Beppe Grillo con Luigi Di Maio, Virginia Raggi e Alessandro Di Battista (Foto LaPresse)

Altro che scissione del Pd, nel M5s gli scissionisti li chiamano “traditori”

Marianna Rizzini

Mentre la minoranza dem minaccia di abbandonare Renzi al suo destino il MoVimento 5 stelle, in silenzio, perde pezzi

Roma. C’è scissione e scissione, e certo un abisso di sfumature si apre tra la scissione che balena all’orizzonte del Pd (si farà, non si farà, e soprattutto: chi si scinderà da chi?) e la scissione fantasma negata nel M5s. Eppure tutto un mondo a Cinque stelle già si scinde, metaforicamente e non, con piccoli strappi parcellizzati e minuscole isole di dissidenza espressa. E si scinde senza mai nominare il fattaccio (la “scissione”, appunto), il non-partito a Cinque stelle, mente il Pd, partito-partito, attende il big bang (congresso? Congelamento dell’addio con valigia pronta?) e si arrovella tra un Michele Emiliano che parla di “scissione” da parte di chi “non rispetta lo statuto” (intendendo Matteo Renzi) e un Massimo D’Alema che lancia il movimento “Consenso” e fa capire (sempre a Matteo Renzi) che se si corre verso le urne lui potrebbe uscire dal partito. E anche Renzi mette un piede nel gioco, mandando tanti saluti a D’Alema che “vive pensando” sia lui “il suo problema”, coadiuvato da Matteo Orfini, figliolo non prodigo di D’Alema, che con tormento avverte: “La scissione è qualcosa che non fa bene alla sinistra, la cui storia è piena di scissioni che non hanno mai portato bene agli scissionisti”.

 

Come dargli torto? Fatto sta che intanto, a casa loro, i nemici a Cinque stelle applicano la massima del “si fa ma non si dice”: si litiga, si minaccia, ci si separa, si entra in gruppi misti e si corre da soli alle elezioni locali, ma chi resta non lo dirà mai, che quelli che se ne sono andati “si sono scissi” (meglio puntare sulla demonizzazione del singolo “traditore”), pena il crollo d’immagine del Movimento che “non è come gli altri” e marcia compatto per definizione, e però forse anche per auto-limitazione, visti i rinnovati diktat di Beppe Grillo contro i non allineati e i colpevoli di “cambio di cadrega” – da cui discende l’ode alla non-libertà dal vincolo di mandato.

 

Capita infatti, nel M5s squassato dal caso Roma, con contorno di chat intercettate e mezze-rivelate, che i sintomi di malessere, a lungo manifestati sottotraccia, ma pure su Facebook, portino a un ribollire di insofferenza non più contenibile senza dimostrazione plastica di “messa sotto processo” del vertice inadempiente o non abbastanza collegato alla grande mente collettiva dei cittadini sempre epidermicamente vigili sul web. E dunque il 5 febbraio, a Roma, un’assemblea plenaria di attivisti farà il punto sulle “modalità di comunicazione”, ché i molti meet-up capitolini, così pare, comunicano male tra loro (e però si parlerà anche del “rapporto tra attivisti e portavoce”, di “trattamento e interazione sulle emergenze a Roma e della “piattaforma” sul governo comunale). Evitare il borbottio, trovare uno “strumento unico” per parlarsi senza malintesi, questo l’obiettivo anti-disunione (e anti-scissione) dell’assemblea, ma è come se fosse tutto un po’ come la classica speranza già superata dagli eventi, vista la palese frattura romana tra l’ala di attivisti facenti capo alla deputata Roberta Lombardi, presenza storica della scena locale a Cinque sstelle, e l’ala ancora intenzionata a sostenere la sindaca Virginia Raggi, anche a costo di dare addosso a chi l’ha criticata, e cioè, in primis, alla stessa Lombardi e alla senatrice Paola Taverna.

 

Parleranno in più di cento, domenica, divisi più che mai, ma in nome dell’unità che non c’è più, mentre a Genova Paolo Putti, consigliere comunale ed ex pilastro dei Cinque stelle liguri, lascia il Movimento con altri due colleghi, citando il Francesco Guccini delle “cinque anatre” che “andavano a sud…: forse una soltanto vedremo arrivare, ma quel suo volo certo vuole dire che bisognava volare…”. Per non dire del già “scisso” Federico Pizzarotti, sindaco ex M5s di Parma che correrà da solo per il secondo mandato al grido di: “Ai vertici del Movimento la libertà fa paura”. Il tutto mentre Grillo e Casaleggio junior studiano antidoti “taglia-correnti”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.