Stefano Rodotà (foto LaPresse)

Rodotà, l'indipendente di sinistra che prese per mano i 5 stelle

Sergio Soave

Dal "benecomunismo" alla fine delle ideologie. Chi era il giurista scomparso a 84 anni

Il momento dell’ultimo commiato non è quello dei giudizi meditati, e questo vale tanto più per una personalità complessa come quella di Stefano Rodotà, scomparso a 84 anni dopo una vita di forte impegno giuridico, politico e istituzionale. E’ stato uno di quegli intellettuali che iniziarono fiancheggiando la sinistra, soprattutto quella impastoiata nell’ideologia leninista che non condividevano, per poi, man mano che si sbiadiva a poi veniva cancellato l’originario impianto ideologico, finire con il sostituire o il cercare di sostituire la loro concezione a quella ormai, più o meno esplicitamente, abbandonata. Rodotà era il tipico “indipendente di sinistra”, una categoria spesso derisa dagli avversari e, all’inizio, considerata con sospetto dagli stessi comunisti. Lenin stesso aveva coniato la formula non proprio cortese degli “utili idioti” per definire gli intellettuali occidentali che pur senza essere comunisti esprimevano interesse o consenso per la costruzione dell’Unione sovietica.

 

Invece, alla fine, i “compagni di strada” hanno finito per indicare la via a un esercito organizzato che però non sapeva più dove andare.

 

Un aspetto che andrà indagato è, proprio in questo gioco di specchi, il recupero da parte di Rodotà, in modo originale ed estraneo alla fondazione marxista e classista, di alcune tematiche che invece il post-comunismo revisionista aveva abbandonato. Si è parlato di “benecomunismo” per definire in modo un po’ sarcastico la teoria del “bene comune” che deve essere, per ragioni costituzionali, sempre secondo Rodotà, non solo perseguito dalla Repubblica, ma trasformato materialisticamente in una serie di servizi che debbono restare necessariamente pubblici. C’è qui un’inversione sostanziale della radice liberale del suo radicalismo e la ragione di una competizione aspra con le correnti riformiste del Pci prima e con le varie reincarnazioni della sinistra poi. Mentre Giorgio Napolitano, con gradualità che ad alcuni appariva terribilmente lenta diroccava i miti del comunismo, compreso quello, per restare al tema citato, della proprietà pubblica dei servizi, Rodotà in un certo modo ne reintroduceva alcuni in nome non più della lotta di classe ma di un’interpretazione forte, tanto forte da rischiare di diventare una forzatura, dei princìpi costituzionali. La stagione conclusiva, che ha visto Rodotà candidato dei 5 stelle, sembrava l’inizio di una nuova vicenda di affiancamento destinato a diventare egemonia esterna, ma è mancato il tempo (e la ricettività di un movimento che difficilmente supera le passioni elementari) per vedere come si sarebbe potuta sviluppare.

 

Quello che comunque resta è una esperienza peculiare che dimostra come si possa esercitare un’influenza in qualche caso decisiva, anche da parte di chi non dispone di forza organizzativa e di consenso elettorale proprio, ché la “mosca cocchiera” resa celebre da Fedro per la sua pretesa di indicare il percorso a un poderoso cavallo, in realtà, qualche volta, ci riesce davvero. In questo paradosso capovolto sta la peculiarità di un personaggio ragguardevole come Rodotà.    

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