Romano Prodi (foto LaPresse)

Renzi e Alfano, D'Alema e Prodi. In politica tradire è una banalità

Salvatore Merlo

Alfano accusa Renzi di tradire Gentiloni. D’Alema, che tradì Prodi, s’indigna dei tradimenti altrui

Roma.  Alfano accusa Renzi di aver tramato per tradire Gentiloni a febbraio come già aveva tradito due anni fa quell’Enrico Letta che pure anche Alfano aveva a sua volta tradito entrando nel nuovo governo. E insomma Alfano, traditore di Letta in concorso con Renzi, si sente tradito da Renzi, che si sta accordando con Berlusconi per fare la legge elettorale, dunque tradisce il suo traditore imputandogli un altro tradimento. E nell’Italia politica, si sa, il tradimento ha un’eternità di foresta. Da sempre si stringono falsi patti per poi romperli al momento giusto, e da sempre tutto questo tradire – la famosa doppiezza, che fu di Togliatti ma anche di Andreotti – lascia alla fine un sentimento di catastrofe confusa e di universale ma trasparente e quasi onesto inganno. E’ infatti probabile che i traditori non impressionino poi così tanto gli italiani, i quali hanno un gran culto della furbizia, come diceva Prezzolini, e semmai disprezzano i traditi, quelli cui talvolta gridano: cornuto. Tanto che fa quasi impressione, e confonde, vedere Massimo D’Alema, che come sappiamo è un traditore quasi shakespeariano nel teatro politico d’Italia, indispettirsi e farsi drizzare i baffi fino a trascendere nell’insulto (“lei è uno stupido”), quando Marco Damilano gli ricorda in televisione, se non altro per assonanza coi tempi che corrono, il suo tradimento a Prodi nel 1998. 

  

“Lei è uno stupido. Perché io cercai di salvare il governo Prodi, com’è noto”, dice allora Massimo D’Alema in televisione, senza trattenere la sua famosa stizza, mentre si rivolge a Damilano, il giornalista che gli ricordava quelle vie oblique, vie dalemiane appunto, che nel 1998 lo portarono a Palazzo Chigi.

   
E certo, ufficialmente, a far cadere Romano Prodi e il governo dell’Ulivo fu Fausto Bertinotti, che tolse l’appoggio esterno al governo del Professore. Ma la realtà, che tutti sanno e tutti raccontano da diciannove anni, una realtà attorno alla quale si è gonfiato anche quel culto incongruo della furbizia di cui D’Alema è ancora circonfuso in questo paese (e qui, come si vede, ritorna utile Prezzolini), è che l’allora segretario dei Ds si garantì Palazzo Chigi stringendo un patto di tradimento con Franco Marini, che era il segretario del Ppi e che, come scrisse Francesco Verderami nel 2001 sul Corriere della Sera, ammise: “E’ vero, io e D’Alema complottammo contro Prodi”.

  
E insomma nel 1998 D’Alema (Renzi) chiese a Bertinotti (Alfano) di tradire Prodi (Letta/Gentiloni), a riprova del fatto che la menzogna, l’opportunismo e la furbizia, in definitiva il tradimento, fluiscono nei rapporti politici d’Italia come un dono e come un’oscura benedizione.

  
La politica tende infatti a un’ambiguità suggestiva, all’irrealtà di un gioco paradossale d’amori opachi e bugiardi. Renzi tradisce Alfano sulla legge elettorale, ma è poi a sua volta tradito da Alfano che rivela il tradimento di Renzi ai danni di Gentiloni, il quale Gentiloni è dunque un tradito (da Renzi) ma potrebbe anche diventare un traditore (di Renzi) invocando l’aiuto di Mattarella. E così, anche a rischio di perdersi in questi dedali, si capisce come quella del tradimento sia una cultura plurima, inappagata e permanente, fondata sulle ripetizioni, dei riti, delle bugie, delle promesse, delle cerimonie, dei rapporti: s’imbroglia e si è imbrogliati, con alterna e indifferente pendolarità. D’Alema fregò (Occhetto, Prodi, Di Pietro, Marini, Cofferati, Berlusconi…), e si fece fregare (Veltroni, Prodi, Bossi, Berlusconi…). E chi ha fregato una volta, ovviamente fregherà ancora.
Il tradimento è dunque una categoria neutra, un’eventualità sempre possibile, da accettare con il fatalismo con il quale si scrollano le spalle di fronte a un fenomeno atmosferico, un improvviso temporale o una nevicata.

    
E non è certo un dettaglio che la parola tradire derivi dal latino “tradere”, cioè “offrire”. Perché Renzi tradisce Alfano, e Alfano tradisce Renzi, è vero. Ma come il traditore D’Alema si fece poi difensore nel 2006 del tradito Prodi (per poi ri-tradirlo nel 2015 alla corsa del Quirinale), così il traditore e tradito Alfano – lui che oggi stringe rapporti con i trentuno senatori del Pd che stanno tradendo Renzi – domani potrebbe tradire questi traditori e far pace con chi lo aveva tradito (Renzi) in cambio di una piccola modifica alla legge elettorale. E insomma il tradimento, il voltafaccia, in politica non ha valore sinistro, in sé. Piuttosto, nello zampettare di Alfano, e nella spavalderia di Renzi, come nella stizza di D’Alema che finge di non conoscere il gioco che ha giocato per tutta la vita, c’è qualcosa di naturale, e persino di modesto. L’Italia di sempre, che ha con il tradimento, e con la furbizia, un rapporto forte e stretto. Non è un bello spettacolo, ma va avanti così almeno dall’inizio della Repubblica.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.