgere il partito di Silvio Berlusconi nell’elaborazione della prossima legge di stabilità.

 

Al contrario di quello che si potrebbe credere, Berlusconi, dopo le amministrative, ha tutta l’intenzione di ricostruire un rapporto con Matteo Renzi e al segretario del Pd ha già proposto di approvare la legge elettorale sul modello tedesco dopo le vacanze estive. La legge elettorale difficilmente verrà cambiata ma ciò che potrebbe essere cambiato nei prossimi mesi – e che potrebbe dare la possibilità sia al centrodestra che al centrosinistra di presentarsi di fronte agli elettori con un profilo alternativo alle forze sfasciste – è la convergenza ampia su una serie di proposte concrete che potrebbero dare all’Italia la giusta credibilità per non subire contraccolpi pericolosi quando il prossimo anno Mario Draghi comincerà a ridurre in modo significativo l’acquisto dei titoli di stato portato avanti attraverso il Quantitative Easing. Le convergenze possibili e auspicabili che sarebbero benedette anche dalla Banca centrale europea sono tendenzialmente queste e sono proposte sulle quali centrodestra e centrosinistra hanno mostrato in più occasioni di poter trovare punti di contatto. Un intervento progressivo per il taglio delle imposte e in particolare del cuneo contributivo. Un intervento finalizzato a omogeneizzare le regole sul lavoro presenti nel settore privato con quelle del settore pubblico.

 

Un intervento indirizzato ad ampliare le defiscalizzazioni degli investimenti privati. Un intervento per riformare il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo, come già suggeriva sei anni fa la Banca centrale europea, “accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione”. Arrivare con un paese stabilizzato, riformato e non traumatizzato alle prossime elezioni sarebbe un obiettivo utile non solo per il Pd ma anche per tutti coloro che sognano di costruire un consenso senza scommettere sul fallimento dell’Italia. Se il Pd di Renzi e la Forza Italia di Berlusconi nei prossimi mesi penseranno meno alle alleanze e più al paese avranno la forza di avvicinarsi alle prossime elezioni sfidando sul merito il partito dello sfascio che si nasconde tanto a destra quanto a sinistra. Se non lo faranno e seguiranno un’altra strada correranno un rischio che dopo le amministrative di ieri potrebbe travolgerli: illudersi che per battere i populismi non sia necessario osare con le riforme ma che in fondo sia sufficiente giocare con l’algebra.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.