Virginia Raggi (foto LaPresse)

Basta fango, Virginia Raggi merita un grande monumento

Claudio Cerasa

Maoismo digitale, economia, personale. Grazie a Raggi tutta l’Italia ha capito cosa significa essere governati da Grillo

A un anno esatto dalla sua straordinaria elezione alla guida della Capitale d’Italia, bisognerebbe avere il coraggio di parlare del sindaco Virginia Raggi in modo sincero, genuino e trasparente, senza farci più guidare da stupide e primitive ipocrisie o da assurdi pregiudizi ideologici. Parlare di Virginia Raggi limitandosi a descrivere una città che va a rotoli, in cui l’unico vento cambiato è quello che arriva dai cassonetti dell’immondizia, è riduttivo rispetto al significato più generale rappresentato dal modello Raggi. E perdere troppo tempo a mettere insieme le immagini quotidiane dell’orrore romano è solo un inutile dettaglismo, che alla lunga rischia di farci perdere di vista le ragioni per cui i dodici mesi della nostra adorata Virginia non sono da crocifiggere, sono da monumentalizzare.

 

A un anno dalla sua elezione, dunque, bisogna dire la verità su Virginia Raggi e ammettere che il sacrificio di Roma, almeno finora, non è stato vano e ha permesso a un paese intero di fare quello che altrimenti non sarebbe riuscito a fare: osservare da vicino, in diretta, seppur senza streaming, cosa significa, esattamente, sperimentare il governo grillino. Bisogna dire grazie a Virginia Raggi per aver mostrato al mondo che il populismo alla prova di governo non produce fantastico riformismo, ma produce solo fanatico immobilismo (vedi il caso delle Olimpiadi a cui il sindaco di Roma ha scelto di rinunciare in modo ideologico trascurando i benefici in termini di investimenti che avrebbero arricchito la città solo per poter rivendicare l’orgoglio di aver detto di no alle Olimpiadi del mattone).

 

 

Bisogna dire grazie a Virginia Raggi per aver mostrato al mondo che il populismo alla prova di governo finisce sempre con il concentrarsi più sulla difesa del moralismo che sulla difesa dell’efficienza (vedi il caso della difesa dei tassisti nel giorno in cui i tassisti hanno messo a ferro e fuoco la Capitale d’Italia per protestare a colpi di bombe carta contro un emendamento utile per regolarizzare il noleggio con conducente e vedi soprattutto la scelta di non intervenire sulle condizioni disastrate della principale municipalizzata romana, l’Atac, che il sindaco di Roma ha scelto di non privatizzare, nonostante il debito mostruoso da 1,3 miliardi e i 400 milioni di buco annuale). Bisogna dire grazie a Virginia Raggi per aver mostrato fino in fondo il valore di un Luigi Di Maio nella capacità di selezione della classe dirigente grillina (Di Maio, protagonista nel romanzo Raggi di una scena indimenticabile in cui ammette di non essere stato in grado di leggere una email con cui un’ex assessore della Raggi gli anticipava di essere indagata, è responsabile degli enti locali e gli enti locali, a poco a poco, si stanno trasformando non a caso nella fotografia perfetta dell’inadeguatezza del Movimento 5 stelle).

 

Bisogna dire grazie a Virginia Raggi anche per aver mostrato fino in fondo dove può arrivare il gioco dei due pesi e delle due misure del 5 stelle che si scoprano garantisti solo nei casi in cui le indagini riguardano gli eletti grillini (giusto un attimo prima di ritrovarsi con il proprio sindaco indagato per falso e abuso di ufficio, Grillo decide magicamente di cambiare il codice di comportamento del movimento). Bisogna dire grazie a Virginia Raggi per tutto questo ma anche per altro. Per la sua abilità a far uscire allo scoperto le faide esistenti nel Movimento 5 stelle. Per la sua abilità a fotografare il caos di un governo grillino che nel giro di pochi mesi è riuscito a registrare la partenza o la cacciata di un’assessore all’Ambiente, di un assessore all’Urbanistica, di un assessore alle Partecipate, di un assessore al Bilancio, di un altro assessore al Bilancio e che in 365 giorni non è ancora riuscito a trovare un capo di gabinetto da affiancare al sindaco. Bisogna dire grazie a Raggi anche per aver mostrato che cos’è la truffa della democrazia diretta, e cos’è il maoismo digitale, grazie alla sottoscrizione al momento della sua candidatura di un contratto con il Movimento 5 stelle (con penale da 150 mila euro) che certifica una serie di cose che vale la pena ricordare. Primo: il 5 stelle non rispetta un principio costituzionale chiave come quello contenuto nell’articolo 67 della Costituzione (“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”). Secondo: il 5 stelle considera i suoi eletti come delle persone le cui volontà dipendono dalle decisioni di un’azienda privata che deve avere voce in capitolo su scelte che dovrebbero essere di esclusiva competenze di un sindaco (dagli appalti pubblici, alla gestione delle municipalizzate, dal piano regolatore, alla revoca di un assessore). 

 

Terzo: il 5 stelle spaccia per democrazia diretta una democrazia diretta da una società privata (la Casaleggio Associati) eterodiretta da un blog (beppegrillo.it) che fattura anche grazie alla pubblicità generata dai contatti ricavati dalle dirette streaming che la giunta grillina regala al blog in assenza di qualsivoglia gara pubblica o di apposita concessione. Per tutto questo, e per molto altro (e per eleganza non vi abbiamo parlato del fatto che il braccio destro del sindaco dell’onestà si trova da mesi in carcere accusato di corruzione) bisognerebbe ringraziare di cuore Virginia Raggi e tutt’Italia le dovrebbe porgere un tributo. La Roma di oggi è quella che è ed è un perfetto disastro. Ma la verità è che senza Virginia Raggi non sarebbe stato possibile capire cosa significa essere governati dai grillini. E grazie al sindaco di Roma gli elettori di mezza Italia hanno cominciato a capire già da queste amministrative che pur di non avere un’altra Raggi vale la pena votare chiunque non faccia parte della casta populista. Buon anniversario sindaco e nell’attesa di organizzare una grande marcia sul Campidoglio non possiamo che dedicarti un momento e dirti grazie di esistere.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.