(foto LaPresse)

Manconi ci spiega perché il contratto di Grillo è contro la democrazia

David Allegranti

L’autoritarismo del M5s e la corrività di Travaglio & Co: "La pretesa di sottoporre un eletto al vincolo di mandato confligge in radice con uno dei fondamenti della politica democratica, liberale e pluralista"

Roma. Virginia Raggi è eleggibile, ha stabilito il tribunale di Roma, anche se ha firmato un contratto con Beppe Grillo e Casaleggio che secondo molti giuristi violerebbe l’articolo 67 della Costituzione sul divieto di vincolo di mandato. “La sentenza di ieri (martedì, ndr) non entra nel merito – dice al Foglio Luigi Manconi, senatore Pd e docente di sociologia dei processi politici – perché non era ciò su cui doveva rispondere in prima istanza. Forse avrebbe potuto, ma non era inevitabile che lo facesse. Tanto è vero che, qualora si andasse in tribunale, nel caso che un soggetto che pure avesse sottoscritto quel patto volesse non rispettarlo, questi vedrebbe certamente riconosciute le proprie buone ragioni”. Secondo la sentenza, semplicemente, “non c’è una previsione normativa che consenta di inserire quel contratto tra le cause di ineleggibilità. Ma ciò non lo rende necessariamente legittimo sotto il profilo costituzionale e sono convinto che il rifiuto di rispettarlo non porterebbe a una condanna”.

Sul fatto che quell’accordo sia incostituzionale non ci sono dubbi, dice Manconi, perché “la pretesa di sottoporre un eletto al vincolo di mandato confligge in radice con uno dei fondamenti della politica democratica, liberale e pluralista. Il trasformismo e i frequenti cambi di casacca non giustificano l’abbandono di un principio irrinunciabile, che non è né corporativo – con riferimento al ceto politico – né autoreferenziale, con riferimento alla sorte individuale del singolo parlamentare. Infatti l’articolo 67 non è solo destinato a tutelare l’indipendenza di ciascun parlamentare, ma si fonda su un altro essenziale valore: che ogni eletto risponde non in primo luogo al suo partito, ma all’insieme dell’elettorato. Ha, dunque, una legittimazione assai più ampia di quella dei soli votanti per il suo partito. Insomma, si tratta di un mandato più grande, non più piccolo”.

Certo, aggiunge Manconi, “può sembrare esclusivamente la tutela dell’autonomia individuale, cosa anche vera e che non mi ripugna affatto, ma soprattutto segnala come la responsabilità del parlamentare si debba misurare con l’intero elettorato, anche quando può esservi una discrasia rispetto all’orientamento del proprio partito. Attenzione: non dico che non si debba rispettare l’opinione di quest’ultimo, figuriamoci, ma ciò vale quando non entra in conflitto con la propria. In tal caso, il dissenso è valore preziosissimo”. I critici di questo principio di solito fanno un richiamo alla coerenza, ma, dice Manconi, “imporre il vincolo di mandato in nome della coerenza è un argomento scivolosissimo, perché con ciò si assegna al partito il ruolo di massima autorità morale e politica nel definire ciò che è coerente e ciò che non lo è. Siamo all’esaltazione della partitocrazia come categoria ideologica. Inoltre, nella storia di tutti i partiti, qualunque scissione o secessione o fuoriuscita dalla casa madre viene giustificata da parte di chi se ne allontana rivendicando la propria coerenza rispetto ai principi originari che quella stessa casa madre avrebbe tradito.

Si pensi a quei berlusconiani che hanno abbandonato Berlusconi perché secondo loro egli avrebbe tradito il berlusconismo autentico, quello delle origini. Ma vale per tutti i partiti e per tutti i movimenti”. Posto dunque che il M5s presenta tratti di incostituzionalità, non trova contraddittorio che ci sia chi, come Marco Travaglio, difende la Costituzione ma difende anche un Movimento contro la Costituzione? “Certo, c’è un’acutissima contraddizione. Anzi di più: corrività e indulgenza verso un movimento-partito che presenta significativi tratti autoritari. Il rancore diffuso, la voglia di rivalsa, l’ostilità non solo verso il ceto politico , ma verso la politica tutta come categoria dell’azione pubblica indeboliscono uno dei fondamenti dell’assetto costituzionale, che è appunto il principio di rappresentanza”. Finora la magistratura pare aver usato una certa cautela nei confronti dell’amministrazione romana. Zero fango nel ventilatore dei giornali (non c’è traccia di intercettazioni penalmente irrilevanti che di solito condiscono la letteratura giudiziaria). Ha anche lei questa impressione, senatore? “No. Ho avuto, piuttosto, una sensazione di neutralità verso i Cinque stelle. Certo, poi, non si può dire che la stessa neutralità sia stata applicata sempre nei confronti di tutti i partiti, ma non ci vedo un disegno”.

Di più su questi argomenti:
  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.