Giuliano Pisapia (foto LaPresse)

Uno, nessuno e centomila Pisapia

Salvatore Merlo

A ciascuno il suo Giuliano. Uomo della vendetta per D’Alema, balsamo della giovinezza per Prodi, passaporto nel centrosinistra per Letta e Bersani, tocco rosè per Renzi. Indagine su una fantastica foglia di fico

A ciascuno il suo Pisapia, uno nessuno e centomila Giuliano. E c’è infatti Romano Prodi, chiuso in un suo guscio forse sicuro, prezioso, inalterabile, o forse invece di una fragilità senza avvenire, che fa capolino, ancora una volta, e riscopre l’Ulivo e l’Unione con tutte le loro balsamiche virtù, e dunque propone Pisapia per proporre in realtà se stesso, per riemergere dalla soffitta, “io gliel’ho detto, se vuoi faccio il Vinavil della sinistra, che è la colla”, dice, e allora si capisce che lo vuole usare come olio che lubrifica, che fa scorrere lo stantuffo del centrosinistra senza che necessariamente il veicolo debba muoversi. E c’è poi Massimo D’Alema che invece lo coccola e lo blandisce, perché caricato di crisma e carisma, secondo lui Pisapia ascenderebbe al rango di leader della sinistra per riparare quei torti che D’Alema crede d’aver subìto, perché solo Pisapia secondo lui può restituirgli l’onore, cacciare i renziani dal tempio, erigere fortezze alla virtù. E c’è anche Enrico Letta, che pure lui lo elogia e lo massaggia, lo prepara e lo sprona, perché Letta non vuole rincasare in quel Pd di cui non ha preso più la tessera, ma certo intende accasarsi “nel centrosinistra più largo”, proprio come Pier Luigi Bersani, che forse non si è pentito della scissione, ma quasi, e allora dice che sì, “bisogna unirsi”, tutti, e “parlare anche con il Pd e il suo segretario, grazie a Pisapia”. E infine c’è Matteo Renzi, che forza la sua naturale e bullesca ritrosia, e allora proprio come gli altri gli sorride e lo invita, vagheggia con lui alleanza e praterie elettorali che si estendono fino a Carlo Calenda, il ministro dello Sviluppo, insomma maneggia Pisapia come fosse un colore o una scenografia, purché ovviamente dalla rappresentazione alla fine si escludano D’Alema e quasi tutti i rottamati e scissionisti.

  

E così l’idea politica che ciascuno proietta sul povero Pisapia è che lui sia un rimedio a tutto, al corpo troppo vissuto della sinistra, alla pancia a pera dell’Ulivo e dell’Unione pensionati ma pronti a tornare in servizio, alle borse sotto gli occhi della rottamazione perduta, alle rughe e ai capelli bianchi di una nomenklatura post comunista e post democristiana che si ripropone all’infinito e non si rassegna al passare delle stagioni, ma al contrario si muove con l’idea sott’intesa di appiattire, banalizzare, disanimare, dissanguare tutto ciò che è pulsante, vivo. Tutti sostenitori e servitori interessati, non perché servendo Pisapia lo diminuiscano, ma perché solo così possono sognarsi ancora in sella e lucrare qualcosa.

  

Dunque povero Pisapia, se un giorno scoprisse di essere disceso in politica solo per permettere a D’Alema di diventare ago della bilancia, per consentire a Massimo la vendicativa e divertente inadeguatezza di rimirarsi e rimuginarsi l’ombelico, o per garantire una seconda impossibile parvenza di gioventù a Prodi, o l’agile rientro nel centrosinistra di Letta, o l’ultima possibilità per Bersani di evitare un pietoso finalissimo, o infine per far da comparsa alla corte di Matteo Renzi, che già gli conta i voti in tasca e non ne trova molti . A servizio di cosa vuole mettere la propria intelligenza, il suo talento, le sue idee, Giuliano Pisapia? E quale tra le tante maschere che i troppi impresari gli vogliono affibbiare è il suo vero volto? Forse tutte le maschere, e dunque nessuna. E allora davvero niente come questo elegante ex sindaco di Milano sembra incarnare il tormento e la confusione del centrosinistra che in Italia esplode, si scombina e si ricombina in una polifonia di formule e in una molteplicità di leader, più o meno anziani, più o meno dotati, capaci d’esprimere ciascuno un suo orizzonte tragicamente incompatibile con quello di tutti gli altri se non per un aspetto, tuttavia ancora piuttosto evanescente: ognuno, a modo suo, invoca Pisapia. Ma un Pisapia diverso, che comincia a rivelare una spiccata affinità con il chewing gum – lo tiri di qua e vuol dire una cosa, lo tiri di là e ne vuol dire un’altra – o forse comincia invece a rivelare una spiccata affinità con il belletto, il travestitismo, il maquillage e il cerone. Governare chi pensa di governarti, usare chi vuole usarti può anche essere una tentazione. Eppure il sospetto di non essere attore, ma agito, Pisapia dovrebbe covarlo. Anche se la cosmetica è, parafrasando Kraus, il cosmo della politica.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.