Matteo Renzi parla ai suoi sostenitori dopo la vittoria alle primarie (foto LaPresse)

Che cosa farà Renzi dopo la vittoria alle primarie

David Allegranti

Confermato a capo della Ditta, l'ex premier sta trasformando il Pd nel PdR ma chiede unità del partito. E ha già individuato i due nuovi avversari da battere: i Cinque Stelle e "questa Europa che non funziona".

Roma. “I votanti alle primarie sono stati tra 1,9 e 2 milioni di persone”, dice ufficialmente il Pd. Le primarie del 2017 proseguono dunque il trend negativo degli ultimi anni (2007: 3.554.169 al voto; 2009: 3.102.709; 2013: 2.814.881) e consegnano la vittoria a Matteo Renzi, che torna a essere segretario del partito dopo la sconfitta referendaria del 4 dicembre. Le percentuali sono bulgare (70 per cento) e Renzi dimostra di essere saldamente alla guida della Ditta, come già si capiva dai dati delle ultime settimane: il 95 per cento dei segretari regionali del Pd lo sosteneva, così come il 66 per cento dei parlamentari e la metà dei sindaci delle città capoluogo governate dal Pd.

 

La Ditta però è cambiata, come osserva Sandra Zampa (mozione Orlando): “I dati dell’Emilia Romagna dove Renzi è in testa testimoniano che il Pd è cambiato ed è diventato il PdR. Ma mi auguro che Renzi sappia ascoltare, è una persona saggia, matura e astuta: mi pare che l’intenzione sia quella di aprire il partito, altrimenti si riduce e di questo non è contento neanche Renzi”. Intanto c’è un primo dato interessante che viene proprio dalle zone rosse: in Toscana hanno votato 200 mila persone (Renzi 80 per cento, Orlando 17 per cento, Emiliano 3 per cento), quasi la metà rispetto al 2013, quando il dato dei votanti fu di 390 mila elettori. Stesso discorso in Emilia Romagna, dove la partecipazione si è pressoché dimezzata (hanno partecipato al voto in 200 mila, e altrettanti non si sono presentati alle urne rispetto a quattro anni) e, stando a quanto scrive l’Ansa, “il calo è stato percentualmente più sensibile che a livello nazionale”. Il dimezzamento dell’affluenza è dovuto alla scissione del Pd? Lo capiremo.

 

Intanto, il neo-segretario del Pd affronta il tema dell’unità del partito ringraziando Andrea Orlando e Michele Emiliano nel suo discorso della vittoria (“Abbiamo bisogno di imparare anche dalle altre mozioni”) e dice che serve un Pd “molto più forte sul territorio, non solo sul web”, dove peraltro “non ci siamo stati a sufficienza”. Gli avversari sono due, dice Renzi, i Cinque Stelle e questa Europa che non funziona: “L’alternativa al populismo non è il salotto, non è l’élite che decide, l’alternativa al populismo è il popolo”. Popolari ma non populisti, dice Renzi che s’intesta una nuova battaglia, stavolta contro l’Europa, ancorché, precisa, con “umiltà e responsabilità”. Accanto a lui ci sono Dario Franceschini e Maurizio Martina, due ministri dell’esecutivo Gentiloni. Il secondo soprattutto avrà un ruolo chiave nella gestione del partito, visto che con sarà designato vicesegretario e prenderà il posto di Debora Serracchiani e Lorenzo Guerini. “Noi vogliamo cambiare l’Europa, lo diciamo con umiltà e responsabilità. Perché questa è la missione storica dell’Italia. Non accontentarsi di prendere l’elenco delle cose da fare dall’Europa ma andare a proporre a Bruxelles un cambiamento vero. Un cambiamento di regole del gioco. Non ne possiamo più di un’Europa che non incrocia più i desideri più belli e profondi di chi vuole l’ideale europeo. Come si fa a non volere un’Europa che cambi? L’Europa ci dice tutto su com’è fatto un prodotto alimentare, ma poi si dimentica di darci una mano sull’immigrazione. Abbiamo bisogno di un’Europa che sia davvero solida e solidale. Ripartiamo dai nostri vicoli, dai nostri borghi, sì, perché l’Europa non è solo Bruxelles”.

 

Renzi dunque ripropone uno schema classico: l’introduzione nello schema di gioco di un nuovo avversario. In questo caso l’obiettivo è Bruxelles, un po’ come un tempo era stata la Roma del Parlamento pieno di schiacciabottoni.
E ora gli avversari sconfitti che faranno? Ufficialmente dicono che resteranno nel Pd. “Noi vogliamo ricostruire il Pd che è in macerie dovunque – dice Michele Emiliano – dal nord al centro. Si sono dimezzati gli elettori alle primarie. Bisogna ricostruire il partito. La responsabilità principale spetta al segretario ma noi faremo quanto necessario per ricostruirlo assieme a lui. Anche facendogli opposizione, ma con lealtà, intelligenza e nel merito. Mai per principio”. Annuncia lealtà anche Orlando: “Larga vittoria di Renzi. Ora insieme per battere la peggior destra del Paese. Sono convinto che il partito costruirà il centrosinistra”. Il PdR, intanto, è già nato.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.