Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

“Il mio manifesto anti populisti”. Intervista a tutto campo con Silvio Berlusconi

Claudio Cerasa

No al lepenismo. No al grillismo. E no al renzismo. Sì al modello Merkel. Sì a una legislatura costituente nel 2018. Sì al memorandum del Foglio. Sì alla doppia moneta. E su Draghi e Boschi… “Tornare in Senato prima della fine della legislatura? Ci spero, sì”

Metterli insieme, almeno per il momento, è quasi impossibile, lo sappiamo, e così abbiamo fatto il massimo che ci era consentito: li abbiamo messi uno dopo l’altro. Sulla nostra edizione del weekend abbiamo raccolto le parole di Matteo Renzi, nella sua prima intervista da segretario del Pd, e sull’edizione di oggi abbiamo raccolto le parole di Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, che in una lunga conversazione con il Foglio accetta di mettere insieme alcune idee utili per ridimensionare i populismi, accetta di spiegare con esattezza che cosa sogna di fare il centrodestra nella prossima campagna elettorale e accetta di definire con chiarezza perché dopo le elezioni francesi una forza politica matura che vuole tornare a governare e che non si vuole solo limitare a chiacchierare non può che dire di no, per sempre, a ogni forma e a ogni derivato del lepenismo. Cominciamo da qui, con Silvio Berlusconi – che nel corso della nostra chiacchierata affronterà moltissimi temi, economia, Bce, Euro, Merkel, Grillo e arriverà a spiegare anche perché non va crocifissa Maria Elena Boschi. Cominciamo cioè dall’evento che ha cambiato forse in modo definitivo il futuro della politica europea: la vittoria francese di Emmanuel Macron.

   

“Cos’è la destra? Per noi lo stato ha il ruolo dell’arbitro nelle partite di calcio, fa applicare le regole ma non influisce sul risultato”

Presidente Berlusconi, le elezioni francesi si sono concluse con una straordinaria affermazione di un candidato che fino a un anno fa non aveva alcun partito e che è riuscito a raccogliere molti voti puntando forte sui temi dell’Europa, sulla globalizzazione e sull’essere un’alternativa netta ai movimenti anti sistema. Cosa può insegnare all’Italia la storia della vittoria di Macron e della sconfitta di Le Pen? “Insegna due cose importanti: che i partiti, se non sono capaci di rinnovarsi davvero, soffrono di una crisi che sta mettendo in discussione l’intero sistema di rappresentanza politica in occidente. Gli elettori sono stanchi, ovunque, delle solite facce, dei professionisti della politica, dell’apparato. La vittoria di Trump in America e quella di Macron in Francia hanno questo in comune: nascono dalla voglia di un profondo rinnovamento della politica. Il secondo aspetto riguarda la sconfitta annunciata della signora Le Pen. Nonostante il brillante risultato, e nonostante il fatto che abbia saputo interpretare i sentimenti, le paure, le legittime frustrazioni di una parte importante dell’elettorato francese, la leader del FN sconta il limite di tutti i movimenti di destra identitaria e anti sistema: non soltanto non riescono a vincere, ma dividendo il fronte moderato finiscono con il favorire la vittoria di candidati di sinistra”.

“Cos'è la sinistra? Beh nella visione socialista l’arbitro decide chi è più debole fra le due squadre e la aiuta a vincere…”

In una precedente intervista fatta al nostro giornale ha affermato che un centrodestra maturo per essere alternativo alle forze anti sistema ha la necessità di mostrare indipendenza e di emanciparsi anche da alleati potenzialmente riottosi. Crede che la sconfitta di Marine Le Pen sia una conferma dell’idea che alle elezioni Forza Italia ha il dovere di presentarsi in modo autonomo, senza alleanze? “Come ci presenteremo alle elezioni dipenderà ovviamente soprattutto dalla legge elettorale. Però su una cosa non ci possono essere dubbi, noi lavoriamo per la vittoria del centro-destra unito. Perché questo sia possibile occorre che il centro-destra abbia un carattere fondamentalmente liberale, cristiano, riformatore, convinto che l’Europa debba cambiare ma europeista nella sua ispirazione di fondo. Altrimenti – lei in questo ha perfettamente ragione – finiremmo come il Fronte Nazionale in Francia: il pieno di voti in alcune aree del paese, ma nessuna possibilità di vittoria. L’Italia ha una fortuna rispetto ad altri paesi europei – e il merito di questo, mi perdoni l’immodestia, è di Silvio Berlusconi – : le ragioni della destra, isolate e demonizzate negli anni della Prima Repubblica, dal 1994 ad oggi hanno trovato cittadinanza in uno schieramento di governo a guida di Forza Italia. Non sono state annullate, sono state ricomprese in un progetto più vasto, di tipo liberale, che a quelle paure, a quella rabbia, a quelle frustrazioni, – che sono legittime – non si limita a dare uno sfogo ma offre delle risposte concrete e credibili. Questo da un lato ha evitato degenerazioni anti sistema delle frange più estremiste, dall’altro ha consentito di creare un centrodestra unito di governo. Io credo che dobbiamo continuare sulla strada degli ultimi 23 anni. Spero che i nostri alleati ne siano altrettanto consapevoli”.

  

Più Merkel, meno lepenismo
“Il limite dei movimenti di destra identitaria e antisistema? Non riescono a vincere e dividendo il fronte moderato favoriscono i candidati di sinistra”, ci dice il Cav.

A settembre, come ricorderà, si voterà anche in Germania, dove Angela Merkel proverà a essere nuovamente confermata alla guida del governo. Che giudizio dà della cancelliera Merkel? In cosa crede che il modello politico adottato dalla Cdu in Germania possa essere da esempio anche per l’Italia? “La signora Merkel, che stimo e con la quale ho un rapporto personale eccellente, nonostante le assurdità che sono state scritte su questo, è oggi il leader politico europeo più autorevole. Rappresenta gli interessi e le ragioni della Germania in modo molto forte, e questo a noi può risultare qualche volta sgradevole. Ma non è lei che dobbiamo criticare per questo, è l’incapacità dei nostri governi di far sentire con altrettanta forza e autorevolezza le nostre ragioni e i nostri interessi. Cosa possiamo imparare, come italiani, dalla signora Merkel? Prima di tutto il senso dello Stato, che nel nostro paese non è così diffuso, poi la capacità di assumere decisioni sagge anche quando sono impopolari. 

 

Infine la capacità di dialogare alla pari con i leader delle superpotenze. Il mio governo riusciva a farlo, grazie ai miei rapporti personali con i capi di stato e di governo dei maggiori paesi del pianeta. Dopo di allora, purtroppo, l’Italia è diventata davvero marginale”.

   

“Preferirei che le inchieste giudiziarie si svolgessero in modo silenzioso, come usava fare Falcone, e che si smettesse una buona volta di alimentare un cortocircuito mediatico-giudiziario, soprattutto quando, come nel caso Boschi, per quanto è dato a sapere, non vi è alcuna evidenza di reato”

In Italia si discute molto di legge elettorale ma in questa fase politica non sembra ci siano gli spazi per poterne fare una nuova. Il Pd, però, ha mostrato disponibilità a discutere in tempi brevi di una nuova legge con Forza Italia. E Forza Italia dice da mesi che con una nuova legge elettorale, diversa da quella disegnata dalla Consulta, sarebbe possibile andare a votare il prima possibile, per restituire, come si dice, la parola ai cittadini. Ci può dire in sintesi qual è la proposta di riforma elettorale che Forza Italia propone come base di discussione al Pd? Sempre che esista… “Noi abbiamo indicato sin dall’inizio tre criteri fondamentali, e li abbiamo ribaditi anche in questi giorni. Il primo e più importante è questo: la legge elettorale deve garantire una effettiva corrispondenza fra voto dei cittadini e composizione del parlamento. Dal 2011 ad oggi, sono passati sei anni, l’Italia è stata guidata da governi che hanno la maggioranza in parlamento, ma né i quattro Presidenti del Consiglio che si sono succeduti, né i partiti che li sostengono, hanno mai ottenuto la maggioranza dei voti alle elezioni. Questa è un’anomalia che in democrazia non può reggere a lungo. Se noi andassimo alle elezioni con un sistema che prevede dei correttivi maggioritari, con il paese diviso in tre aree politiche, chiunque vincesse sarebbe espressione di una minoranza, anche piuttosto ristretta visto che sono moltissimi i cittadini che non vanno più a votare. Il secondo tema, non meno importante, riguarda il rapporto fra elettore ed eletto. Va assolutamente garantito, ma con sistemi credibili e che funzionino davvero. Possono essere, come ha indicato la stessa Corte costituzionale, listini corti o collegi uninominali, ma certamente non il voto di preferenza, strumento che può falsare la democrazia e in alcuni casi può alimentare corruzione e malcostume. Il terzo aspetto, richiamato più volte dal Capo dello Stato, è un sistema elettorale omogeneo fra Camera e Senato. A queste condizioni, noi siamo disposti a votare subito una legge elettorale, con il Pd o con chiunque ci stia, visto che la legge elettorale è un tema che prescinde dagli schieramenti e dalle alleanze politiche”.Una buona parte degli osservatori europei, su questo giornale lo ha fatto la scorsa settimana il professor Francesco Giavazzi, suggerisce all’Italia di andare a votare prima della prossima legge di stabilità per far sì che il nostro paese possa avvicinarsi alla finanziaria di ottobre con un governo nuovamente legittimato, capace cioè di costruire un percorso di lungo termine, in una fase che promette di essere complicata per il nostro paese, dato che l’aumento dell’inflazione potrebbe portare la Bce il prossimo anno a tagliare ancora il QE.

   

Lei sarebbe favorevole a votare in autunno? “Per essere del tutto sinceri, lei ha detto in modo elegante quello che molti osservatori dicono in modo malizioso: e cioè che votare in autunno servirebbe ad evitare al governo in carica, che è espressione del Pd, di farsi carico di una manovra economica che risulterà impopolare. In effetti gli ultimi governi guidati da Renzi, prima degli appuntamenti elettorali e referendari hanno fatto esattamente il contrario, hanno distribuito mance alle categorie più diverse, nella speranza di accattivarsene il consenso. Il segretario del Pd si considera molto moderno, ma in questo non si è dimostrato gran che diverso dai metodi del vecchio comandante Lauro, che prima delle elezioni distribuiva pacchi di pasta nei quartieri più poveri di Napoli. Con la differenza che Lauro almeno le elezioni poi le vinceva. Seriamente, io sono perché si restituisca finalmente la parola agli italiani il più presto possibile. Ma questo non può avvenire senza una legge elettorale adeguata e non può essere una scusa per evitare al Pd le responsabilità di una manovra economica complessa. Questo tipo di astuzie non fa che allontanare ancora di più i cittadini dalla politica”.

  
La lezione di Macron, però, ci dice anche una leadership credibile deve essere anche una leadership capace di esprimere innovazione e rottura con il passato. Se lei non sarà candidabile alle prossime elezioni ci può dire tre caratteristiche che deve avere il candidato del centrodestra alla presidenza del Consiglio? “Certamente: può farlo chiunque abbia creato un grande gruppo di informazione che ha portato il pluralismo e la concorrenza nel mercato televisivo italiano, abbia vinto come Presidente di una squadra di calcio almeno 29 trofei nazionali e internazionali, ed abbia ottenuto negli ultimi vent’anni almeno 200 milioni di voti dagli italiani. Sono caratteristiche facili da individuare, non crede? Al di là delle battute, ad oggi il problema del leader è irrilevante. Gli Italiani vogliono programmi e persone credibili”.

   
Gli italiani, probabilmente, si sono stufati di sentir parlare di legge elettorale. Il Foglio, come forse avrà visto, ha proposto di non toccare questa legge elettorale, se non per omogeneizzare le soglie di sbarramento tra Camera e Senato, e ha suggerito di approfittare del sistema proporzionale per trasformare la prossima legislatura in una legislatura costituente e regalare così al paese lo stesso modello osservato oggi in Francia: il semipresidenzialismo con elezione diretta del Capo dello stato. Lei sarebbe favorevole?“La legge elettorale è l’argomento che meno appassiona i cittadini, e d’altronde con la legge elettorale nessuno mangia. Tuttavia siamo costretti ad occuparcene, perché è la legge elettorale che fa funzionare la democrazia, e di conseguenza determina come vengono prese le decisioni nel nostro paese. La proposta del Foglio è interessante ma andrebbe approfondita. Sono d’accordo sull’opportunità che la prossima legislatura, eletta con un sistema proporzionale, possa essere finalmente la legislatura costituente. Ma la legge elettorale in vigore, anche se estesa al Senato, non è sufficiente a questo scopo. Non mi dispiace affatto invece l’idea del semipresidenzialismo, con l’elezione diretta del capo dello Stato, anche se sono molto perplesso sul doppio turno. Proprio le elezioni francesi dimostrano che è diventato presidente chi al primo turno aveva ottenuto meno del 25 per cento dei voti (lo stesso sarebbe accaduto se avesse vinto la sua avversaria, ovviamente). Il voto al secondo turno è stato soprattutto un voto contro il competitore. Credo che il 25 per cento di sostegno vero non basti a governare un grande paese”.

“Strano destino, quello di Giovanni Falcone: oggi sembra essere diventato un’icona delle sinistra giustizialista, esattamente quella che da vivo lo combatté in ogni modo. Il 23 maggio saranno esattamente 25 anni dalla sua morte. La sua idea di libertà è una grande lezione per tutti”

Il movimento 5 stelle ha annunciato che in autunno presenterà la sua squadra di governo. Lo farà anche Forza Italia? “Confesso di averci pensato, ma ho molti dubbi sull’opportunità di coinvolgere nel tritacarne della ‘politica politicante’ figure di altro profilo professionale, o culturale, importanti servitori dello stato, grandi imprenditori come quelli che abbiamo in animo di portare al governo. Proprio perché si tratta di persone che per la gran parte non vengono dalla politica, vorrei sottrarle al pessimo livello del dibattito politico italiano. E’ una decisione che assumeremo, con gli interessati, nei prossimi mesi”.

 
Presidente, sono passati sei anni dal giorno in cui il suo governo ricevette una lettera severa da parte della Bce. Sei anni dopo alcune di quelle riforme sono state attuate, molte altre no. La crescita economica, ovviamente, resta, almeno a parole, la priorità del nostro paese ma in molti si chiedono una cosa semplice: come sta davvero oggi l’Italia? E quali sono le ragioni che la rendono il paese che cresce meno in Europa? “Forse è bene ricordare la storia di quella lettera. Richiamava semplicemente gli impegni che avevamo preso e concordato in sede europea per fronteggiare al meglio la crisi in atto. Mi ero impegnato ad applicare quei provvedimenti con un decreto da varare al successivo Consiglio dei ministri.

  

Fu il presidente della Repubblica, con un atto al limite delle prerogative costituzionali, a comunicarci che si sarebbe rifiutato di firmare quel decreto, esponendo così l’Italia e il mio governo a una pessima figura sul piano internazionale. Da questo nacque la famosa scena del sorriso scambiato fra Sarkozy e la signora Merkel (l’iniziativa maliziosa fu del presidente francese, comunque). Era evidentemente un disegno preciso e concordato per far cadere il nostro governo, l’ultimo scelto dagli italiani. Da allora, gli indicatori economici sono precipitati e non mi sembra accennino a riprendersi: la disoccupazione, che noi abbiamo lasciato due punti percentuali sotto la media europea, ora è due punti sopra; la disoccupazione giovanile in alcune regioni del Sud supera il 40 per cento; 15 milioni di italiani secondo l’Istat vivono sotto la soglia di povertà, e di loro 4,6 milioni in condizioni di povertà assoluta, vivono di carità o di assistenza; l’Italia cresce poco o nulla, quest’anno si parla dello 0,8 per cento mentre il resto dell’Europa è tornata a crescere oltre il 2 per cento, i consumi delle famiglie sono crollati quando è caduto il nostro governo, e sono ancora lontani dai livelli di allora.

  

Le ragioni di tutto questo? Sono paradossalmente semplici: una pressione fiscale intollerabile prima di tutto – ricordo che noi eravamo riusciti a portarla sotto il 40 per cento, ed era comunque una riduzione troppo modesta, mentre ora ha superato il 43 per cento – mentre la spesa pubblica continua a crescere e l’indebitamento si aggrava; la debolezza delle infrastrutture e l’oppressione burocratica, che rendono investire e fare impresa in Italia un atto quasi eroico; la percezione di incertezza che negli ultimi mesi, silenziosamente, ha portato molte banche straniere a disinvestire dal debito italiano, cosa della quale non ci siamo accorti finora perché ci ha salvato la Banca Centrale europea, ma ce ne accorgeremo presto quando il Quantitative Easing verrà meno”.

    
Sta dicendo che se non ci fosse il QE di Draghi, oggi, lo spread italiano sarebbe molto più alto rispetto a quello lasciato nel 2011 dal governo? “Ricordo solo che Draghi alla guida della Bce è stato un altro importante successo del mio prestigio e della mia azione con gli altri leader europei. E’ stata una scelta lungimirante, come dimostra il fatto che la Bce proprio con lo strumento del Quantitative Easing, iniettando liquidità sul mercato, ha dato respiro alle economie più deboli come la nostra…”.

   

“Renzi si considera molto moderno, ma in questo non si è dimostrato gran che diverso
dai metodi del vecchio comandante Lauro,
che prima delle elezioni distribuiva pacchi di pasta nei quartieri più poveri di Napoli.
Con la differenza che Lauro almeno
le elezioni poi le vinceva”

Qualche giorno fa il nostro giornale ha proposto una serie di priorità per i prossimi anni dell’Italia. Pochi punti ma chiari: una piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali; una proposta per ridurre le ore impiegate in un anno da una piccola-media impresa per presentare le dichiarazioni fiscali; un impegno a ridurre i tempi del processo penale e a non aumentare i tempi della prescrizione; una riforma delle intercettazioni finalizzata a tutelare la privacy degli indagati nel pieno rispetto dell’articolo 27 della Costituzione; un impegno a omogeneizzare le regole sul lavoro presenti nel settore privato con quelle del settore pubblico; un intervento più forte per riformare il sistema di contrattazione salariale collettiva. Ci può dire se questi punti elencati costituiscono delle priorità per il suo partito? “La risposta è molto semplice, ed è un sì pieno. Non solo le considero delle priorità, ma saranno parte integrante del nostro programma elettorale. Per realizzarle lo strumento è molto semplice: vincere le elezioni e andare al governo”.

    
Tempo fa lei disse che per l’Italia serve una nuova moneta nazionale da affiancare all’euro. Molti osservatori si sono chiesti se si tratti solo di un’idea oppure se qualcuno si è preoccupato di verificare anche la fattibilità giuridica della proposta. Insomma: esiste una qualche simulazione fatta dai vostri tecnici su questo tema? “Stiamo approfondendo l’argomento con l’aiuto di autorevoli economisti americani. Posso solo ricordare che vi sono molti esempi di doppia circolazione monetaria, dalle AM-Lire che si usavano nel dopoguerra quando è partita la ricostruzione monetaria, ai bitcoin, moneta virtuale molto utilizzata nelle transazione su internet. Sono tutti esempi nei quali una doppia moneta favorisce e non danneggia lo sviluppo. Vi sono anche esempi negativi, certo, come quello cubano, ma si inseriscono in un sistema dirigista e socialista ben lontano dal nostro. In sostanza Cuba cerca di imporre un cambio forzoso e non credibile alla sua valuta che impiega negli scambi internazionali, Noi vogliamo esattamente in contrario, vogliamo che sia l’Euro che la valuta nazionale abbiano il valore stabilito dal mercato”.
Presidente, tanti elettori oggi si trovano disorientati di fronte alla definizione di che cos’è la destra e cosa è la sinistra. Molti concetti si sono rimescolati ma ci piacerebbe capire secondo lei cosa significa oggi essere di destra e cosa significa essere di sinistra, e se in questi anni ha mai avuto la sensazione di sentirsi su qualche tema più progressista che conservatore. “Destra e sinistra sono termini che risalgono alla rivoluzione francese e riguardano i posti nei quali sedevano i deputati all’Assemblea Nazionale e alla Convenzione. E’ evidente che siano termini ormai logori. Tuttavia non sono affatto convinto che le distinzioni non esistano più. Certo sono crollati, ed è un bene che sia così, i grandi sistemi ideologici del ‘900, sopra a tutti il comunismo.

   

Ma le idee, i valori, i sistemi di pensiero rimangono e rimangono le distinzioni che ne derivano. Por noi liberali e cristiani la persona è al centro di tutto e deve essere libera di realizzare la sua vocazione con i propri mezzi e secondo le proprie inclinazioni. Lo Stato ha solo il ruolo minimo di garantire il rispetto delle regole, dei diritti alla vita, all’integrità fisica, alla proprietà, e di soccorrere chi è rimasto indietro al punto da non poter più condurre un’esistenza libera e dignitosa. La sinistra al contrario vede un ruolo attivo più o meno esteso dello Stato per ottenere la giustizia sociale, spesso intesa in contrapposizione alla libertà, soprattutto a quella economica. Per dirla con un vecchio e fortunato paragone: per noi lo stato ha il ruolo dell’arbitro nelle partite di calcio, fa applicare le regole ma non influisce sul risultato; nella visione socialista l’arbitro decide chi è più debole fra le due squadre e la aiuta a vincere”.

   
Il ministro Calenda e il ministro Minniti, al governo, sono due ministri che hanno accettato di aprire maggiormente il campo alle idee del centrodestra, sia sui temi dello sviluppo sia sui temi della lotta all’immigrazione clandestina. Che giudizio da dei due ministri e dell’operato di questo governo? “Ho stima di entrambi, come ho stima del presidente Gentiloni, ma l’operato del governo va visto nella sua collegialità. E’ un governo fotocopia del precedente, espressione del Pd e della sinistra, che rispetto al governo Renzi ha cambiato toni, e questo è un bene, ma non ha cambiato la sostanza del suo operare. Quindi il mio giudizio non può essere positivo, tanto è vero che siamo coerentemente all’opposizione. Non ho tuttavia difficoltà a riconoscere che questo governo contiene alcune individualità di valore, come quelle che lei ha citato”.

   
Dal 2011 al 2017 – dalla fine del suo governo a oggi – l’Italia è stata guidata costantemente da grandi coalizioni. Sono governi non eletti direttamente, come lei ha spesso ricordato, ma sono governi che in un certo senso hanno ridisegnato il perimetro del centrodestra e del centrosinistra. Non crede che sia positivo che gli elettori di centrosinistra oggi non considerino più uno scandalo immaginare un domani un’alleanza con il suo centrodestra? “Devo contestare la premessa: dal 2011 l’Italia è stata guidata solo per brevi periodo da governi di grande coalizione: abbiamo avuto governi tecnici, imposti ed egemonizzati dalla sinistra, e governi nei quali una quota di eletti del centrodestra, abbandonando lo schieramento che li aveva portati in Parlamento, e venendo quindi meno al mandato dei loro elettori, ha consentito alla sinistra, che non aveva ottenuto i voti necessari alle urne, di continuare a governare. Non credo sia merito di questo se oggi una parte dell’elettorato di sinistra ha cambiato atteggiamento nei nostri confronti. Credo piuttosto che le persone più intelligenti della sinistra abbiano capito che vent’anni di demonizzazione non hanno scalfito né la nostra forza né il nostro consenso. Detto questo, l’alleanza fra il nostro centrodestra e la sinistra di cui lei parla appartiene a un domani davvero molto lontano: forse così lontano da somigliare a un ‘mai’”.

    
Abbiamo notato, presidente, che in molte elezioni comunali Forza Italia ha candidato esponenti politici trasversali, con un passato anche nel centrosinistra. E’ successo a Roma con Guido Bertolaso, a Milano con Stefano Parisi, ora a Palermo con Fabrizio Ferrandelli. E’ giusto dire che il prossimo leader del centrodestra dovrà avere un profilo di questo tipo? “Più che figure trasversali abbiamo cercato figure che avessero una credibilità personale anche al di fuori dei partiti, per quanto hanno saputo fare nella loro vita. Questo è un criterio al quale ovviamente ci atterremo anche nell’individuazione di un leader, se e quando sarà necessario farlo”.

   
A sinistra molti esponenti politici – in primis Luciano Violante – iniziano a rendersi conto che la legge Severino è stata interpretata in modo scorretto e che è una legge che può fare danni, delegando in alcuni casi alle scelte della magistratura quelle che dovrebbero essere delle scelte della politica. Cosa dovrebbe fare a suo avviso questo governo, concretamente, per dimostrare di aver capito l’errore fatto nel passato, ovvero non fare nulla per evitare la sua estromissione dal Senato italiano? E infine, crede sia un sogno realizzabile concludere questa legislatura nuovamente in Senato? “Credo sarebbe possibile, qualora la legge Severino fosse abrogata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Sarebbe comunque giustissimo cancellarla, perché è una legge molto lontana da tutta la nostra civiltà giuridica, visto che applica una sanzione in modo retroattivo. Dall’epoca del Digesto di Ulpiano questo è escluso nei sistemi giuridici civili. Ovviamente avrebbe anche un grande significato politico affermare che la mia esclusione dal Senato è avvenuta per effetto di una legge assurda, oltre che con una prassi scandalosa. Ma quello a cui io punto davvero è un’altra cosa: il riconoscimento da parte della Corte Europea della mia piena e totale innocenza, che rivendico con orgoglio”.

    
Usciamo dal perimetro italiano e torniamo a quello europeo. Il nostro continente finora ha retto bene e ha reagito in modo positivo all’ondata delle forze anti sistema. Lei crede, come d’altronde molti osservatori, che come spesso capita nella storia i populismi (se così si possono definire) sono destinati a riassorbirsi velocemente? “Sarebbe un’illusione pericolosissima. Le elezioni francesi non giustificano in alcun modo una sensazione di scampato pericolo. Se l’Europa non saprà ascoltare questi campanelli d’allarme che suonano sempre più forte, l’edificio europeo collasserà. Non si può pensare, lo dico da europeista convinto, di costruire un’Europa senza ed anzi contro i popoli che ne fanno parte. Se l’Europa non torna ad essere il grande spazio di libertà che era nei sogni dei padri fondatori e della mia generazione, se rimane una gabbia burocratica ottusa, non ha futuro. E questo sarebbe molto grave per tutti i paesi europei ma soprattutto per l’Italia”.

   
Matteo Renzi ha detto che nel suo Pd le priorità coincideranno a tre parole chiave: lavoro, casa, mamma. Quali sono le tre priorità di Berlusconi nei prossimi mesi. E quale può essere un proposta di politica economica capace di far sognare gli italiani? “Le nostre tre priorità le ripeto ogni giorno. 1°: meno tasse. 2°: meno tasse. 3°: meno tasse. Via le tasse dalla prima casa, via la tasse dalla prima auto, via le tasse di successione. Meno tasse significa più risorse ai cittadini e alle aziende, e quindi più consumi e più investimenti. Questo a sua volta significa più posti di lavoro, e quindi più ricchezza circolante e meno cittadini che dipendono dalla spesa sociale. Quindi ancora più consumi e così via, in un circolo virtuoso che abbiamo chiamato equazione liberale della crescita. Non è un sogno, è il criterio attraverso il quale l’America di Reagan ha dato il via alla più imponente fase di crescita economia della storia recente. Tutto questo senza ridurre gli introiti dello Stato, perché se aumenta il numero delle persone che producono reddito e quindi pagano tasse, e se ciascuno di loro guadagna di più, anche abbassando le aliquote lo stato non ci rimette. Questo anche senza considerare la minore spesa sociale necessaria. Comunque Renzi si limita a richiamare argomenti che sono sempre stati fra le nostre priorità”.

L’Italia, anche se i dati non sono sempre univoci, ha ancora un grave problema di disoccupazione giovanile. Il movimento 5 stelle per risolvere questo problema ha proposto un reddito di cittadinanza. Ma forse, pensiamo noi, più che proporre un reddito di cittadinanza andrebbero incentivate le imprese ad assumere più giovani. Sarebbe favorevole lei all’idea di eliminare, come proposto dal Foglio, il cuneo fiscale per gli under 35 per i primi tre anni di lavoro? “Sono due questioni distinte, anche se collegate. Il reddito di cittadinanza, che noi preferiamo chiamare reddito di inclusione, così come lo hanno proposto i grillini non va bene, anche perché non è sostenibile, ma in qualche modo costituisce una risposta ad un’emergenza immediata. I numeri clamorosi sulla povertà di cui ho parlato poco fa sono indegni di un paese civile. Per questo abbiamo ripreso l’idea del più grande esponente della scuola economica liberista di Chicago, il Premio Nobel Milton Friedman, per un’imposta negativa sul reddito. Al di sotto di una certa soglia di reddito, e a determinate condizioni di rispetto delle legalità, non è il più il cittadino che versa denaro allo Stato, ma è lo stato che li versa al cittadino. Tutto questo ovviamente nell’abito di una grande riforma del welfare, indispensabile anche perché quello attuale, ispirato ad una vecchia logica assistenziale di gestione diretta del sociale, è insostenibile: costa molto di più di quanto riesce ad erogare. Altra cosa, da varane contemporaneamente, sono le misure per lo sviluppo. Fra esse, l’eliminazione del cuneo fiscale per i neo assunti va proprio nel senso nel quale si era già mosso il nostro governo”.

 

In un’intervista fatta al Giornale qualche mese fa lei ha ricordato che Beppe Grillo non ha mai lavorato a Mediaset perché di solito Grillo, da comico, si faceva pagare in nero. Lo conferma? “Diciamo che – in qualunque modo si facesse pagare – sono contento che Grillo non abbia mai lavorato a Mediaset. Anche se era più brillante come comico che come politico”.

   
Angelo Panebianco, in un discusso articolo pubblicato settimane fa sul Corriere della Sera, ha scritto che “in modo non coordinato, una pluralità di forze sembra agire ormai da tempo, con scarsa consapevolezza della posta in gioco, per offrire su un piatto d’argento il paese al Movimento 5 stelle fornendo ad esso la possibilità di imporre, su una parte cospicua dell’opinione pubblica, una propria egemonia culturale”. Come si può provare a combattere secondo lei l’egemonia culturale grillina? E secondo lei il Movimento 5 stelle è una forza destinata ad avere un futuro o è una bolla destinata a sgonfiarsi presto? “La risposta è persino scontata. Il Movimento 5 stelle vive sulla cattiva qualità della politica. Si sgonfierà se sapremo offrire agli italiani idee credibili e proporre, per realizzarle, persone non soltanto di specchiata onestà, ma riconosciute per le loro capacità dimostrate non in politica ma nella vita professionale, culturale e civile”.

   
Il 23 maggio saranno esattamente 25 anni dalla morte di Giovanni Falcone. C’è un qualche suo insegnamento che trova attuale nell’Italia di oggi? “Ogni volta che penso a Falcone ricordo quella sua meravigliosa frase: ‘Chi non ha paura muore una volta sola, chi ha paura muore ogni giorno’. E’ una frase che mi sono ripetuto tante volte, soprattutto da quando ho cominciato quest’avventura politica. Falcone è il simbolo di come dovrebbe essere un magistrato. Era un uomo che cercava le prove, non la dimostrazione dei suoi teoremi. Che portava dei risultati, non faceva dello spettacolo. Al pensiero di Falcone si ispirano molte delle nostre idee sulla giustizia, a cominciare da quella della separazione delle carriere. E’ uno strano destino, quello di Giovanni Falcone: oggi sembra essere diventato un’icona delle sinistra giustizialista, esattamente quella che da vivo lo combatté in ogni modo. Furono i componenti di sinistra del Csm, di magistratura democratica, a bloccarne la nomina alla Superprocura Antimafia, furono giornali di sinistra, da Repubblica all’Unità, a dedicargli editoriali feroci. Non gli perdonavano di essere un uomo libero”.

  
Presidente, in conclusione: cosa ne pensa del caso Boschi e del caso delle parole in libertà del pm di Catania Zuccaro, sulle Ong? Non le sembra che l’Italia stia diventando in modo sempre più grande una repubblica del pettegolezzo? “Preferirei che le inchieste giudiziarie si svolgessero in modo silenzioso, come usava fare Falcone, e che si smettesse una buona volta di alimentare un cortocircuito mediatico-giudiziario, soprattutto quando, come nel caso del ministro Boschi, per quanto è dato a sapere, non vi è alcuna evidenza di reato. Va detto però che il pm di Catania sta svolgendo un’indagine su un fenomeno non soltanto di grande allarme sociale, ma sotto gli occhi di tutti. Sospetti sulla trasparenza del lavoro di alcune Ong – ovviamente non tutte – sono stati avanzati da più parti. E’ inevitabile che se ne parli. Se si scoprisse che davvero c’è chi alimenta da parte europea questo infame traffico di esseri umani per guadagnarci, o anche solo per malinteso spirito umanitario, questo sarebbe molto grave”.

  

“Sono d’accordo sull’opportunità che la prossima legislatura, eletta con un sistema proporzionale, possa essere finalmente la legislatura costituente. Non mi dispiace invece l’idea del semipresidenzialismo, con l’elezione diretta del capo dello Stato, anche se sono perplesso sul doppio turno”

Cosa ne pensa del modo in cui i grillini governano le città che amministrano? Non crede che le loro prove di governo siano il miglior modo possibile per mostrare la loro incapacità di governo? Nel 2015 in Spagna Podemos conquistò due grandi città, Madrid e Barcellona, due anni dopo gli elettori punirono il partito alle politiche... “E’ inutile farsi illusioni: chi vota Cinque Stelle non lo fa perché crede nelle loro idee o nelle loro capacità, vuole soltanto esprimere rabbia e disgusto. Sentimenti che d’altronde capisco benissimo. Di conseguenza il fatto che si dimostrino più o meno capaci di governare influisce poco sui loro risultati: non è per questo che la gente li vota. Infatti i pessimi risultati amministrativi che ottengono nelle città che governano non hanno quasi nessun effetto sul consenso del quale il movimento di Grillo continua a godere. Purtroppo!”.

  
Nell’intervista precedente le abbiamo chiesto di paragonare a un calciatore i leader politici di oggi. Oggi le chiediamo di accettare un altro piccolo gioco: che libro consiglierebbe di leggere con urgenza a Matteo Renzi, Matteo Salvini, Luigi Di Maio, Massimo D’Alema e Paolo Gentiloni? “Accetto il gioco ma solo per quanto riguarda il presidente Gentiloni. Una lettura che indicherei, ma immagino lo conosca già, sarebbe ‘Il deserto dei tartari’, il capolavoro di Dino Buzzati. Come il tenente Drogo, mi pare un ufficiale valoroso assegnato a presidiare una frontiera nell’attesa infinita non dei tartari ma di elezioni, il cui arrivo dipende da ragioni per lui imperscrutabili”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.