Mario Draghi con Ignazio Visco (foto LaPresse)

Un'agenda anti immobilismo

Claudio Cerasa

Draghi, Visco, Mattarella, Gentiloni e i custodi del buon senso in lotta contro l’Italia dello sfascio

Mario Draghi, Sergio Mattarella, Paolo Gentiloni e ora Ignazio Visco. C’è un quadrilatero del buonsenso che da qualche tempo a questa parte sta tentando di offrire alla classe dirigente italiana vaccini utili per rafforzare il nostro sistema immunitario contro un virus pericoloso di nome MeningoSfascio. I sintomi del MeningoSfascio, una volta introdotto nell’organismo, sono autoevidenti: si descrive il nostro paese come una realtà prossima allo sfascio e si utilizza questa descrizione farlocca per legittimare le proprie inutili campagne politiche. In presenza di molti elettori e molti politici colpiti dal MeningoSfascio, gli sfascisti hanno gioco facile e qualche volta, laddove il MeningoSfascio diventa un’epidemia, vincono le elezioni (per fortuna quasi mai). Laddove invece gli elettori e gli osservatori riescono a guardare la realtà con occhio lucido e non ideologico, i professionisti dello sfascio devono fare i conti con la verità dei fatti. E di fronte alla verità, come si sa, la post verità degli sfascisti di solito (quasi sempre) si scioglie come neve al sole.

 

Da posizioni diverse Draghi, Mattarella, Gentiloni e Visco si stanno muovendo per aprire gli occhi alla nostra classe dirigente e dimostrare in modo più o meno felpato che è arrivato il momento di smetterla di dire scemenze quando si parla del futuro dell’Italia.

Ignazio Visco, ieri, durante le sue considerazioni finali, ha scelto, come ha fatto Mattarella in questi giorni e come ha fatto anche Gentiloni, di non prestare il fianco alle inutili e ridicole polemiche sul voto anticipato (non fare polemiche inutili è un modo prezioso per prevenire il MeningoSfascio). E il governatore ha così deciso di far sua una parte dell’agenda Draghi ribadendo che l’Italia sta crescendo, sì, ma sottolineando che per crescere come si dovrebbe è necessario non occuparsi di stupidaggini (“Bisogna cercare il consenso con programmi fondati sulla realtà”) e affrontare alla radice alcuni problemi spesso trattati dalla classe politica non con il necessario vigore: le rendite di posizione, i vincoli burocratici, la scarsa produttività. Il problema, dunque, lo ha ripetuto Visco, lo ripete spesso anche Draghi, non è difendersi dal populismo. Il problema, semmai, è difendersi dall’immobilismo. Ed è seguendo questo filo conduttore che si spiega anche la ragione per cui molti osservatori internazionali osservano in modo positivo lo scenario del voto anticipato. Una legge di Stabilità partorita in un clima pre elettorale è una legge di Stabilità che rischia di essere poco ambiziosa e di alimentare l’immobilismo (la baruffa sui voucher, che sarà il detonatore di questa legislatura, è solo l’antipasto di quello che potrebbe accadere in autunno se sarà questa maggioranza a scrivere la prossima legge di Stabilità). E una legge di Stabilità non ambiziosa (immobile) rischia di essere un problema anche rispetto a uno scenario importante che si andrà a delineare nei prossimi mesi.

 

A ottobre, il 26, nel corso del penultimo consiglio direttivo dell’anno della Banca centrale europea, Mario Draghi, in virtù delle buone performance europee e della crescita dell’inflazione ormai prossima al 2 per cento, dovrà quasi inevitabilmente annunciare una riduzione dell’acquisto dei titoli di stato. Ed è evidente che un conto è ridurre l’acquisto dei titoli in piena campagna elettorale italiana (2018). Un altro è ridurlo al termine di due campagne importanti come quella tedesca e quella italiana, in presenza cioè di governi in teoria più stabili rispetto a quelli di oggi. Non è soltanto una questione di tattica o di strategia. E’ una questione di visione, che in questa fase accomuna sia il presidente della Repubblica (che combatte lo sfascismo evitando polemiche), sia il presidente del Consiglio (che combatte lo sfascismo evitando polemiche), sia il governatore della Banca centrale, sia il governatore della Banca d’Italia. Tutti allineati su un principio ovvio. Se si vuole votare, si vada pure a votare. Ma se si vuole votare la si smetta di dire fesserie sui rischi che corre l’Italia in caso di voto anticipato (non ci sono) e ci si concentri sui rischi che corre l’Italia se invece che combattere con decisione l’immobilismo si limiterà a combattere genericamente il populismo. La verità è che l’Italia cresce, migliora, crea occupazione esporta quasi ai livelli tedeschi e in un certo senso descrivere un paese allo sfascio è un modo per legittimare le forze dello sfascio. I custodi del buon senso lo hanno capito e stanno provando a vaccinarci. E forse, oggi, più che pensare ai rischi che si correrebbero andando al voto anticipato bisognerebbe concentrarsi sui rischi che si correrebbero se in campagna elettorale al posto dell’agenda Draghi venisse imposta da tutti l’agenda Sibilia. Con sobrietà e discrezione il quadrilatero del buon senso, in fondo, è lì a dirci anche questo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.