Beppe Grillo (foto LaPresse)

La farsa della democrazia diretta alla prova dei fatti: salta l'accordo tra Grillo e Verhofstadt

David Allegranti

A far cadere il patto fra "il politico che incarna l’euroStatocentrismo" – così era definito dai grillini nel 2015 – e il M5s ci hanno pensato i cari vecchi partiti, che hanno bersagliato il presidente, finché non ha dovuto cedere

Roma. Democrazia rappresentativa batte democrazia diretta. A nulla è servito il 78,5 per cento dei voti online espressi dai militanti grillini a favore dell’ingresso del M5s nell’Alde: l’accordo è saltato nel giro di mezza giornata, dopo una lunga serie di cortocircuiti e pernacchie rivolte a Guy Verhofstadt, uno degli “impresentabili” della perfida Bruxelles, “il politico che più dentro al Parlamento europeo incarna l’euroStatocentrismo”, così lo definiva il M5s nel 2015, (non vent’anni fa) prima della piroetta del fine settimana.

 

A far saltare il patto fra Verhofstadt – che peraltro nei giorno scorsi aveva lanciato la sua candidatura alla guida dell’Europarlamento – e Grillo ci hanno pensato i cari vecchi partiti, che hanno bersagliato il presidente dell’Alde, finché non ha dovuto cedere. L’unione fra uno schieramento fermamente europeista e un partito dichiaratamente anti-Bruxelles e a favore di un referendum per l’uscita dall’euro non era minimamente accettabile. D’altronde era stato lo stesso Verhofstadt, un paio d’anni fa, a giudicare “impossibile per ogni gruppo responsabile a favore dell’Europa prendere a bordo il M5s”.

 

La figura peggiore alla fine non l’ha fatta Grillo (ormai lo conosciamo bene: è il troll della politica italiana) ma Verhofstadt. Per tutta la giornata i vertici dell’Alde hanno sparato a stelle incatenate (quelle dell’Ue) contro lo “scellerato” accordo, poi saltato per mancanza di “garanzie per proseguire un percorso comune per riformare l’Europa”, ha detto a fine serata lo stesso Verhofstadt.

Sylvie Goulard, eurodeputata del partito centrista francese MoDem, autrice di molti saggi, tra cui “La democrazia in Europa”, scritto insieme a Mario Monti, si era detta contraria all’alleanza Alde-M5s: “Dodici stelle sono meglio di cinque”. La deputata ha ricordato che i Cinque Stelle siedono da due anni e mezzo all’Europarlamento insieme a Nigel Farage e all’Ukip Party, fautore del referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. E lo stesso Grillo aveva definito il risultato di quel referendum come uno “straordinario successo”. Un gruppo di giovani liberali italiani, tra cui Alessandro Fusacchia, già capo di gabinetto dell’ex ministro Stefania Giannini, si è subito schierato contro l’ingresso del M5s nell’Alde. “Mr. Verhofstadt, lasci stare. Non faccia accordi con Beppe Grillo. Non gli dia l’occasione di assassinare le nostre migliori speranze”, ha scritto Fusacchia insieme ad altri intellettuali. “Su tutte le principali questioni — dal lavoro all’immigrazione, dal commercio alla giustizia — c’è un divario enorme tra le vostre due forze in termini di valori e non solo di proposte politiche. Se vuole un esempio, prenda anche solo uno dei progetti europei più avanzati — la moneta unica. Siamo tutti d’accordo che la governance e le politiche dell’Eurozona richiedono una riforma seria, ma il M5S ha chiesto a più riprese un referendum per far uscire l’Italia dall’euro — cosa che rappresenterebbe un punto di non ritorno, capace di provocare un effetto domino che seppellirebbe una volta per tutte ogni prospettiva di integrazione a livello europeo”.

 

Per tutta la giornata le delegazioni dei paesi che fanno parte dell’Alde hanno opposto resistenza. Un brutto colpo per la democrazia del clic. Da Marielle de Sarnez, capodelegazione del Modem francese e vicepresidente dell’Alde, al partito liberale danese Ventre, ai liberali svedesi e finlandesi: tutti contrari. Un fuoco di fila che ha fatto naufragare l’accordo ben prima di un voto interno al gruppo, inizialmente previsto per stasera (sarebbero serviti 23 voti su 58) per far passare la modifica del gruppo. La più scatenata è stata proprio de Sarnez, che ha detto: “Con questa mossa Guy Verhofstadt ha perso quella piccola possibilità che aveva di fare un accordo con i socialisti e diventare presidente del Parlamento europeo. Inoltre, comunque andranno le cose, il gruppo Alde è come se non esistesse più”. “Farò di tutto per evitare questa scellerata alleanza”, aveva promesso la de Sarnez. Ce l’ha fatta. Bel colpo, Guy.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.