Luca Lotti (foto LaPresse)

Il divorzio nella sinistra pd è di Lotti e di governo

Salvatore Merlo

Mozione di sfiducia, botte da orbi, ma “l’obiettivo è l’unità del centrosinistra”

Roma. Circe trasformava gli ex amanti in porci, Landru ammazzava le ex mogli, Bokassa le infilava nel frigo e poi le mangiava. E insomma il rapporto tra ex è da sempre complicato, nella storia come nella mitologia, così nella politica, specie in quella di sinistra, che ovviamente ama la baruffa e il dissanguamento fraterno. Dunque non è difficile immaginare lo spaesamento del mite Giuliano Pisapia quando ieri è sbarcato a Roma per “mettere insieme” il campo progressista, per celebrare un matrimonio tutt’intorno al Pd di Matteo Renzi, ma invece si è ritrovato in una rissa post matrimoniale, in una di quelle situazioni che di solito vengono regolate dagli avvocati – e Pisapia è, sì, un avvocato, ma non divorzista – “ora te la faccio vedere io”, “adesso ti riduco sul lastrico”, “guarda come ti sistemo Luca Lotti”. E allora Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza non voteranno la sfiducia del M5s al ministro indagato, ma ne presenteranno una loro: “Talmente è personale la battaglia che la politica passa in secondo piano. Sono ossessionati da Renzi”, ci dice Matteo Orfini con l’aria della moglie in causa di divorzio. E Miguel Gotor, il marito che se ne è andato di casa: “Ma quando mai. E’ Renzi che è ossessionato da noi. La smettano”.

 

E forse è destino che, quando si sono amati male, gli ex ancora si cerchino, si spiino, si sfuggano, in un odio tormentoso e profondo. “Volevano combattere per il partito, salvando il governo. Ed è finita che hanno lasciato il partito, e mettono in discussione il governo con una mozione di sfiducia a un ministro”, dice allora Orfini, proprio mentre Roberto Speranza si fa intervistare dal sito del Corriere della Sera e rivolta l’accusa: “C’è un tema di opportunità politica”, dice lui. “Troppo potere in venti chilometri, troppo potere in poche famiglie concentrate in un piccolo territorio”, insiste Speranza, alludendo al fiorentinismo, al famoso Giglio magico e anche ai padri di Rignano e di Laterina, balzati agli onori della cronaca giudiziaria. E si capisce che sempre, in un divorzio, anche dopo che si è consumato, rimane un arretrato di rapporti e di contrasti personali irrisolti in cui si sfalda e si perde una rete di solidarietà. “Stanno indossando in tutta fretta un abito, quello giustizialista, che non è il loro”, dice Andrea Romano, il condirettore renziano dell’Unità.

 

“Alcuni esponenti scissionisti di Mdp furono indagati in passato. E mi riferisco a Enrico Rossi, a Vasco Errani, a Tea Albini, a Vincenzo Folino e a Filippo Bubbico. Indagati e perseguitati dai giornali. Ma naturalmente nessuno, tanto meno noi, si è mai sognato di chiederne le dimissioni. E adesso perché proprio loro vogliono le dimissioni di Lotti, se non per regolare dei conti? C’è evidentemente un’ossessione nei confronti di Renzi. Dovrebbero lasciar perdere, ormai sono andati via dal Pd. Basta adesso”. E Gotor: “Ma quando mai? Ma se è stato Renzi, se sono stati loro a defenestrare la Idem, la Cancellieri, la Guidi, la De Girolamo… Sono loro che hanno sempre lisciato il pelo al giustizialismo, e contro persone che non erano nemmeno indagate. Poi i magistrati arrivano al suo amico Lotti, indagato, e improvvisamente Renzi usa strumentalmente la vicenda giudiziaria di Virginia Raggi per far finta d’essere garantista. Non ci casca nessuno. La verità di questa storia è che è Renzi a essere ossessionato da noi, mica il contrario. La smettano di aggredirci. Basta. Dicano cosa vogliono fare dell’Italia, invece di parlare di noi”. Che però, in questo paradossale gioco di specchi e simmetrici rinfacciamenti, è esattamente quello che dice anche Matteo Orfini: “Gotor, Bersani e Speranza erano dirigenti del Pd, adesso si sono trasformati in lividi commentatori del Pd. Piuttosto dovrebbero dire qualcosa sull’Italia invece di parlare sempre di Renzi”.

 

E certo, eleganza vorrebbe che l’ex non parli male dell’ex. Persino nelle aziende gli ex dirigenti sono pagati per tacere. E infatti mai Luca di Montezemolo parla male (in pubblico) di Sergio Marchionne, il suo ex, che lo mandò via anche un po’ sgarbatamente dalla Ferrari. Meglio non parlarne affatto. Tuttavia ci sono degli ex che diventano “anti”, e sono i piu feroci contro gli ex fratelli. E proprio questa sembra la sindrome della sinistra italiana, che si nutre di pose e formulette rubate agli scissionisti di un tempo remoto, ai Bertinotti e ai Cossutta, che le avevano essi stessi rubate al mondo complesso dei Gramsci e dei Bordiga, tutto un cosmo già allora ridotto a rancore e oggi degradato a parodia, a smorfia, a “mossa”, a un campo di senso che forse ha più a che vedere con la psicologia matrimoniale o con l’etologia del branco, più con Konrad Lorenz che con la politologia di Gaetano Mosca e Giovanni Sartori. E allora bisogna proprio immaginarselo Giuliano Pisapia, ieri, a Roma, alle prese con i pezzi inafferrabili di questo “campo progressista” che impegna tutte le sue energie nell’autodissanguamento. “Ma è ovvio che l’avversario sono le destre, e non Renzi”, dice alla fine Gotor. E Orfini, pure lui: “L’obiettivo è l’unità del centrosinistra”. Ah, sì? 

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.