Pier Luigi Bersani (foto LaPresse)

Renzi non ostacolerà la scissione del Pd

David Allegranti

L’ultima rottamazione possibile: sostituire i Bersani con i Pisapia

Roma. “No, la scissione non è un bluff”. Andrea Orlando, ministro della Giustizia, ora indossa i panni del mediatore dopo aver rotto in direzione con Matteo Orfini, compagno di corrente nei Giovani Turchi e ancora fedele alla linea del segretario per il voto subito. “La parola scissione – dice Orlando – ha già prodotto grandi danni nella storia della sinistra. Scindersi oggi di fronte ad una destra che è sempre più aggressiva e agita l’odio credo che sarebbe una responsabilità che non ci potremmo in alcun modo perdonare”. Ma Pier Luigi Bersani ormai procede spedito verso l’addio al Pd, dopo lo scontro con Renzi su tempi e modi del congresso. “Qui non è questione di calendario”, dice l’ex segretario in Transatlantico.

 

“Qui il problema – dice Bersani a denti stretti – è se siamo il Pd o il Pdr, il Partito di Renzi. Io da Renzi non mi aspetto nulla, ma chi ha buonsenso ce lo metta. Perché siamo a un bivio molto serio. La scissione è già avvenuta tra la nostra gente. E io mi chiedo come possiamo recuperare quella gente lì”. Aggiunge l’ex segretario: “Dobbiamo chiederci se e come recuperiamo una parte del nostro popolo. Io ieri (lunedì, ndr) in Direzione ho visto solo dita negli occhi a questa gente. Non può essere. Ho chiesto a Renzi di avere più umiltà”. Alla fine pare che i bersaniani domenica andranno all’assemblea nazionale del Pd. Hanno apprezzato l’intervento di Orlando, che ha chiesto prima una conferenza programmatica e poi il congresso (linea che però non piace al segretario del Pd), ma rivolgono un appello a chi sta vicino a Renzi perché qualcuno lo fermi. “Chi ha buonsenso ce lo metta perché la questione è seria. Serve consapevolezza politica: da Renzi non me lo aspetto dopo averlo sentito ieri ma da quelli che stanno attorno a lui me l’aspetto”, dice Bersani. I bersaniani sono furibondi: “Non è tempo di mediatori – dicono a Orlando – con Renzi non puoi mediare; lo devi fermare”, dicono i collaboratori di Bersani, che già passano in rassegna le truppe sul territorio.

 

Un lavoro che stanno svolgendo Nico Stumpo e Davide Zoggia, rispettivamente ex responsabile organizzazione ed ex responsabile enti locali del Pd bersaniano. Giovedì della scorsa settimana Roberto Speranza ha riunito nella saletta dei gruppi parlamentari tra le cento e le centocinquanta persone da tutta Italia per capire che cosa pensa il mitico territorio di un’eventuale scissione. “Al Senato intanto contiamo su una trentina di persone”, dicono i bersaniani. “Ma se ce ne andiamo non è come quando se n’è andato Fassina: è la fine del Pd”. “La scissione è una escalation incomprensibile”, dice Francesco Verducci dei Giovani Turchi.

 

“Anche perché prima hanno chiesto loro il congresso, poi hanno chiesto le dimissioni del segretario per anticipare il congresso, ora si vuole fare il congresso e parlano di scissione. Il congresso è il luogo in cui discutere di piattaforme e mi pare che le cose che diciamo siano ampiamente simili. Tutto mi pare tranne un clima simile a quello che giustificò la scissione del 1921 a Livorno, quando nacque il Pci. La cosa ancora più pazzesca è che in un momento del genere, con una destra così arrembante, dovresti rafforzare le ragioni dello stare insieme”. Domanda: quanto vale Bersani nel Pd? Quanto costerebbe al partito il suo addio? E come i renziani intendono recuperare quello strappo a sinistra? “C’è Pisapia”, dice David Ermini, responsabile giustizia del Pd. I renziani guardano al Campo Progressista con interesse. “E’ una sinistra radicale ma disposta alla collaborazione con il Pd in prospettiva di governo”, dicono i renziani. Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd, ha il telefono in fiamme. Lunedì ha parlato con Speranza e Gianni Cuperlo e nelle prossime ore dovrebbe sentire Bersani. Nel frattempo, lo scenario della scissione si fa concreto e nel Pd già si pensa a come fare qualora l’ex segretario se ne andasse per davvero. Renzi vuole puntare sui quarantenni che stanno nei territori. Gli stessi che lunedì hanno firmato un appello contro la scissione e per il congresso subito. “Il congresso è l’antidoto naturale al pericolo di scissioni, che sarebbero una sconfitta per l’Italia.

 

Fidiamoci di un confronto aperto e libero che coinvolga il nostro popolo, che vuole essere protagonista delle scelte di fondo a cui siamo chiamati. Negare la possibilità e chiudersi per paura di confrontarci significa infliggere al Pd la più grande sconfitta”, scrivono 10 sindaci e 3 presidenti di Regione Pd in un documento, firmato tra gli altri da Matteo Ricci (sindaco di Pesaro), Stefano Bonaccini (presidente Emilia Romagna), Mattia Palazzi (sindaco di Mantova), Dario Nardella (sindaco di Firenze), Giuseppe Falcomatà (sindaco di Reggio Calabria), Luca Ceriscioli (presidente Marche), Matteo Biffoni (sindaco di Prato), Daniele Manca (sindaco di Imola), Andrea Gnassi (sindaco di Rimini), Luca Vecchi (sindaco di Reggio Emilia), Katiuscia Marini (presidente Umbria). Anche Piero Fassino, ex segretario dei Ds, sta con Renzi, così come Matteo Orfini e Maurizio Martina. “Io penso – dice Martina – che si debba smettere di evocare la scissione. Si cambino i toni e si misurino le parole. Continuo a pensare che il congresso sia lo strumento più forte”. E alla fine pare difficile che pure un avversario come Enrico Rossi decida di seguire eventualmente Bersani. “A secondo di come Renzi imposterà le sue scadenze è anche possibile che la minoranza Pd non arrivi nemmeno a fare il congresso”, dice il presidente della Regione Toscana a Un giorno da Pecora. “Una parte di scissione c’è già stata, tanti elettori di sinistra hanno abbandonato Renzi. Mi auguro che Renzi possa rimediare e che il Congresso sia vero”.

 

E se si decidesse che il Congresso verrà fatto a breve, magari entro un mese? “Renzi si assumerà la possibilità di spaccare. Non so se ci sarà scissione, ma se Renzi vuole solo fare la conta del partito, quella non sarà una vera discussione”. Prima ancora della scissione del Pd, intanto, si è consumata una scissione fra i Giovani Turchi. Orfini è con Renzi per il voto subito, Orlando in Direzione ha proposto una conferenza programmatica e poi il congresso. Non è la prima volta che i due leader dei Giovani Turchi (che sono quasi 60 tra Camera e Senato) si trovano a discutere. I parlamentari “turchi” sono molto amareggiati e già hanno cominciato a contarsi. Orfini ha con sé Francesco Verducci e Valentina Paris. Orlando invece porta con sé, tra gli altri, Antonio Misiani, Silvia Velo, Elisa Simoni. “Orfini? Speriamo che ci ripensi”, dice sconsolata Velo sui divanetti della Camera.. “Ma non è il momento di conte e di capire chi sta con chi. Io rivolgo un appello, non retorico, all’unità”. Nel caos c’è già chi ne approfitta: è Massimo D’Alema, che venerdì prossimo sarà a Lecce per un’iniziativa politica della nuova associazione, “Consenso”. Quindi andrà a Benevento, poi nel nord a Brescia, Udine e altre località lombarde e venete per terminare il suo giro a Genova. 

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.