Beppe Grillo (foto LaPresse)

L'M5s e la logica che non c'è

Luciano Capone

“Svolta garantista” e “svolta europeista”. Le capriole di chi vuole dare un senso alle giravolte di Grillo

Roma. Dopo la “svolta garantista” arriva la “svolta europeista”. Un po’ come facevano i frati medievali con la formula “ego te baptizo piscem” – che trasformava la carne nel pesce del venerdì senza cambiarne la natura – così molti commentatori si sono affrettati a benedire come “garantiste” ed “europeiste” le presunte giravolte di Beppe Grillo e del Movimento 5 stelle, con l’intento – o la semplice speranza – di rendere il menù accettabile e commestibile. Se già all’epoca tutti sapevano bene che la carne battezzata pesce rimaneva sempre carne, ma faceva comodo pensare il contrario, oggi l’operazione di dissimulazione è ancora più complicata perché il battezzato può parlare e dice chiaramente di non essere né voler diventare pesce.

 

La decisione di Grillo – dopo trattative segrete – di cambiare gruppo al Parlamento europeo, passando dall’Efdd dell’antieuropeista Nigel Farage all’Alde dell’euroentusiasta Guy Verhofstadt, è stata accolta come una rivoluzione programmatica del M5s: pur nella sua incoerenza, Grillo finalmente abbandona l’oltranzismo, il populismo, l’antieuropeismo e si accomoda al tavolo della politica liberale e democratica. Saremmo insomma di fronte a un cambiamento strategico.

E’ il tentativo estremo di trovare un senso a qualcosa che, direbbe Vasco Rossi, un senso non ce l’ha. Solo due anni fa, quando Grillo aveva deciso di unirsi al gruppo nazionalista di Farage, presentò per la ratifica della sua scelta sul blog l’Alde come “il gruppo più europeista e federalista esistente al Parlamento europeo” (non era certo un complimento) che considerava “i sette punti per l’Europa del M5S come ‘completamente incompatibili con la loro agenda pro Europa’ definendo il M5s ‘profondamente anti europeo’ e il suo programma ‘irrealistico e populista’”. Così la scelta di unirsi a Farage venne ratificata con il 78 per cento dei voti. L’anno successivo, sempre sul blog di Grillo, il capogruppo dei liberali dell’Alde Guy Verhofstadt venne definito come “l’eurodeputato che colleziona poltrone”: “Guy Verhofstadt è il politico che di più dentro al Parlamento europeo incarna l’euroStatocentrismo”, è un amico dei lobbisti pieno di conflitti d’interesse. Dopo pochi mesi, in questi giorni, Grillo decide di lasciare Farage per entrare nella casa del poltronista Verhofstadt e il popolo degli iscritti conferma la sua volontà con il 78 per cento dei voti, esattamente la stessa percentuale che due anni prima aveva ratificato la linea pro-Farage.

 

Le contraddizioni in una virata del genere sono enormi, a partire dal fatto che l’accordo preliminare tra l’Alde e il M5s, basato sui princìpi della “trasparenza” e della “democrazia diretta”, è stato tenuto nascosto sia ai parlamentari che agli iscritti dei rispettivi partiti, compresi quelli che sono stati chiamati da Grillo a votare sulla nuova alleanza. Ma chi ha visto in queste giravolte una svolta politica in senso “liberale” e “europeista” del M5s è andato troppo oltre, sopravvalutando da un lato le capacità dell’Alde di “normalizzare” i propri membri (negli anni sono passati in quel gruppo Tonino Di Pietro, Luigi de Magistris, Gianni Vattimo e Giulietto Chiesa e nessuno è diventato più “normale” di prima) e dall’altro sottovalutando le dichiarazioni nette di Grillo sul tema. Il capo politico del M5s ha detto senza possibilità di essere frainteso che l’accordo – poi bocciato con un sussulto di dignità dai partiti liberali che compongono l’Alde – aveva come scopo la spartizione di fondi pubblici e poltrone, mantenendo “totale e indiscutibile autonomia di voto”. Luigi Di Maio ha ribadito la linea: “Siamo contrari agli Stati Uniti d’Europa nel lungo periodo e vogliamo subito un referendum sull’euro”. Così pure Manlio Di Stefano: “Il referendum sull’euro e la modifica della partecipazione all’Europa e alla Nato non dipendono dall’adesione all’Alde”.

 

Il patto tra Verhofstadt e Grillo era chiaro, uno aveva bisogno di un passaggio fino alla presidenza del Parlamento europeo e l’altro dei soldi per la benzina per far andare la sua macchina. Chi ci ha visto dell’altro e ha dato un senso politico “europeista” a un accordo di potere, è vittima dello stesso abbaglio sulla “svolta garantista” di qualche giorno fa. Quando un codice che parla di “presunzione di gravità” è stato visto come l’esaltazione del principio costituzionale della “presunzione d’innocenza”, quando un meccanismo in cui a decidere le espulsioni e le sanzioni è il Garante, che è anche Capo politico e che sceglie i Probiviri e il Comitato d’appello, è stato accolto come un sistema disegnato da Montesquieu. Il tentativo di dare un senso democratico e liberale alle trovate di Grillo è diventato talmente surreale che lo stesso comico si è ribellato: “Il codice di comportamento del M5s rappresenta una svolta garantista? Falso. E’ un’altra bufala di giornali e tv”.

 

Eppure c’è ancora chi è convinto che il battesimo del Grillo in pesce “garantista” ed “europeista” abbia funzionato.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali