Gli uomini e le donne di Gentiloni lavorano per un lungo futuro a Chigi

David Allegranti

Segretarie storiche e consiglieri ancora più storici. Robusti gli innesti renziani, da "Nomfup" Sensi a Funiciello. Il peso dell’eredità renziana

Roma. La presenza gentiloniana a Palazzo Chigi è discreta, nello stile dello stesso Paolo Gentiloni. Insomma: c’è, anche se non sembra. Bastava dare un’occhiata a marzo alle liste per i consigli di amministrazione delle società partecipate dallo stato presentate dal Tesoro, per capire la differenza con Matteo Renzi: mentre il predecessore le aveva riempite di toscani, compresi alcuni finanziatori delle sue campagne elettorali, l’attuale presidente del Consiglio ha lasciato traccia indicando Luca Bader nel cda di Leonardo, ex Finmeccanica, il cui amministratore delegato (Alessandro Profumo) è stato scelto più per volere di Gentiloni che per volere di Renzi. Già capo della segreteria particolare al ministero degli Esteri, Bader è stato ricercatore all’Istituto Affari Internazionali (Iai) di Roma, è stato responsabile per le relazioni internazionali della Margherita e ricercatore associato all’Institute for Public Policy Research di Londra. Agli Esteri, con Gentiloni, era una figura centrale, perché il capo di gabinetto e il segretario generale alla Farnesina sono diplomatici, quindi il capo della segreteria è il politico più alto in grado. Appena sbarcato a Palazzo Chigi, dopo le dimissioni di Renzi, Gentiloni ha portato con sé alcune figure che lo accompagnano da anni, come la segretaria Rita Lucentini e Flaminia Lais, responsabile della comunicazione, da sempre con Gentiloni. Fra le collaboratrici storiche dell’attuale presidente del Consiglio c’è anche Roberta Maggio, che era già a Palazzo Chigi con Renzi: è la responsabile Internet (un tempo era anche molto attiva su Twitter, dove inventava fulminanti hashtag. Dalla Farnesina arrivano anche Elisa Rinelli (segretaria particolare del presidente) e Federica Cantore (social media manager). Dagli Esteri arriva anche l’ambasciatore Raffaele Trombetta, già capo di gabinetto; dal gennaio di quest’anno è rappresentante personale e Sherpa di Gentiloni per il G7 e per il G20.

 

Il capo dello staff (con il quale il sottosegretario Maria Elena Boschi sta cercando da mesi di trovare il giusto equilibrio) è Antonio Funiciello. Scrittore, intellettuale, una laurea in Filosofia, già veltroniano, animatore di Libertàeguale; prima lavorava con Luca Lotti, di cui è stato portavoce quando quest’ultimo era sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Poi, quando è nato il nuovo governo, Funiciello è stato nominato capo dell’ufficio del presidente, mentre Lotti è diventato ministro dello Sport e ha portato con sé Luca Di Bonaventura (già portavoce dell’ex ministra Maria Elena Boschi) e Francesco Selvi, ex direttore di Rtv38 e attuale capo ufficio stampa di Lotti. Funiciello ha tre assistenti: Francesco Nicodemo (già a Chigi con Renzi), Antonello Paciolla (giornalista) e Tobia Zevi, già consigliere di Gentiloni alla Farnesina per i Diritti umani e la cooperazione internazionale, molto attivo nella politica romana (nel 2013 si è candidato alla guida del Pd di Roma, ma non ha vinto).

 

Gentiloni ha trasferito a Palazzo Chigi il suo inner circle (côté Margherita). Come Nino Rizzo Nervo, oggi vicesegretario generale della presidenza del Consiglio e un tempo direttore del quotidiano Europa, nonché consigliere d’amministrazione Rai; come ha ricordato Marianna Rizzini sul Foglio, “di provenienza cattocomunista (Margherita) e di solida amicizia con il già ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni (stessa provenienza, stessa Margherita)”. Un pezzo di Margherita romana, per la verità, era già a Palazzo Chigi. Filippo Sensi, il Nomfup di Twitter, già vicedirettore di Europa, è stato portavoce di Renzi ed è rimasto a Chigi con Gentiloni. Come si nota dando un’occhiata all’organigramma, c’è un evidente tratto di continuità con la precedente stagione politica; tratto che si nota, per esempio, nei consiglieri economici nominati da Renzi e che sono rimasti anche con Gentiloni. Come Marco Simoni, che con Renzi si occupava di arricchire la sua agenda internazionale sul versante economico, e che con Gentiloni si occupa anche di relazioni col mondo industriale italiano. Luigi Marattin, già assessore a Ferrara ed economista all’Università di Bologna, continua a seguire la finanza locale, i rapporti con l’Anci e con la conferenza delle regioni. Un cambio casomai c’è stato all’interno delle gerarchie di questo gruppo di consiglieri economici. Marco Leonardi ai tempi di Renzi era considerato “il vice Nannicini”, laddove s’intende Tommaso Nannicini, ordinario alla Bocconi e consigliere economico di Renzi, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Oggi invece Leonardi è diventato “il Nannicini di Gentiloni”, con focus su lavoro e pensioni. Agli Affari europei è rimasto Marco Piantini, già consigliere ai tempi di Renzi (seguiva la Brexit); dal 2006 al 2015 ha lavorato nell’ufficio del consigliere diplomatico e nell’ufficio di segreteria del presidente alla presidenza della Repubblica.

 

Gli altri consiglieri politici sono Gabriele De Giorgi, allievo di Arturo Parisi, già capo segreteria del sottosegretario all’Interno Domenico Manzione del governo Renzi, e Simona Genovese, responsabile Affari giuridici del Pd al Senato, dove ha lavorato con Luigi Zanda. Alla voce consiglieri giuridici ci sono Valentina Canalini, che viene dallo studio Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners, e Laura Tempestini, amministrativista, già assistente di Antonello Soro alla guida dell’Autorità per la privacy. Dal mondo renziano viene Pilade Cantini, comunista romantico, ex assessore di Rifondazione negli anni Novanta a San Miniato, addetto alla corrispondenza con i cittadini per conto del premier e qualche tempo fa in libreria con un volume il cui titolo dice già parecchio sull’autore: “Piazza rossa. La provincia toscana ai tempi dell’Urss”. Parlare della squadra di Gentiloni non aiuta a capire solo alcune dinamiche di questo governo ma può aiutare a mettere a fuoco quello che diventerà un tema importante: la nascita di un nuovo staff di governo allo stesso tempo alternativo e complementare al renzismo che sa bene che nell’Italia proporzionale potrebbe essere destinato a resistere oltre lo spazio di questa legislatura.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.