L'ex presidente del Consiglio Matteo Renzi (LaPresse)

Ma l'Italia senza vongole è un incubo per chi ama lo spettacolo della storia

Giuliano Ferrara

Mauro dice che Renzi non ha senso dello stato, che bisognava scegliere i migliori, non i "tuoi". Dimentica altri politici, anche grandi, raider con corte dei miracoli

Ezio Mauro dice che Renzi è stato un raider, non un leader. Ha lanciato un’Opa, partito, governo, gli azionisti-elettori di primarie ed europee gli hanno dato ragione e forza perché era di loro convenienza, deputati e senatori del Pd hanno seguito la carovana assalitrice, c’è stato il concerto un po’ sospetto con Berlusconi e poi con Verdini, ha piazzato i suoi toscanucci cristianucci e familiari e Medjugorie (suprema beffa anche per me, che ho ampia e devota stima della Madonna, ma non quella), e alla fine è stato travolto. Ci voleva cultura, ci volevano senso della storia e dello stato, bisognava scegliere i migliori, non i “tuoi”.

 

D’Alema con Occhetto lanciarono un’Opa sul Pci, quando Natta giaceva cardiopatico in un lettino, poi D’Alema divenne azionista di maggioranza disfacendosi di un velista old fashion come Occhetto, lui che aveva l’albero in carbonio, e by by Condi. Fece tutto questo con Velardi e Rondolino e Latorre, tre pezzi da novanta della cultura del fare, forse anche i migliori e non tutti corregionali ma non proprio un team da sogno in relazione ai valori esibiti da Mauro. Craxi scelse Amato, uno dei migliori senz’altro, e lo poté scegliere perché alle spalle aveva il mitico e superoperativo Vanni Nisticò che girava i congressi provinciali per competere con gli avversari nella caccia concretissima al consenso degli avvocaticchi socialisti dell’epoca a suon di argomenti convincenti, e gli mise al fianco, lui né consenziente né dissenziente, un team da sogno, per i benpensanti da incubo, di uomini concreti. (Memmo Contestabile, un generoso della politica laica e socialista di cui dovremo deciderci presto a celebrare gli ottant’anni, e di cui urgono le memorie, mi ha raccontato al Flore che un suo sarto napoletano di Milano gli disse di Berlusconi che “non è concreto”, e alla domanda sul significato rispondeva: “insomma, cattivo”.) E’ appena uscita una corposa biografia politica di Aldo Moro, che sarà stato cattivo nella sua logorrea per iniziati, ma fu a suo modo grande, e inoltre un martire della democrazia italiana: leggetevi il libro di Massimo Mastrogregori (editrice Salerno), e poi su stato, partiti potere e team da sogno mi direte che ora è.

 

Ora D’Alema vanta frequentazioni importanti con la grande cultura, e magari non del tutto a torto, Craxi sapeva tutto di Garibaldi e di Edmond Dantès (e i lettori di Dumas sono ipso facto persone colte con senso della storia e grande fantasia), Moro era un finissimo teologo della politica che non piaceva a Kissinger (pazienza, ora gli tocca Trump) ma era adorato da un intellettuale di grido come Paolo VI. Tutti hanno realizzato qualcosa di interessante per sé e per il paese in cui hanno abitato, D’Alema meno di tutti, ma fare e disfare l’Ulivo e negoziare la convivenza con Berlusconi e con Borrelli non sono cose da poco. Tutti raider, tutti circondati dalla corte dei miracoli. Se il senso della storia e il senso dello stato devono essere compresi come senso della storia italiana e dello stato italiano, modernizzazione o no, bisogna essere un po’ meno schizzinosi, e farsela piacere.

 

Questo è un paese dove un imprenditore che lavora con il pubblico si vede definire la sua impresa “l’impero degli appalti”: in traduzione dalla lingua di procure e manettari, significa “l’impero del furto”. Eppure qualcuno deve asfaltare. E’ un paese in cui essere avvertito da un amico che sei intercettato, naturalmente avvertito al telefono, non è considerato commedia all’italiana ma reato penale e grave trascendimento dell’etica del controllo di legalità.

 

Italia senza vongole? E’ il sogno di Mauro e Zagrebelsky, ma è un incubo per noi amici dello spettacolo della storia, della realtà della politica e dello stato, e dei molti delinquenti, noi compresi, che calcano queste scene. Quando Mauro avrà finito la sua ricerca di una maggioranza italiana intransigente, disposta a subire la leadership di un incorruttibile, di un Robespierre, mi avverta, prego. Forse può puntare su Emiliano, che è anche un magistrato, e mettere al posto delle odiate vongole le gustose cozze pelose. Intanto sarebbe meglio non liquidare con troppa albagia un boy scout di talento al quale si dovrebbe rimproverare, quello sì, un eccesso nella “manutenzione del glamour”, il trucco ossessivo delle belle donne nella versione di Allan Bloom, ma non la concretezza, se ci sia stata.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.