Beppe Grillo e Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Il silenzio delle élite di fronte allo sfascismo grillino ha una spiegazione

Claudio Cerasa

Giorno dopo giorno il grillismo sta diventando un modo diverso di declinare una forma precisa di statalismo (vedi Di Maio). E questo non fa paura, anzi

In un delizioso corsivo pubblicato sabato sul Foglio, il nostro Guido Vitiello si è posto la domanda giusta: come è possibile che il mondo dei girotondini – che lamentava la farraginosità delle procedure costituzionali di Berlusconi, la vergognosa presenza sulla scena politica di un partito azienda, l’inaccettabile affermazione di un conflitto di interessi incarnato nella figura del Cav. – di fronte a un partito che sputa ogni giorno sulla Costituzione, che vuole abolire il vincolo di mandato, che vuole superare la democrazia rappresentativa, che ha un srl che guida da remoto un movimento eterodiretto da un server solo al comando non si senta in dovere di sfilare contro i politici al guinzaglio della democrazia diretta dalla Casaleggio Associati?

 

Se ci fermiamo un attimo a riflettere capiremo che il fronte politico e culturale che per una vita si è schierato prima contro Berlusconi e poi contro Renzi ha utilizzato la difesa della Costituzione come uno scudo per nascondere una battaglia diversa e ben più profonda: la difesa dello status quo, e più in particolare la difesa di un sistema economico in cui il vero nemico numero uno è, da anni, non chi vuole intervenire sulla Costituzione ma chi vuole intervenire per creare maggiore competizione, riducendo così lo spazio che ha lo stato nella nostra vita quotidiana. In modo incompiuto, e con mille contraddizioni, Silvio Berlusconi e Matteo Renzi hanno tentato con approcci diversi di imporre politiche finalizzate all’apertura dei mercati. E seguendo percorsi differenti hanno cercato di combattere i vari campioni del veto (sindacati, magistrati) per creare uno spazio di lavoro favorevole a chi prova a fare impresa in Italia. Su questo tema varrà la pena tornare più avanti, ma a grandi linee l’ostilità contro Berlusconi e Renzi nasce prima di tutto da questo – e il tentativo di dare maggiori poteri al presidente del Consiglio, rendendo più agile la Costituzione, rientra in questa logica culturale.

La ragione per cui una buona parte del nostro paese non considera il Movimento 5 stelle una minaccia per la nostra democrazia forse è legata proprio a questo punto, che è importante definire. Giorno dopo giorno – vedi le parole di ieri di Di Maio contro le liberalizzazioni e contro chi ha provato a far lavorare i dipendenti dei centri commerciali anche a Pasqua – il grillismo sta diventando un modo diverso di declinare una forma precisa di statalismo. E di fronte a una forza politica che punta a violentare la Costituzione senza voler però aprire il mercato succede che un paese come il nostro, che fatica a far entrare nel proprio Dna i geni della cultura liberale, tende ad abbassare la guardia e a osservare senza eccessiva preoccupazione i nuovi campioni dello sfascismo. Le parole di Di Maio di ieri sono solo l’ultimo tassello di un disegno più grande che passa dalla difesa degli ambulanti e dei tassisti, arriva fino all’ostilità contro la legge Bolkestein e il mondo Uber e sfiora anche alcuni tic che spesso nessuno nota, del 5 stelle: zero parole sulla spesa pubblica, zero parole sul debito pubblico, zero parole sulle partecipate dello stato, zero parole sulle privatizzazioni, zero parole sulle municipalizzate, zero parole sulla produttività, zero parole di elogio della globalizzazione. È un filone culturale preciso, particolarmente dannoso per la nostra economia, ma rassicurante e consolatorio per tutti quegli elettori che sognano di dare una lezione alla classe politica (no ai vitalizi!) ma che alla fine desiderano proteggere prima ancora che i princìpi della Costituzione la casta dei piccoli interessi italiani, con tutti i vari campioni della corporazione e della concertazione. E le parole esplicite di Di Maio di ieri contro le liberalizzazioni che rischiano di impoverire i cittadini fanno capire la grande truffa della generazione girotondo: il punto non è mai stata la difesa della Costituzione, il punto è sempre la difesa della concertazione, della corporazione e dunque dello status quo. E quando arriva un leader che promette di imporre un nuovo modello di statalismo si capisce che per qualcuno le difese si abbassano. Anche se qualcuno sta nascondendo dietro il suo modello di statalismo una nuova forma di sfascismo digitale.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.