Michele Emiliano, Enrico Rossi e Roberto Speranza (foto LaPresse)

Perché le scissioni possono essere un'occasione

Redazione

L'analisi dello storico Sabbatucci: utili e necessarie se rispecchiano divisioni profonde sui principi o "chiariscono equivoci ideologici". Ma non è il caso del Pd

Sicuri che una scissione sia per forza qualcosa di negativo? Certo che no. O meglio, dipende dal tipo di scissione. Lo spiega bene, su La Stampa, lo storico Giovanni Sabbatucci. "Non è detto - scrive - che tutte le scissioni siano dannose. Possono essere necessarie, addirittura utili".

 

Sabbatucci fa alcuni esempi: quella di Livorno del 1921 tra comunisti e socialisti, quella del 1922 tra comunisti riformisti e massimalisti, quella di Saragat nel 1947, e via così fino ai giorni nostri. La storia della sinistra, insomma, è costellata di scissioni. Alcune avvenute probabilmente nel momento sbagliato, ma tutte caratterizzate da "un alto tasso di impegno ideologico, accompagnato a un forte riferimento internazionale".

 

Se questa è l'origine se, come scrive Sabbatucci, "rispecchiano una divisione profonda sui principi fondanti di un partito, se chiariscono equivoci ideologici, se interrompono convivenze oggettivamente impossibili", le scissioni possono essere necessarie e utili. Ma se così non è? Ecco che l'analisi si sposta ai giorni nostri e alle vicende del Pd.

 

Sabbatucci non nega che "dietro l'imminente rottura" ci siano anche "contrasti idee e di programmi" ma, sottolinea, "nulla che ecceda la normale dialettica di un partito progressista". "Evidentemente - prosegue - i promotori della scissione hanno saputo ben nascondere le motivazioni alte e nobili, coprendole con una cortina di proclamazioni generiche e richieste pretestuose". E questa non è una "buona" scissione.