Foto tratta dal profilo Facebook di Edgar Meyer

Il nuovo partito trasversale animalista del Cav. fa scouting tra i 5 stelle

Marianna Rizzini

Lo strano caso Meyer, ovvero: un animalista è per sempre. Perché il caso del "tecnico" tedesco è il capostipite dell’inevitabile quanto sofferta ibridazione del Movimento che vuole mantenersi autarchico

Roma. Forse la tigre bianca del Bengala e il Silvio Berlusconi animalista possono arrivare dove mai arrivò Pier Luigi Bersani con lo scouting. Così si era pensato nell’apprendere che Edgar Meyer, animalista storico, di origine tedesca, era stato designato dalla deputata di Forza Italia Michela Vittoria Brambilla come vicepresidente del neonato Movimento animalista tanto voluto dal Cav., nonostante lo stesso Meyer fosse stato nominato anche a Roma, come consulente dell’assessore all’Ambiente della giunta Raggi Pinuccia Montanari, in virtù della precedente, genovese esperienza con Montanari medesima. E pareva pura Nemesi, quella: un consulente dei Cinque stelle che – sebbene non sia propriamente Cinque stelle in quanto “verde” – viene trasversalmente scelto come seconda gamba di un movimento presieduto da una deputata forzista, per effetto di uno scouting animalista (Meyer si preoccupa infatti, come Brambilla, della sorte di cani, stambecchi e persino del poco noto ai profani “muflone dell’Isola d’Elba”).

 

Altro che miracolo a Milano, città dove Meyer è molto conosciuto. Pareva un gioco riuscito a destra dove la sinistra quattro anni fa aveva fallito, ma ieri il titolo sul sito di Rep. lanciava l’allarme sulla “prima scissione degli animalisti” e sui tormenti del “tecnico” Meyer, che tecnico vuole essere definito proprio per fugare i sospetti di doppiezza (ubiquità?) politica. Perché, da neocollaboratore di una giunta a Cinque stelle, non si può muovere un passo senza che il web insorga (ci sono attivisti grillini puristi che non accettano l’idea che si possa applicare l’alleanza “per temi” che in altri contesti il M5s sponsorizza – guai a farsi vedere in giro con Berlusconi). Ma da animalista che con Brambilla dialogava da prima che la giunta Raggi decidesse la sua chiamata a Roma, non si può neanche liquidare la causa di una vita in nome del purismo grillino (ci sono foto che ritraggono Meyer e Brambilla insigniti in tandem, nel 2011, del premio San Francesco – santo che piace molto anche a Beppe Grillo, ma tant’è). E la scelta di Meyer, che ha dovuto chiarire di non volere candidature con il Movimento animalista berlusconiano e che già su Facebook, prudentemente, si era definito ecoanimalista che lotta per l’affermazione del “biocentrismo”, diventa adesso il piccolo evento capostipite dell’inevitabile quanto sofferta ibridazione del Movimento che vuole mantenersi autarchico: da soli non si va lontano. Ma accompagnati può essere pure peggio: quando non scoppiano grane (vedi il caso Marra, vedi il caso Muraro), ci si imbatte in gente con un passato (Meyer, scelto dalla Giunta Raggi, ha appunto un passato-presente animalista anche a fianco della deputata forzista, con cui, ha detto, in tema di diritti degli animali ha sempre lavorato benissimo). E si capisce che, di fronte al deflagrare preventivo di malumore presso la sempre ribollente base grillina, Meyer abbia preferito la terza via, ovvero parlar d’altro.

 

Sempre su Facebook, dove due giorni fa scriveva “sono tedesco e non voto in Italia (non solo dunque è “tecnico”, ma pure impossibilitato geograficamente ad impegnarsi in prima linea), ieri campeggiavano parole di sollievo per la suddetta tigre del Bengala (e del Bioparco). Esemplare sequestrato a un circo dai Carabinieri forestali che , diceva Meyer, ha mosso “i suoi primi passi sull’erba” dopo mesi di “cure intensive”. E scriveva, il Meyer collaboratore della Giunta a Cinque stelle già dialogante con i non Cinque stelle, che “i diritti degli animali si tutelano con le leggi, con le forze dell’ordine e con strutture in grado di ospitare animali che non possono più essere introdotti in natura”. Ma alla fine la scelta c’era già (ché è meglio forse prevenire, piuttosto che curare, la furia internettiana degli attivisti puristi grillini, meno mansueti della tigre bengalese). E infatti Meyer, alla fine dell’inno alla tigre, ringraziava caldamente Montanari per l’opportunità offerta.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.