Matteo Renzi (foto LaPresse)

Aria di Palazzo

Il prossimo Renzi potrebbe essere meno euroscettico e più anti Trump

Redazione

Le prove di intesa con il M5s sulla legge elettorale e il ballottaggio permanente in cui il segretario Pd deve vivere ogni scontro

Magari la prova d’intesa tra Pd e Cinque stelle sulla legge elettorale andrà benissimo, magari (più probabilmente) no. A Montecitorio, dove si svolge la vicenda, non ci credono in molti. In ogni caso, è altamente improbabile che nel 2018 si vada a votare con un sistema neanche somigliante a quello francese, o con qualsiasi altro sistema che bipolarizzi a forza di legge un quadro politico che bipolare non è. Eppure la determinazione di Renzi (e, specularmente, l’interesse dei grillini più ambiziosi e pensanti) rimane quella di portare gli italiani a una scelta binaria, secca: o con me o con Grillo. O con gli ottimisti o con gli apocalittici. O con i sorridenti o con gli arrabbiati. O con chi vuole aprirsi al mondo o con chi vuole chiudersi, secondo il “divide” del momento. Insomma: o con Macron o con Le Pen, tradotti in italiano e sperando di innescare la stessa dinamica.

 

Per arrivare a questo risultato Renzi deve inscrivere lo scontro politico italiano dentro una cornice che potremmo chiamare ballottaggio virtuale permanente. Ogni scelta, ogni discussione e ogni posizione deve essere ricondotta, nella percezione degli elettori e nella recita della politica, non a una articolazione proporzionalista ma alla contrapposizione fra i due schieramenti. C’è un rischio notevole, nel “mimare” uno scontro che non corrisponde al sistema elettorale vigente: il precedente di Veltroni 2008 (vocazione maggioritaria in pieno Porcellum) non è incoraggiante. Ma almeno su questo la genetica di Renzi non è modificabile. Aspettiamoci dunque che al conflitto aperto con il M5s si accompagni una tattica di marginalizzazione nei confronti di tutti gli altri, soprattutto Forza Italia a destra e Pisapia a sinistra, nonostante non manchino nel Pd sia i fautori di un accordo sulle regole con Berlusconi (in vista di larghe coalizioni) che i tifosi di un accordo elettorale e politico con la sinistra neo-arancione. Dario Franceschini queste posizioni le incarna entrambe. Lo schema del ballottaggio permanente virtuale ha molti corollari, uno dei quali si aggancia all’attualità della visita di Obama a Milano, il suo discorso implicitamente antitrumpiano, i progetti formativi planetari nei quali Renzi si sente coinvolto. Il filotto elettorale europeo Austria-Olanda-Francia, in attesa dei tedeschi, si è consumato tutto dopo lo shock delle presidenziali Usa. A questo punto si fa abbastanza concreta l’idea che nel vecchio (e saggio) continente si sia innescato un effetto Trump al contrario: un misto di orgoglio offeso, di antiamericanismo carsico e di vera e propria paura verso nuovi squilibri globali (già, la paura può diventare un fattore in molte direzioni diverse).

 

L’Italia in quanto tale, va da sé, non può contrapporsi ad alcuna presidenza americana. Non lo farebbe mai Paolo Gentiloni, oltre tutto atlantista di ferro e presto padrone di casa del G7. Eppure lo stesso presidente del Consiglio, osservando un paio di mesi fa le dure reazioni europee al travel ban trumpiano contro sette paesi musulmani, commentò che in quell’occasione non lui, ma forse il Pd avrebbe potuto fare e dire qualcosa di più.

 

Ecco, se si dovesse capire che davvero anche il 66 per cento di Macron c’entra con una reazione continentale agli eccessi di Trump, potremmo avere presto una versione inedita di Renzi: un po’ meno euroscettico e un filino antiamericano, anche se sempre per carità con la California nel cuore.