Beppe Grillo (foto LaPresse)

Questa politica è quasi come il Bolero di Ravel: una cosa da pazzi

Lanfranco Pace

Bocciata la Consulta che ha mantenuto l’impianto maggioritario dell’Italicum annacquandolo; bocciati Grillo e Raggi per come stanno gestendo Roma; promossi, a prescindere, Nereo Rocco, e Benigni e Troisi in “Non ci resta che piangere”. Il pagellone alla settimana politica

A una delle prime esecuzioni del Bolero, una vecchia signora sconvolta da questa partitura senza musica, da questa fabbrica orchestrale senza oggetto e da una frase musicale ripetuta all’infinito, come una cosa senza speranza e da cui non ci si aspetta nulla, balza in piedi, è una cosa da pazzi, grida. Ravel si rivolge al fratello seduto accanto a lui: almeno una l’ha capito.

Anche la politica italiana del momento è un suicidio per iterazione, appunto una cosa da pazzi. Per trovare una fase così inutile e confusa nella nostra storia bisogna risalire al 1969, al divorzio fra Nenni e Saragat che mise fine alla riunificazione socialista e portò alle dimissioni del governo Rumor. Oppure alla staffetta Craxi-De Mita, prodromo della fine della prima repubblica. Ma almeno erano crisi squisitamente interne e la strada per uscirne c’era e in qualche modo era obbligata. Per come sono messe le cose oggi, nemmeno il voto darebbe garanzie: nel nuovo Parlamento potrebbe non esserci una maggioranza, non che si abbia assolutamente bisogno di maggioranze e governi, la lunga assenza dei governi belga e spagnolo ha fatto bene anzitutto ai paesi interessati, ma tornare alle urne a ripetizione diventa sfiancante in un paese avvezzo a fare campagna elettorale in permanenza.

I vincitori del referendum non hanno fatto nulla per dimostrare di meritare il largo consenso raccolto, accozzaglia erano, mal assemblata e refrattaria, e tale sono ancora. Hanno aspettato la decisione della Consulta, ora ne aspetteranno le motivazioni, sono incapaci della minima iniziativa per trovare un accordo su una qualsiasi legge elettorale che ridia un minimo di autonomia, di ubi consistam alla politica. Hanno azzoppato il tiranno e come se nulla fosse si sono rimessi a fare le stesse cose, giochetti di un vecchio mondo quando ormai la politica vive di chiarezza e semplicità al limite della brutalità.

Il Pd ha fatto la sua proposta di legge elettorale ma è il minimo sindacale.

Questo parlamento, questi partiti e movimenti sono organicamente incapaci di mettersi d’accordo su alcunché.

 

UN COLPO AL CERCHIO...

La Consulta (voto 5) ha voluto mantenere l’impianto maggioritario dell’Italicum però annacquandolo. Ha bocciato il ballottaggio ma non il vistoso premio di maggioranza alla lista che raggiunge il 40 per cento dei voti. Ha detto sì ai capilista bloccati, la cui soppressione era considerata da quei volponi di Bersani e Speranza (voto 4) una grande battaglia di libertà: ora tutti i leader di partito a cominciare da Matteo Renzi possono contare su un’arma formidabile per convincere i riottosi, se non è un uomo solo al comando poco ci manca. Il candidato eletto in più collegi non potrà più decidere da solo dove rimanere e dove ritirarsi, il seggio sarà estratto a sorte si presume senza notaio e questo ancora non s’era ancora mai visto.

Da decenni i candidati “pesanti” si presentavano in più collegi e se la sbrogliavano da soli senza che la Consulta trovasse qualcosa da ridire.

Da più di venti anni si ricorre al ballottaggio per eleggere i sindaci e anche su questo la Consulta non ha mai trovato nulla da ridire.

L’argomento per considerarlo questa volta illegittimo ha un che di splendidamente specioso: mancherebbe nella legge una soglia minima di partecipazione al secondo turno e la cosa va corretta perché premia la governabilità a scapito della rappresentanza.

 

IL TEMPO DELLE MELINE

La decisione della Corte ha innescato la grande melina, ora si aspettano le motivazioni e ci si divide tra chi vuole votare subito e chi invece in autunno o addirittura l’anno prossimo, alla scadenza naturale della legislatura. Basta leggere chi è pro e chi è contro per rendersi conto che è tutta una bufala. Vogliono votare subito, addirittura il 23 aprile, Salvini e Meloni e si presume Toti che ieri ha manifestato con loro in piazza a Roma. Ufficiosamente anche Renzi vorrebbe votare entro l’estate, gira la battuta che il segretario dem ogni giorno ricorda al governo che è a termine e al presidente del Consiglio che deve morire, come il frate faceva con Benigni e Troisi in “Non ci resta che piangere” (voto 10 e lode).

Anche Grillo dice di non aspettare altro che il voto ma il Raggigate e la maretta nel Movimento dovrebbero consigliare prudenza.

Vogliono votare nel 2018 Berlusconi, Alfano, centristi variegati, Sinistra italiana, estremisti de tout poil, antirenziani dell’interno, Bersani ha detto che non berrà qualsiasi legge elettorale pur di votare subito e siamo intesi. Si presume che anche D’Alema sia della partita. La minoranza vuole che il Pd e il governo si occupino di ben altro, che so lavoro, immigrazione, povertà, diseguaglianze. Sperèm che no, direbbe patron Rocco (voto 10): quando si fa poco in tanti anni e si vuole andare di fretta in pochi mesi di solito si fanno cazzate. 

I temporeggiatori hanno ovviamente il favore dei grandi giornali e degli osservatori che contano, da Paolo Mieli a Massimo Franco, il cui commento sul Corriere della Sera è inequivocabile, “le scorciatoie da evitare”.

Però che si voti in aprile a giugno a ottobre o nel 2018, cambierà poco, le intenzioni di voto sono più o meno stabili. Ai Cinque Stelle gli elettori sembrano perdonare ogni tipo di errore e di stravaganza. Non ci saranno spostamenti prima della sfida western tra Grillo e Renzi che il paese aspetta giusto per vedere come va a finire.

 

RENZI vs GRILLO O CHI PER LUI

Senza il ballottaggio Renzi rischia poco di fronte a Grillo e compagnia, il Pd è il solo partito in grado di costruire alleanze di governo credibili. Se le elezioni si terranno dopo giugno la campagna elettorale sarà a ragion veduta, conoscendo l’esito della presidenziale francese: l’eventuale sconfitta di Marine Le Pen darebbe un buon segnale a tutta l’Europa continentale.

Su Grillo o chi per lui pesa l’affare di Roma: magari poco ma comunque pesa. E’ arrivata la conferma definitiva che la Raggi è inadeguata anche nelle cose più piccole che fa. Quando ha ricevuto il mandato a comparire, ha detto “ho informato Beppe”, reazione infantile e patetica: è normale avere informato il proprio leader ma va detto in pubblico, sono cose che si risolvono privatamente. Se i 5 Stelle continuano a sostenerla, sarà la palla al piede del Movimento. Se la mollano dovranno spiegare perché non la base, non i militanti accreditati, ma Grillo stesso e Casaleggio sono così poco capaci di selezionare i candidati giusti.

 

TRUMP FA DANNI

La fusione tra comuni limitrofi sta scuotendo il Pd che l’ha incoraggiata e foraggiata nella regione Toscana. Quella già avvenuta in Valdarno tra Figline e Incisa non sta andando molto bene, le tasse locali sono schizzate ai massimi per gli abitanti nei due comuni e alcuni servizi sono stati tagliati.

Quella in fieri nel senese, tra i comuni di Montepulciano e Torrita, si sta rivelando complicata. Torrita non ne vuol sapere: gli oppositori hanno dato vita a un comitato Torrita first, per tutelare la storia, l’autonomia, l’identità dei torritesi. Piccoli Trump crescono anche nella Toscana felix.

  • Lanfranco Pace
  • Giornalista da tempo e per caso, crede che gli animali abbiano un'anima. Per proteggere i suoi, potrebbe anche chiedere un'ordinanza restrittiva contro Camillo Langone.