Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni con Matteo Renzi (foto LaPresse)

Che fare con Renzi e Gentiloni

Claudio Cerasa

Il Pd deve investire nel governo se non vuole farsi investire

Dopo la vittoria del no al referendum costituzionale, le elezioni anticipate sarebbero state con ogni evidenza la soluzione migliore per restituire al paese un Parlamento pienamente legittimato dal popolo e un governo costruito in modo da presentarsi dinnanzi all’appuntamento cruciale della prossima legge di stabilità (probabilmente l’ultima che avrà a disposizione l’ombrello di Mario Draghi) con una forza diversa rispetto a quella mostrata oggi – se il modello del prossimo def sarà quello usato per i voucher, meglio la Troika. Le elezioni nel 2017 non sono oggettivamente più possibili e il voto, come era prevedibile, cadrà alla scadenza naturale della legislatura, ovvero tra poco meno di un anno.

 

In undici mesi ci sono molte cose che un governo potrebbe fare e molti dossier che potrebbe aprire: ci sarebbe la legge barzelletta sulla concorrenza, che da due anni riposa incredibilmente in un qualche cassetto di una qualche commissione parlamentare; ci sarebbe l’altra barzelletta della legge elettorale, che doveva essere l’unica ragione per far partire questo governo e che chissà se mai verrà fatta davvero; ci sarebbe la possibilità di finanziare anche con un po’ di deficit in più un taglio ulteriore all’Irap e uno all’Irpef, a meno di non volersi rassegnare a costruire una manovra recessiva.

 

Si potrebbero fare molte cose, che purtroppo temiamo non verranno fatte, ma il vero problema dell’esecutivo Gentiloni non riguarda direttamente le policy ma riguarda la politica e in particolare il suo rapporto con Renzi. Una volta che verrà archiviata la campagna congressuale (vi preghiamo, fate presto!) andrà infatti chiarito il rapporto tra il presidente del Consiglio e segretario del partito azionista di maggioranza di questo governo. E non ci sarebbe nulla di più dannoso per il governo e per il segretario del Pd che continuare a giocare una partita impossibile: quella, cioè, di chi prova (il segretario del Pd) a dissociarsi dall’azione del governo a guida Pd, tentando di dimostrare che un conto sono le azioni del governo (a guida Pd) e un conto invece sono le azioni del Pd (azionista del governo).

 

Può piacere o non piacere, ma quando Renzi diventerà nuovamente leader del Partito democratico dovrà investire sull’esecutivo per non essere a sua volta investito dall’eventuale fallimento del governo. Un successo di questo governo sarà un successo del segretario del Pd. Un insuccesso di questo governo sarà un insuccesso del segretario del Pd. E’ naturale che Renzi non riesca ad accettare fino in fondo il fatto che non coincidano il ruolo tra segretario del partito e quello di presidente del Consiglio. Ma la separazione dei ruoli è una delle conseguenze della vittoria del no al referendum costituzionale e anche in vista della prossima legislatura il prossimo probabile segretario del Pd dovrebbe cominciare ad entrare in una nuova logica neo proporzionale: i presidenti del Consiglio mediano (e cambiano), i segretari di partito guidano (e restano). E’ la prima repubblica, bellezza, e tu non puoi farci niente (se non evitare di farti travolgere).

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.