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Il triangolo di Renzi

Roberto Arditti

La partita tattica e delicata che attende il segretario del Partito democratico in vista delle elezioni politiche

La pressione si va facendo più forte di giorno in giorno. C’è Pisapia, con le sue uscite tatticamente perfette (primarie di coalizione a appello a Prodi). C’è Veltroni con i suoi mal di pancia. C’è Napolitano, che usa parole durissime. E’ c'è infine lo stesso Prodi, attivo come non mai con tanto di libro/manifesto, non a caso presentato ieri al Centro studi americani. E poi ci sono i risultati elettorali, in fondo non così complessi da decifrare: il M5s va in affanno come tutti i movimenti di protesta a mano a mano che passa il tempo, i due “poli” di centrosinistra e centrodestra sono più o meno di forza equivalente, con qualche segnale positivo in più per chi è stato negli ultimi anni all’opposizione, come sempre accade. Passati i ballottaggi dunque inizia la partita vera, quella che porta alle elezioni nazionali del prossimo anno.

 

Qui si misura la tempra del protagonista principale della nostra scena politica, cioè Matteo Renzi. Lui è il soggetto (in senso relativo) più forte, lui ha più carte da giocare, poiché è quasi impossibile immaginare un governo nella futura legislatura in grado di prescindere dal Pd. Cerchiamo allora di guardare avanti, iniziando dalla nobile arte della geografia.

 

Dice Google Maps che (a piedi) sono 400 i metri che separano largo del Nazareno (cioè l’ufficio di Renzi) da Palazzo Chigi, mentre sono 650 quelli che lo separano dal Quirinale. Ecco lo spazio politico essenziale su cui il segretario del Pd può, o meglio deve, costruire la sua strategia. Anche per evitare di trasformarlo in un Triangolo delle Bermuda, dove il suo jet politico potrebbe fare una brutta fine.

 

Renzi viene da un pessimo 2016, lascia la guida del governo a Paolo Gentiloni. Nel 2017 subisce anche una scissione, con buona parte del gruppo dirigente di provenienza Pci che lo abbandona per formare una nuova “casa” politica. Però reagisce, trovando la forza di farsi rieleggere segretario del Pd con una consultazione popolare da 1.800.000 partecipanti, che vince con largo margine. Quindi si conferma alla guida del più importante partito italiano, che è tale innanzitutto per la sua assoluta predominanza nel ceto politico-istituzionale della Repubblica. Adesso è di fronte alla vera prova di maturità della sua carriera, soprattutto perché nel “sistema” di potere nazionale (e non solo) c’è ormai un certo scetticismo nei suoi confronti. Troppa spavalderia esibita sistematicamente, eccessiva tendenza alla scelta di persone nei luoghi che contano con criteri di fedeltà assoluta (che poi dura fin che dura), spesso insopportabile disinvoltura nel cambiare posizione senza avere il coraggio di ammetterlo (vedi miserevole vicenda della legge elettorale). Proprio per questo diventa decisivo il triangolo, dove peraltro Renzi ha la fortuna di trovare due persone adatte alla costruzione di un accordo virtuoso, sia per ragioni caratteriali che per esperienza politica.

Cosa ha fatto Renzi in questi mesi? Ha sostenuto Gentiloni con una palese riserva mentale, lasciando capire un giorno si e l’altro pure di non veder l’ora di tornare a Palazzo Chigi. Inoltre ha manovrato sugli equilibri politici della prossima legislatura con eccessiva spregiudicatezza, fingendo di non sapere che nel nostro ordinamento le coalizioni di governo, a maggior ragione se eccezionali, nascono al Quirinale. Chi ha dei dubbi in proposito si rilegga le cronache del 2011 (governo Monti) e del 2013 (governo Letta): due maggioranze impensabili senza la regìa di Giorgio Napolitano. Ecco il punto, che riporta Renzi a fare i conti con il triangolo. Se vuole uscire da vincitore politico di questa stagione deve agire in pieno accordo con gli altri due vertici della figura, esercitando fino in fondo il suo ruolo di capo politico del Pd. Usi, invece di subire, la separazione di ruoli tra lui e Gentiloni, condizione che può rivelarsi estremamente utile in chiave elettorale (infatti i sondaggi del Pd sono in miglioramento da mesi). Faccia il leader della sinistra alleata con pezzi di centro, evitando di cincischiare intorno a un governo futuro con Berlusconi, che è materia scivolosissima e comunque solo parzialmente di sua competenza, poiché sarà il Capo dello stato, vista la situazione del Parlamento che verrà, a fare le valutazioni del caso. Insomma giochi la sua parte della commedia, lasciando agli altri due protagonisti lo spazio adeguato. Non saranno loro i beneficiari di questo atteggiamento, bensì Renzi medesimo, trasformato in leader politico e uomo di stato che sa quando frenare e quando accelerare. La smetta di immettere ansia nel sistema, che tanto ha già chiarito a tutto il mondo di poter fare a meno di lui. E se ha dei dubbi chieda a Benjamin Netanyahu, che lascia l’ufficio di primo ministro d’Israele nel 1999, all’età di cinquant'anni. Ci torna dieci anni dopo, nel 2009. Sono passati 8 anni ed è ancora lì. Saper aspettare il proprio turno è tipico di chi ha talento.