Se l'accoglienza affonda il modello Sala

Redazione

Perché l’eccesso di retorica rischia di appannare il sindaco realista

Subito mette le mani avanti, “dal giorno dopo, però, riprenderemo a fare quello che facciamo ogni giorno: lavorare affinché ci sia una vera integrazione, e non solo una generica accoglienza”. Il giorno prima, però, sabato 20 maggio, il sindaco di Milano Beppe Sala sfilerà nella manifestazione “Insieme senza muri” promossa proprio dal comune (la primogenitura ideologica spetta all’assessore al Welfare Pierfrancesco Majorino, punta di lancia milanese della minoranza dem che ha sfidato Matteo Renzi al recente congresso) sull’esempio dell’analoga marcia “Vogliamo accogliere” organizzata qualche mese fa a Barcellona con benedizione della sindaca Ada Colau, contro le politiche di chiusura all’immigrazione che sempre più si affacciano in Europa. A Barcellona parteciparono 160 mila persone. A Milano le persone previste saranno molte di meno, attorno alle ventimila, ma ci saranno Emma Bonino e Pietro Grasso, le ong e le associazioni che si occupano di accoglienza, il mondo cattolico (seppure dalla curia e zone limitrofe sia venuto anche qualche caveat contro gli eccessi retorici), e tutta la compagnia di giro della cultura prog.

Non è questo il problema, manifestare non costa niente. Il problema del sindaco di Milano, ma è un problema che ovviamente non riguarda soltanto lui, è decidere culturalmente quale linea seguire. Sala, in un’intervista ieri a Repubblica, ha messo in fila le sue idee e qualche contraddizione. “La sicurezza di sinistra è quella che non si vergogna di chiedere più militari”, ma allo stesso tempo è tornato a criticare il blitz di qualche settimana fa alla stazione Centrale, che pure rientra nello stile efficientista à la Minniti: “Non è il nostro modello”, “la vera fotografia di Milano non è quella della Centrale”. Certo, quel blitz di controlli si poteva fare meglio, e sarebbe risultato più utile. Ma è un errore continuare a mettere tra parentesi l’esistenza di un’emergenza conclamata e che dalle sponde del Mediterraneo arriva a Milano come in un suo hub naturale, generando una situazione d’allerta gestionale e anche sociale. E’ il contrario di quel che la sinistra riformista dovrebbe fare, se non avesse demagogicamente paura della parola “sicurezza”. Ma è uno spartiacque culturale su cui la sinistra tornerà a scontrarsi nei prossimi mesi elettorali. C’è da scommetterci, ed è un peccato. Anche per il famoso “modello Milano”.

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