Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook (LaPresse)

Perché il fact-checking di Facebook resterà politicamente orientato

Daniele Scalea

Zuckerberg sceglie una rete di controllori per nulla super partes. Da Kelly McBride a Melody Kramer, gli esempi che mettono in dubbio l'obiettività dell'operazione.

L'annuncio di Facebook, che ricorrerà a siti terzi di fact-checking per decidere se una notizia sia falsa (etichettandola di conseguenza e limitandone la diffusione), solleva un problema di non poco conto: chi controlla i controllori? Sebbene la mossa di Zuckerberg sia stata sollecitata da ambienti politici, essa risponderà alle logiche aziendali (di un'azienda, si ricorderà, coinvolta pochi mesi fa in una polemica circa la soppressione arbitraria di notizie conservatrici). I primi segnali lasciano intravedere la possibilità che il fact-checking di Facebook sarà politicamente orientato, e comunque praticato da persone la cui affidabilità è messa in dubbio da passati errori.

 

Di certo c'è che Facebook si appoggerà solo a siti aderenti a una rete patrocinata da Poynter: un'entità autorevole nel mondo del giornalismo, ma non necessariamente super partes. Il 9 novembre scorso, ad esempio, pubblicava a firma di Kelly McBride (non una penna occasionale, ma una sua alta dirigente) un commento all'elezione di Donald Trump che cominciava così: "Talvolta il peggio accade". E continuava descrivendo il presidente eletto come una persona che "usa gli stranieri quali capri espiatori, marginalizza le donne, invoca la violenza contro le minoranze religiose [...] è più bugiardo dei suoi rivali". E incitava i colleghi giornalisti a perseverare nella lotta. Un articolo di Melody Kramer, pubblicato prima delle elezioni, negava invece che i media fossero faziosi nella contesa tra Trump e la Clinton, malgrado evidenze in senso contrario.

 

La rete ha vari finanziatori, tra cui l'immancabile e non certo apolitico George Soros, e siti della rete  che sono stati indicati come i primi partner di Facebook sono stati tutti, chi più chi meno, accusati di avere pregiudizi politici. E’ il caso di ABC News, il cui principale corrispondente politico durante la campagna elettorale, George Stephanapoulos, oltre a essere ex portavoce di Bill Clinton, era un abituale donatore alla Clinton Foundation – fatto non rivelato agli spettatori come buona condotta etica avrebbe richiesto. Secondo il Pew Center, la ABC è considerata una fonte attendibile dalla maggioranza di spettatori liberal ma da una minoranza di quelli conservatori. All'ultima assemblea degli azionisti della Walt Disney, proprietaria dell'emittente, il ceo Bob Iger è stato contestato sull'imparzialità della ABC.

 

Un altro partner dell'azienda californiana è Politifact, indirettamente di proprietà del Poynter Institute che dovrebbe poi valutarne l'aderenza ai princìpi etici necessari a far parte della rete. Poynter ha infatti la proprietà del promotore di Politifact, il giornale Tampa Bay Times, che alle ultime elezioni ha dato il suo endorsement a Hillary Clinton e al locale candidato democratico al Senato. E’ stato calcolato che Politifact riconosce come vere la maggior parte delle affermazioni di politici democratici e come false la maggior parte di quelle di politici repubblicani. Forse questi ultimi mentono davvero di più, ma numerosi critici ritengono invece che Politifact interpreti le loro asserzioni in maniera più letterale, trovando così quasi sempre una virgola cui aggrapparsi per invalidarle.

 

Oltre alla dubbia neutralità, un problema ulteriore è quello dell'affidabilità. I fact-checker sono stati accusati di voler giudicare alla stregua di fatti anche opinioni e punti di vista: talune critiche sulla loro metodologia sono giunte anche da Sinistra. Politifact è stato molto criticato per avere sei volte, tra 2008 e 2012, giudicato veritiera l'affermazione di Obama secondo cui l'Obamacare avrebbe permesso agli individui di mantenere la propria assicurazione sanitaria, salvo poi eleggerla nel 2013 niente meno che a “Bugia dell'anno”. Nel luglio di quest'anno, Politifact ha giudicato “mezza vera” l'asserzione di Hillary Clinton di non aver mai ricevuto materiale classificato sulla sua e-mail personale: un giudizio avventato che pochi mesi dopo, alla luce dei risultati delle indagini, ha dovuto rivedere. Ma che valore hanno “verità” che cambiano nel giro di così poco tempo? 

 

Sempre a proposito di Clinton, Politifact ha difeso un programma della Fondazione Clinton in Africa da talune accuse, omettendo però di rivelare ai lettori che un loro finanziatore ha finanziato anche quel programma (la buona etica giornalistica impone di dichiarare sempre possibili conflitti di interesse).

 

Questi esempi mostrano come, dietro alla patina di oggettività e infallibilità che oggi s'assegna ai fact-checker, si celino in realtà degli esseri umani che hanno i loro inevitabili pregiudizi e che sono fallibili, non diversamente dai politici e giornalisti che si trovano a giudicare. Ma con l'inedito privilegio di far valere la propria come ultima e definitiva parola, sanzionata dal signore dell'informazione social, Mark Zuckerberg.