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Così il partito del non voto si organizza al Senato contro la legge elettorale

David Allegranti

Forza Italia al lavoro contro il rischio Vietnam a Palazzo Madama. Grillo richiama i suoi. Letta in campo. Le trattative di Alfano

Roma. “Ci stiamo preparando”, assicurano al Foglio i vertici di Forza Italia, consapevoli che al Senato non ci sono solo i malumori del Pd a smussare l’ottimismo di Maria Elena Boschi (che pure dice di essere “sempre fiduciosa”) e a intensificare le preoccupazioni di Matteo Renzi, ma anche quelli di una parte dei berlusconiani. E dentro quel “ci stiamo preparando” è contenuto il senso di una partita sulla legge elettorale che è ancora tutta da giocare. Non tutti i senatori italo-forzuti sono convinti della bontà di un’accelerata sul sistema di voto, che inevitabilmente porterà al ritorno anticipato alle urne. “Ci stiamo preparando”, dunque. E come? “Con un’opera di convincimento personale”, dicono i vertici di Forza Italia, che evidentemente vogliono passare in rassegna tutti i senatori per evitare brutte sorprese.

 

Il senatore Mario Mauro è sicuro che le resistenze potranno essere superate “convincendo tutti sul piano politico che viene confermato l’orizzonte di una intesa con le forze che già governano con Forza Italia nel nord del paese”. Insomma, è chiaro che il Senato è il luogo dove resistenze e pietre d’inciampo abbondano. Trentuno senatori del Pd, côté Andrea Orlando, hanno appena firmato un documento per dire no al proporzionale e alla caduta del governo.

 

“Nel mentre si confrontano, del tutto legittimamente, modelli e soluzioni spesso molto lontani tra di loro, sosteniamo con determinazione la necessità che il Pd tenga fermo il principio dell’equilibrio tra governabilità e rappresentanza quale requisito non contrattabile nel doveroso confronto parlamentare con tutti i partiti e movimenti, scongiurando ogni ipotesi proporzionalistica”. Ipotesi che, spiegano i senatori del Pd – da Vannino Chiti a Massimo Mucchetti – “produrrebbe ingovernabilità ed instabilità, ripristinando il potere di scelta dei parlamentari da parte dei cittadini”. Le insidie sono molte anche perché i Cinque stelle sono in ebollizione. “Sulla legge elettorale, noi chiedevamo un cavallo ma sta arrivando un asino. Comunque ora ci sarà la fase emendativa e si arriverà all’ultima versione del testo, dopodiché decideremo se la versione finale è conforme al mandato che ci ha dato la votazione fatta su Rousseau”, dice il capogruppo dei grillini al Senato Carlo Martelli.
Beppe Grillo, venuto a conoscenza delle perplessità (per usare un eufemismo) dei suoi parlamentari, ha scritto un post sul Sacro blog per richiamarli all’ordine. “Il MoVimento 5 Stelle chiede di andare al voto dal 4 dicembre e sin da allora abbiamo proposto di approvare una legge elettorale costituzionale che permettesse di farlo. Prima era il Legalicum, ora è il modello tedesco, votato a stragrande maggioranza dai nostri iscritti con oltre il 95 per cento delle preferenze. I portavoce del MoVimento 5 Stelle devono rispettare questo mandato perché il testo depositato in commissione mercoledì sera corrisponde al sistema votato dai nostri iscritti: proporzionale con 5 per cento di sbarramento e divisione tra seggi proporzionali e collegi uninominali con predominanza dei primi per assegnare i seggi”. Quindi, “se gli altri partiti non cambieranno idea sul modello tedesco, i portavoce del MoVimento 5 Stelle in Parlamento voteranno a favore del testo, come deciso dai nostri iscritti che hanno e avranno sempre l’ultima parola su tali questioni. Vogliamo garantire agli italiani che potranno votare al più presto con una legge elettorale costituzionale”.


Un parlamentare vicino a Denis Verdini, attento osservatore di quel che si muove tra Montecitorio e Palazzo Madama, spiega al Foglio che cosa potrebbe succedere in Senato nei prossimi giorni. “A voto segreto scatterà la trappola per rimandare la legge alla Camera e far saltare il timing. Anche molti grillini sono furibondi: quando è a rischio il seggio le differenze politiche scompaiono”. In Forza Italia, non ci dovrebbe essere una fronda organizzata, “ma l’80 per cento dei forzisti sa di non essere ricandidato e a scrutinio segreto farà scattare la clausola di salvaguardia sul suo futuro”. Non sarà un “Vietnam nel senso che nessuno si comporterà da Vietcong facendo guerriglia. Ma ci potrà essere un attentato isolato in grado di far saltare tutto”. I 25 senatori di Alfano potrebbero costituire un problema, visto il recente duello fra il ministro dell’Interno e il segretario del Pd. Eppure, raccontano, nonostante le insofferenze e le accuse reciproche, piuttosto feroci, gli alfaniani tengono le trattative aperte, anche se i desiderata pubblici di Ap sembrano essere molto lontani dall’essere esauditi (“Spero che andremo a elezioni con una legge elettorale che dia un premio di maggioranza a chi vince e che permetta agli italiani di scegliere”, non con un sistema “con liste più bloccate del Porcellum”) e quelli privati ancor più lontani (Alfano vorrebbe ridurre dal 5 per cento al 3 per cento la soglia di sbarramento oppure avere candidati in blocco i suoi parlamentari nelle liste renziane alle prossime elezioni politiche). Ci sono poi le pressioni che arrivano dall’esterno. Tra i più attivi c’è l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta: “Siamo al termine di una legislatura che non solo ha fallito le riforme istituzionali ma in cui nemmeno si è tornati al punto di partenza. Si torna indietro perché si gioca una partita su una legge elettorale peggio della Prima Repubblica, quando almeno si potevano scegliere i parlamentari. Questa volta nemmeno questo potrà essere concesso agli elettori italiani”. Aggiunge Letta: “Non si fa una legge elettorale e la mattina dopo si vota, è regola fondamentale della democrazia”, non si va al voto senza dare “nemmeno il tempo a chi non l’ha scritta di leggerla”. Letta spera che “la chiusura della legislatura avvenga in ordine, per non ipotecare la prossima” consegnando “una zavorra, anche sul fronte dei conti, ma mettendo la nuova legislatura nella condizione di poter lavorare bene”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.