Angelo Rughetti (foto LaPresse)

Rughetti ci dice perché serve un accordo alla tedesca con FI

David Allegranti

Il sottosegretario Pd alla Pubblica Amministrazione: “Una volta individuato il progetto, si costruisce un’alleanza con chi lo condivide”

Roma. Facciamo come in Germania, dice Angelo Rughetti (Pd), sottosegretario alla Pubblica amministrazione. Lì, due forze politiche contrapposte si alleano sulla base di un programma politico votato dagli elettori. “Qual è oggi il progetto che serve al paese e all’Europa – dice Rughetti al Foglio – per rispondere meglio alle nuove esigenze e alle diseguaglianze che emergono dalla società? Una volta individuato il progetto, si costruisce un’alleanza con chi lo condivide. Se invece si antepone la coalizione alla soluzione, si cade nel tatticismo e nel pragmatismo”.

Insomma, le persone, i cittadini, vengono prima della tattica e delle alchimie parlamentari. E da questo punto di vista, “Renzi sta commettendo un errore, che è quello di non mettere al centro della proposta politica le persone, come invece fa la nostra Costituzione; Renzi finalizza l’azione politica sugli strumenti, che per definizione non sono mai dei fini ma dei mezzi per dare risposte alle persone”. Pensare alla persona vuol dire “mettere a disposizione un introito economico che consenta di arricchire il suo bagaglio formativo e il suo curriculum; preoccuparsi dell’ambiente, perché la persona vive dentro un contesto che va salvaguardato; significa chiedersi se le tasse vadano tagliate o se non siano utili per garantire una sanità adeguata. L’abbattimento delle tasse in quanto tale non dà automaticamente un miglioramento della qualità della vita dei cittadini”. Insomma, “se invece pensiamo alle politiche, rischiamo di semplificare processi che hanno bisogno di maggiore profondità”. I Cinque stelle, su questo, sono avvantaggiati, dice Rughetti. “Hanno ben chiaro un progetto da proporre al paese, che io considero deleterio e dissolutorio per il legame sociale e per le istituzioni, perché è un messaggio antisistema, ma facilmente riconoscibile, accattivante e apprezzabile da parte dei cittadini. La difficoltà che incontra il Pd sta nel non mettere un progetto altrettanto apprezzabile e identificabile al centro della sua azione”. Dunque, “se si crede alla proposta di Zanda, avanzata anche da Franceschini in una direzione del Pd, allora bisognerebbe andare fino in fondo e condividere con le altre forze un progetto che non è di difesa da Grillo, ma è come quello che è stato fatto in Germania, che alla base ha un accordo di coalizione di 183 pagine”. Così avremmo un progetto, “ben definito, ben chiaro, che è portato all’attenzione dei cittadini. Io non lo considero uno scandalo, soprattutto se la legge elettorale non consente la pre-definizione di alleanze. Per avere maggioranze stabili e governare è chiaro che, con il proporzionale puro, serve un’ampia coalizione. Dunque non considero un’eresia fare un accordo con coloro che condividono un progetto, partendo dai democratici di Bersani fino ai sostenitori di Forza Italia”.

L’elettore deve “avere consapevolezza della scelta che fa, come avviene per esempio quando vota i Cinque Stelle. Chi li vota sa che con un loro governo si andrebbe verso l’uscita dall’euro e verso l’introduzione del reddito minimo di cittadinanza. Invece chi vota il Pd sa che vota un partito, che fa affidamento su un team, su una classe dirigente, ma non su un progetto-paese, attorno al quale dovremmo raccogliere anche forze che non abbiano una cultura politica simile”. Viene dunque da chiedersi a cosa serva il congresso del Pd. “Potrebbe essere un’occasione persa; poteva essere una ripartenza programmatica ma rischia di diventare una stratificazione di correnti”. Compresa quella di Renzi? “Lui per definizione non ha una corrente. Il suo errore però è quello di aver scelto di essersi fatto sostenere dalle correnti e non dalle persone”. Il Pd, dice Rughetti, “è stato attratto dentro una sorta di mediazione pragmatica, per cui la sua politica si è ridotta a soluzione amministrativa dei problemi. Così ha perso di vista il progetto originario, quello di rifondare un grande movimento popolare, cercando di radicarsi bene nel territorio e rinnovando la cultura della sinistra tradizionale”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.