Apre la sede bresciana di Fare, il movimento politico di Tosi (foto LaPresse)

Il leader è il messaggio. Perché Tosi non crede al populismo di Salvini

Maurizio Crippa

Europa, lepensimo e trumpismo, leadership. Parla il sindaco di Verona, politico pragmatico

Milano. Flavio Tosi è uno che qualche giorno fa tuittava: “La sterlina è crollata, il governo inglese prevede Pil più basso, Ryanair disinveste; Maroni e Salvini sono per l’uscita dall’Ue: viva Tafazzi”. Leghista (della Liga) veneto per una vita, poi protagonista di scontri fratricidi e soprattutto di una inimicizia non solo tattica, ma ideologia e politica, con Matteo Salvini che l’hanno portato a uscire dal movimento, è uno che nei giudizi non si tira mai indietro. Dalla sua, però, il sindaco di Verona e ora leader del movimento Fare! ha un approccio politico pragmatico, da amministratore ormai di lungo corso, e una visione politica personale mai sdraiata sugli slogan, nemmeno quelli leghisti d’antan. È uno, ad esempio, che al refererendum costituzionale aveva votato per il Sì, proprio in nome dei rischi economici e di tenuta del sistema che intravvedeva nella sconfitta delle riforme. Uno che, federalista convinto, era stato deluso dalla Brexit – “deluso, non spaventato” – e non si era mai fatto affascinare oltre misura dal Trump della campagna elettorale, e adesso commenta senza imbarazzi, a proposito degli esordi del presidente americano, che “l’improvvisazione al potere fa sempre un disastro”.

 
Così adesso, posto davanti alla questione di un dilemma culturale e politico, prima che elettoralistico, per il (centro)destra italiano – se schierarsi dalla parte di Marine Le Pen, con tanto di xenofobia e antisemitismo, o proseguire in una tradizione liberale e moderata, con vista sull’Europa – Flavio Tosi preferisce non prenderla dai massimi sistemi, ma dalla logica politica. “Ci sono due problemi diversi, di contenuti e di leadership”, ci dice. “Per quel che riguarda i contenuti, mi sembra che nonostante Salvini continui a strillare e a estremizzare poi alla fine Lega e Forza Italia hanno sempre trovato un punto di alleanza, tralasciando le estremizzazioni. Erano alleati anche quando la Lega di Bossi voleva la secessione”. Il punto discriminante vero, secondo Tosi, è invece quello della leadership, perché è da lì che passa anche il contenuto, il messaggio trasmesso all’elettorato: “Dunque, se il leader della coalizione è Berlusconi, o comunque qualcuno designato da lui, del suo gruppo, il messaggio politico, la linea politica che uscirebbe, sarebbe quella moderata, del buonsenso. E anche il contenuto reale delle scelte politiche sarebbe quello. Ma se Salvini vuole essere lui il leader – e nemmeno Maroni o Zaia, che già rappresentano una visione di buonsenso, di amministratori – allora inevitabilmente il contenuto e il messaggio si spostano, si estremizzano”. La conseguenza, prosegue Tosi, è che cambierebbe anche l’elettorato (il risultato delle urne, è ancora difficile da stabilire). “Con Berlusconi puoi avere quel tipo di elettorato, e quello tradizionale della Lega. Se invece il leader è Salvini, al massimo ti tieni l’elettore leghista, e i ‘lepenisti’, che hai già, ma perdi il voto moderato”.

 
I contenuti, insomma, si accentuano o si smorzano a seconda di chi incarna l’elettorato. E siccome Tosi è un pragmatico, più che gli slogan, preferisce analizzare un altro punto di vista fattuale: “Io, che sono un amministratore, ne faccio una questione di etica e di deontologia della politica. Il populismo di Salvini, rapportato all’Italia, è raccontare balle all’elettorato. Così come per altri versi ha fatto Trump in America. Uscire dall’Europa è un disastro, uscire dall’euro è una cosa che tutti sanno benissimo non si può fare: né tecnicamente, perché i passaggi istituzionali e politici sono pressoché impossibili. E soprattutto sarebbe una catastrofe economica”. Ma l’elettore veneto, o lombardo, l’imprenditore che ha sempre votato la Lega, e che sa benissimo che senza euro e senza Europa si chiude e basta, cosa pensa degli slogan populisti, o dello spostamento della Lega su queste posizioni? “Non c’è un imprenditore, ma uno, che non sappia che uscire dall’euro è un disastro. Non ce n’è uno che stia da quella parte. Salvini punta a prendere i voti di chi non sa le cose, non è informato”.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"