Matteo Renzi e Michele Emiliano (foto LaPresse)

Il passato non ci interessa. Lettera agli scissionisti sul significato distorto della parola sinistra

Gennaro Migliore

La sinistra che vuole cambiare il paese deve fare un investimento sul futuro. Oggi la sfida è innovazione vs immobilismo. E l’innovazione non si fa guardandosi allo specchio

Al direttore - Nelle numerose ricostruzioni dei fatti accaduti nel Pd nelle ultime settimane, ho ritrovato molti commentatori adagiati su uno schema piuttosto semplice: la “sinistra” rompe con Renzi e, a dieci anni dalla sua fondazione, il Pd si ritrova di fronte più che a un congresso a una mutazione genetica. Ovviamente tale ricostruzione è stata ampiamente favorita dalla auto narrazione della minoranza del mio partito, datata ben prima della sconfitta del referendum del 4 dicembre, culminata con un appuntamento piuttosto altisonante, quello con la “rivoluzione socialista”, consumatosi di sabato mattina nel teatro Vittoria, a Roma. Premesso che rispetto tutti quelli che pensano cose diverse dalle mie, devo dire che trovo fuorviante dare seguito a questa interpretazione. Lo dico, innanzitutto, per esperienza. Di solito, chi è di sinistra sa esattamente chi è di sinistra (normalmente egli stesso e pochissimi altri che pensano esattamente come lui), mentre per tutti gli altri riserva una definizione accurata perché non ci sia nessuna confusione sul fatto che non sia di sinistra, attingendo alla tassonomia quasi entomologica di cui dispone la nostra ricca, articolata e tormentatissima storia, distesa oltre il secolo. Confesso di essere molto turbato, come tanti nostri elettori e attivisti, per questa incipiente scissione, ma soprattutto sono incredulo di fronte alle modalità e alle ragioni espresse per motivare la rottura.

 

Si tratta, a mia memoria, della prima scissione sul passato e non sul futuro. In passato, in alcuni casi ho vissuto direttamente l’esperienza, la scissione avveniva su prospettive diverse, le famose strade che si dividono: per esempio, sul sostegno a un governo, ovvero su due scelte programmatiche diverse. Qui, ci troviamo di fronte al rinfacciarsi ciò che è accaduto nel recente passato (dal jobs act fino alla riforma costituzionale) per poi darsi appuntamento al fatale ricongiungimento dell’indomani, uniti nel sostegno comune al governo Gentiloni e poi, perché no, uniti nel progetto elettorale che faccia da argine alle destre. Un vero inedito. Non cercherò di comprendere ora tutto ciò che ruota intorno a questa vicenda, anche perché con il tempo il fumo sollevato in queste ore si solleverà, per la mia e l’altrui comprensione. Tuttavia, per me è urgente confutare che ciò avvenga in nome della Sinistra.

 

La prima, banale, osservazione è che il Pd è il maggiore partito della sinistra in Italia e in Europa. Non l’unico né tantomeno il migliore. Quello che ha portato me, e tanti altri, a entrare e sostenere l’azione di “questo” Pd, quello a guida di Matteo Renzi, sono state proprio le scelte concrete, di sinistra, quelle che hanno provato a incrociare il cambio d’epoca senza soggezioni, senza bisogno di farsi guidare da fratelli maggiori o da lontani parenti, tanto saggi quanto ripiegati sulle loro sconfitte. Parlare del passaggio d’epoca fa tremare i polsi e quindi bisogna accostarsi al tema con umiltà, senza perdere però la determinazione nell’individuare le risposte. Fuori dal nostro castello ci sono molti barbari. Non ci sono solo barbari assedianti, ovviamente, ma è certo che in questo momento la voce degli xenofobi, dei razzisti, degli antisemiti, dei demagoghi, dei neosovranisti, dei mercanti delle paure contemporanee è molto forte. Prima ancora che enumerare le tante scelte di sinistra (prima mai compiute da chi oggi si professa rivoluzionario), dall’aumento dei diritti dei lavoratori precari (e delle lavoratrici in particolare con il ritorno al divieto delle dimissioni in bianco) alle politiche a sostegno della disabilità, per non dire delle scelte fatte in tema di immigrazione, politica estera e contrasto ai dogmi dell’austerità tecnocratica, fino alla definizione di diritti civili prima inesistenti, per me conta il metodo seguito.

 

Di fronte a un paese immobile, persino incartapecorito, vittima di tutti i “poteri deboli” derivanti da annose rendite di posizione, si è aperta una stagione di riforme che non ha avuto precedenti. Personalmente ho avuto la fortuna di incrociare direttamente la forza delle scelte sia sulle questioni legate ai migranti richiedenti asilo che su quelle della giustizia, con un’inedita attenzione al mondo carcerario. Cosa c’è di più di sinistra negli esponenti della minoranza? Il richiamo all’eguaglianza? Anche da parte di chi ha vissuto per anni all’ombra del “non possumus” tecnocratico? O magari è di sinistra dipingere Renzi e il nostro partito esattamente come fanno tutti i giorni i bot della Casaleggio associati?

 

Descrivendoci come un’accolita di interessati a favorire banchieri e petrolieri, generando un danno reputazionale incalcolabile. E’ di sinistra, mi chiedo, smantellare, letteralmente, le eccellenti politiche giovanili e culturali adottate dalla giunta Vendola in Puglia, oggi rilanciate a Milano dalle giunte di Pisapia prima e di Sala oggi, come sta facendo Emiliano? Sicuramente vanno fatti ancora molti passi, ma non per guardarsi allo specchio la mattina e specchiarsi nella nostra immagine di progressisti ben educati. Dobbiamo farlo per dare più strumenti a chi oggi vive frustrazioni e sente di non contare nulla.

 

Evocare l’eguaglianza può diventare paternalismo se non si comprende il senso di estraneità che vive un’intera generazione. L’uguaglianza è la prima spinta per il progresso sociale. Perciò facciamo bene a capire cosa abbiamo sbagliato nelle politiche per la scuola pubblica, o a modificare la disciplina sui voucher (non dimenticando mai che sono stati prima introdotti e poi estesi dai precedenti governi, nel silenzio degli odierni oppositori, e per la prima volta limitati dal governo Renzi). Ma il nodo è quali strumenti contribuiremo a fornire ai nostri concittadini, quale crescita, quali investimenti. Così come dovremo affrontare il vero nodo delle migrazioni, quello economico, per regolare in maniera non ipocrita un fenomeno sul quale investire, contrapponendoci frontalmente alla strumentalizzazione delle paure fatta da destra.

 

Per me è di sinistra provarci, magari fallire, riconoscere l’errore e tornare a provarci. Come fece quel sarto a Ulm, appassionato di meccanica, che si schiantò al primo tentativo ma che non rinunciò a provarci. Come ha fatto Renzi. La forza sta nel riconoscere i propri errori, magari dimettendosi e poi riprendere la responsabilità di una sfida, non nel festeggiare le sconfitte altrui. Se la sinistra non sta dalla parte degli innovatori, se non sta dalla parte di chi ha l’ambizione di diventare un motore della trasformazione, se non è “la resistenza di un’utopia ancora giovane” (rubando il titolo a un quotidiano sportivo che ci ha raccontato il ritorno di Zeman) allora, come ha detto Veltroni alla nostra assemblea, chiamiamola nostalgia del passato, non investimento verso il futuro. Abbiamo bisogno di ricucire il futuro, quel futuro che oggi sembra irraggiungibile, impigliati come siamo in questo eterno presente. La nostra comunità ha bisogno di riprendere un cammino che sia più consapevole e più umile. Dobbiamo fare in fretta, però. Perciò ci serve tanto un congresso, per chiedere a chi ci legittima un mandato chiaro.

 

Gennaro Migliore è sottosegretario alla Giustizia, Pd

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