Foto di Abdullah Bin Sahl vi Flickr

La grande sfida del 2017, da Renzi a Macron

Claudio Cerasa

Il futuro dei leader anti populisti non si costruisce trasformando l’Europa in un bersaglio

Le tasse vanno abbassate, e ci mancherebbe altro. L’immigrazione non può essere un problema solo dell’Italia, e come si fa a non annuire. L’Europa deve superare l’austerità, e anche questo ci può stare. Tutto giusto e tutto di buon senso. Ma il timido ritorno in campo di Matteo Renzi, dopo la botta referendaria, al momento offre all’osservatore una sensazione simile a quella che si prova durante l’estate quando in mancanza di un gelato artigianale ci si fionda su un gelato confezionato: al primo assaggio il sapore è ottimo, ma dopo qualche secondo le papille gustative incrociano un inconfondibile e leggero retrogusto amaro. In alcune circostanze, la sensazione offerta dalle uscite del segretario Pd, oggi, è simile a quella descritta: al primo assaggio il sapore è ottimo, le parole sono giuste, il posizionamento è esatto, ma dopo qualche secondo le papille gustative incrociano un leggero retrogusto amaro, segno di una posizione che pur essendo corretta fatica a trovare una sua precisa dimensione politica.

La partita di Renzi non è facile da giocare ed è complicata dal fatto che la Consulta ha reso le elezioni una carta quasi inevitabile da spendere. I tempi stretti possono aiutare a capitalizzare il consenso che si ha, ma allo stesso tempo, in mancanza di una nuova chiave da utilizzare per leggere il proprio spartito musicale, possono alimentare l’effetto assuefazione. Renzi è giustamente alla ricerca di una nuova rupture che gli permetta di adattare lo spirito fresco della rottamazione alla fase più riflessiva della ricostruzione. Per un quarantenne arrivato sulla scena politica con l’idea di combattere le burocrazie malmostose, era destino tentare di sfasciare tutto e imporre in ogni contesto possibile la logica del divide et impera, del dividere per dominare. Quello schema di gioco, però, oggi non può più funzionare e la scommessa quasi impossibile per il segretario Pd è trovare un nuovo schema per mettere in campo una rottura finalizzata all’ordine e non più al disordine. Posizionarsi come unico argine al populismo può essere una traccia utile ed efficace, specie se si deciderà di andare alle elezioni senza costruire alleanze con partiti e movimenti anti sistema, ma un contenitore forte con un contenuto debole rischia di alimentare non più un big bang ma un effetto supernova. E per questo, il segretario Pd, prima o poi, dovrà fare i conti con quello che è il suo destino inevitabile, da cui dipenderà il futuro del suo progetto riformista.

 

Il problema di Renzi non è il consenso di D’Alema (non esiste) o la scissione del Pd (forse inevitabile) o la modifica della legge elettorale (non ci sarà). Il problema di Renzi, come quello di tutti i politici iscritti per natura al partito dell’apertura e non della chiusura, è trovare un giusto equilibrio con una parola mai stata così importante come oggi: l’Europa. La tentazione di fare dell’anti europeismo la grande rupture riformista è facile da comprendere ma non può portare lontano: per la stessa ragione per cui combattere i populismi trasformandosi in populisti non fa altro che dimostrare la bontà delle ragioni dei partiti che si dovrebbero contrastare. La sfida di Renzi (vedi girotondo nell’inserto IV) oggi deve essere diversa e deve essere quella di creare, anche attraverso una critica agli ingranaggi affaticati del nostro continente, un nuovo formidabile patriottismo europeo, iscrivendosi al partito del WUE (Wake Up Europe) a cui hanno già aderito Emmanuel Macron in Francia, Mariano Rajoy in Spagna e Angela Merkel in Germania. Il nostro amico Mario Monti da presidente del Consiglio ha avuto il merito di incarnare il serissimo profilo della fedeltà ai princìpi europei. Ma l’Europa dei professori ha lo svantaggio di presentarsi agli elettori con un volto rigido e vampiresco – e purtroppo non funziona. L’Europa, più che di prof, ha bisogno di politici orgogliosi di essere europei. E in questo senso combattere per un risveglio dell’Europa può diventare il modo giusto per evitare il grande rischio nascosto dietro l’inseguimento dei populisti: favorire il ritorno a un mondo piccolo e rassegnarsi così alla vittoria di chi il sistema, invece di rigenerarlo, vuole solo distruggerlo.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.