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Perché la vera storia della scissione Pd è la nascita del movimento 5 sinistre

Claudio Cerasa

La sinistra che non accetta le logiche di mercato è destinata a spianare la strada ai populismi. La retorica anti liberista non produce nuovi soggetti, ma legittima il grillismo, il leghismo e il trumpismo. Un bel libro da leggere

Quando terminerà la sceneggiata patetica legata alla scissione del Partito democratico, la sinistra che uscirà dal Pd, prima di scegliere se stare a fianco di Fassina o di D’Alema o di Civati o di Pisapia o di Vendola o del Partito Marxista Rivoluzionario e Leninista, dovrebbe fare un rapido salto in libreria e acquistare un volumetto di poche pagine che gli permetterebbe di guardare il mondo, il proprio mondo, con occhi diversi. Il libro si intitola “Verso l’estremo”, è stato scritto due anni fa da due sociologi francesi di talento, Luc Boltanski e Arnaud Esquerre, e ha il merito di spiegare con chiarezza un fenomeno insieme culturale e politico che non riguarda solo la Francia. Il sottotitolo perfetto del libro potrebbe essere questo: la sinistra che non accetta fino in fondo le logiche di mercato è destinata a spianare la strada ai movimenti populisti. Si parla di Francia, nel libro di Esquerre e Boltanski, ma in realtà è come se si parlasse dell’Italia di oggi e di un grande non detto che si nasconde dietro il tema della scissione del Pd. “La sinistra critica – scrivono gli autori – ha cercato di ricompattarsi raffigurando il neo liberalismo come il proprio nemico principale. In questo modo, si è immersa nella configurazione ideologica dell’estrema destra e da quel momento in poi la critica al neoliberismo è diventata una critica alle società moderne e all’interno di quella configurazione ideologica il tutto si è caricato di significati nazionalisti”. Il ragionamento dei due sociologi centra un punto importante che riguarda anche una questione chiave della scissione del Pd.

 

La sinistra che oggi si sente incompatibile con il progetto neoliberale renziano si rifiuta di riconoscere però una verità difficile da contestare: le parole d’ordine che portano la sinistra a criticare l’impostazione “liberista” data al Pd sono le stesse utilizzate dai populisti per giustificare la propria dottrina. E quel mix fatto di nazionalismo, protezionismo, sovranismo e anti europeismo è destinato a essere sempre più legittimato nel momento in cui un pezzo di sinistra sceglie di giocare sullo stesso campo dei populisti. Non è un caso che la sinistra del Pd oggi si senta più vicina ad alcune idee di Grillo (sul lavoro, per esempio) che a quelle di Matteo Renzi. Non è un caso che la sinistra uscita dal Pd (compresa la Cgil) oggi si senta più vicina alle idee di Salvini (i voucher, le pensioni, l’articolo 18, la legge Fornero) che a quelle di Nannicini. Non è un caso che la sinistra devota al verbo del carlin petrinismo oggi si senta più vicina a Donald Trump che a Emmanuel Macron. Come lo si spiega?

 

Scrivono ancora Esquerre e Boltanski: “Questo slittamento ideologico ha permesso di trasformare la critica al liberalismo economico in una critica al liberalismo politico, alla socialdemocrazia, alla democrazia tout court. A tal riguardo bisogna anche constatare che l’inflessione nazionalista data alla critica del liberalismo dall’estrema destra è stata ampiamente ripresa da intellettuali, giornalisti e personalità politiche provenienti dalla sinistra, così che, sempre più spesso, il riferimento a questa figura critica che associa la stigmatizzazione del liberalismo e del potere della finanza all’odio delle istituzioni europee della democrazia, alla difesa del popolo nazionale, si trova ripreso da movimenti di estrema sinistra che non si distinguono più dall’estrema destra, se non per la loro attenzione compassionevole ai migranti: residuo dell’antico internazionalismo proletario, ormai finito nel dimenticatoio della storia”.

 

La tesi dei due sociologi ci porta a comprendere meglio un fenomeno trascurato in questi giorni e che tocca direttamente le conseguenze che deriveranno dalla scissione del Pd. Non si sa se l’uscita di pezzi di classe dirigente dal Pd permetterà al partito di diventare più forte (possibile) o di essere semplicemente più debole (da dimostrare). Si sa invece che, non solo in Italia, la rinuncia a costruire un partito inscritto compiutamente all’interno del perimetro del pensiero liberale avrà l’effetto di legittimare sempre di più le posizioni più estremiste. E alla fine la sinistra che uscirà dal Pd contro “il populista Renzi” (ma che in realtà uscirà dal Pd per dire “no al neoliberismo”) è destinata a ingrossare un bacino da cui potranno pescare con maggiore facilità i populisti veri, e pericolosi, alla Grillo e alla Salvini.

 

Sintesi finale: la sinistra tradizionalista (il responsabile economico del Pd di Bersani era Stefano Fassina, che non a caso oggi in consiglio comunale, a Roma, cerca di dialogare con il movimento 5 stelle di Virginia Raggi) che ha aperto la strada ai populisti sui temi della politica economica e anche sui temi della politica moralistica non poteva che dire no a una sinistra che oggi cerca di forzare la sua identità per creare un’alternativa razionale al nazionalismo, al protezionismo, al salvinismo, al grillismo. Conclusione dei due sociologi francesi: “A lungo, l’estrema sinistra è stata accusata di dipendere da un’ideologia rigida e superata. Ma ciò che colpisce nella estrema sinistra attuale è, al contrario, l’assenza quasi totale di ideologia. Ovverosia, non il compimento di azioni dettate da analisi sbagliate, ma l’assenza di analisi e quindi di un orientamento consapevole tale da far discendere delle azioni. L’ondata altermondialista di inizio anni 2000 e quella registrata dieci anni dopo degli indignati dei movimenti, ispirati da Occupy Wall Street, si sono esaurite senza riuscire a impedire alle società europee di finire in balia di una destra sempre più tirata verso l’estremo. In sostanza, l’estrema sinistra attuale rimane passiva di fronte a una situazione politica in cui è in posizione di inferiorità, e rinunciando a dedicare attenzione al presente si rivolge a un passato a cui non smette di dar lustro e a un avvenire lontano che non si capisce bene come potrà realizzare”.

 

Alla fine, dunque, la sinistra che uscirà dal Pd non rifonderà una nuova sinistra, riuscirà al massimo a creare un movimento 5 sinistre: una costola del grillismo o del leghismo, come da vecchio e indimenticato sogno di Massimo D’Alema, diciamo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.