Beppe Grillo (foto LaPresse)

Il garantismo grillino è una fake news

Claudio Cerasa

La battaglia di Grillo in difesa della post verità dice tutto sui professionisti delle bufale, che combattono non per la libertà d’espressione ma per difendere il diritto a sputtanare il prossimo. Anticorpi possibili e l’inganno del sacro blog

Il problema non è il virus, che c’è sempre stato, ma sono gli anticorpi, che ci sono sempre meno. Proviamo per un istante a riavvolgere il nastro e a mettere insieme alcuni passaggi importanti che tutti noi abbiamo osservato negli ultimi giorni: l’intervista di Andrea Orlando al Foglio, le parole di Giovanni Pitruzzella al Financial Times, la reazione di Beppe Grillo, il finto garantismo grillino. Il dibattito verte sempre intorno a quell’espressione, tanto orrenda quanto efficace, che coincide con due parole che ormai conosciamo a memoria: post verità. La centralità del dibattito sulle post verità non è legata al semplice fatto che il mondo è pieno di bufale – di notizie che non lo erano direbbe Luca Sofri – o che queste notizie, che un tempo venivano veicolate solo dai mezzi di informazione tradizionali, oggi vengono rilanciate anche dai mille canali della disintermediazione, in primis i social network. Le bufale esistono da sempre, non è questo il punto. Il tema vero sul quale vale la pena spendere qualche parola – uscendo fuori dal dibattito tecnico e poco appassionante sugli algoritmi che Facebook dovrebbe utilizzare per punire chi veicola informazioni false – non è quante bufale ci sono in giro, ma quanti anticorpi hanno le nostre società per evitare che delle bugie, delle non notizie, per il semplice fatto che siano diffuse divengano, fino a prova contraria, delle verità assolute, delle sentenze definitive, a volte delle condanne senza appello. Utilizziamo non a caso una terminologia processuale e giudiziaria perché, almeno per quanto riguarda l’Italia, il vero problema è questo e c’è un filo sottile che collega l’orrore della post verità con l’orrore della mala giustizia e anche con l’orrore del falso garantismo grillino – vedi lo spassoso codice di comportamento diffuso ieri dal movimento 5 stelle “in caso di coinvolgimento in vicende giudiziarie”.

 

Il vero problema, quando si parla di fake news, non sono le bufale ma sono le verità parziali che spesso vengono trasformate in super verità e che per questo costituiscono la categoria più pericolosa tra le post verità. Fateci caso: chi spaccia per “censura” il tentativo di arginare le post verità spesso è chi campa di post verità, di fango e di bufale. E non può sorprendere dunque che venerdì scorso sia stato proprio Beppe Grillo a sfruttare un’intervista non impeccabile di Giovanni Pitruzzella al Financial Times (ha proposto un network antibufale sulla rete senza specificare però quali sono i criteri per identificare le bufale, cosa che ha spiegato meglio ieri in un intervento sul Corriere della Sera) per denunciare un presunto attacco dei perfidi media tradizionali e dei diabolici politici tradizionali alla libertà della rete. Il post vale la pena di essere ripreso, perché il capo del Movimento 5 stelle ammette, involontariamente, di essere il leader di un partito politico che ha tanto ma tanto a cuore la difesa della post verità, e quel post ci dice molto anche sulla finta svolta grillina di ieri in materia di garantismo.

 

“Ora che nessuno legge più i giornali e anche chi li legge non crede alle loro balle – scrive Grillo – i nuovi inquisitori vogliono un tribunale per controllare internet e condannare chi li sputtana. Sono colpevole, venite a prendermi. Questo blog non smetterà mai di scrivere e la Rete non si fermerà con un tribunale. Bloccate un social? Ne fioriranno altri dieci che non riuscirete a controllare. Le vostre post-cazzate non ci fermeranno”. Il post di Grillo rappresenta una confessione clamorosa su quella che è la vera identità del M5s. Se il contratto sottoscritto con la Casaleggio Associati da Virginia Raggi ha avuto, lo straordinario merito di mettere a nudo la truffa costituzionale del partito di Grillo (la democrazia diretta non esiste, esiste una democrazia diretta da Grillo e da Davide Casaleggio che se ne fottono della Costituzione), il post con cui il comico genovese difende il diritto a sputtanare mette a nudo un’altra verità.

 

Grillo lo ammette tra le righe: la sua battaglia in difesa della post verità non è finalizzata a difendere la libertà di espressione (se Grillo fosse un appassionato di libertà di espressione non avrebbe espulso 18 deputati e 19 senatori in tre anni di legislatura, senza contare i Pizzarotti locali, e non farebbe fotomontaggi con immagini della gogna con le facce dei parlamentari degli altri partiti), ma è finalizzata a difendere il diritto a sputtanare chi si vuole e come si vuole senza doverne pagare le conseguenze. Grillo, dunque, non difende il diritto che hanno tutti a manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione (articolo 21 della Costituzione). Grillo sostiene piuttosto il principio (truffaldino) che sia doveroso difendere il diritto di ciascuno di noi a giocare indisturbati con il fango. Il tutto in un paese dominato dall’egemonia dell’essere colpevoli fino a prova a contraria e privo degli anticorpi necessari che servirebbero non solo a combattere le bufale ma anche a circoscrivere il raggio di azione che possono avere le infamie. La difesa del diritto a sputtanare viene abilmente mascherato con la difesa dello strumento simbolo della nuova democrazia – la rete non si tocca, internet non si censura – e nel farlo i cantori della post verità cadono in una seconda trappola, scegliendo di usare un’espressione particolare per sintetizzare la nuova grande battaglia per la libertà: #nobavaglio.

 

La stessa espressione che non a caso viene periodicamente utilizzata in Italia (spesso accompagnata da mille post-it colorati di giallo e molti amici di Roberto Saviano che si fanno fotografare con un fazzoletto bianco infilato nella bocca) per difendere un’altra pseudo libertà: la libertà di pubblicare ogni schizzo di fango anche non penalmente rilevante infilato come un bignè dai magistrati nei fascicoli giudiziari. Il meccanismo con cui si difende la possibilità di sputtanare chiunque utilizzando le bufale della post verità è lo stesso con cui si difende la possibilità di sputtanare utilizzando le non verità contenute nei brogliacci giudiziari: si è sempre colpevoli di aver detto o fatto qualcosa di molto grave fino a prova contraria e si è sempre molto attenti a considerare dei collusi con il crimine o dei censori della libertà tutti coloro che si azzardano a chiedere un’attenzione non tanto nel riportare la verità (la verità non esiste, esistono verità parziali, punti di vista, ed è una post verità anche dire io conosco la verità) quanto a riportare le notizie con equilibrio o quantomeno nel rispetto delle leggi. In questo senso, non stupisce che nel corso della campagna referendaria in difesa della Costituzione più bella del mondo il grillino più impegnato a difendere la Carta, Alessandro Di Battista, abbia ammesso di non ricordarsi cosa prevede l’articolo 27 della Costituzione (“L’imputato non è considerato colpevole fino a condanna definitiva”). E non stupisce neppure che ieri il Movimento 5 stelle, emanando un suo personale decreto salva Raggi, abbia scelto di sposare una particolare forma di garantismo che prevede un principio spassoso. Leggiamo dal sacro blog: “La ricezione, da parte del portavoce, di ‘informazioni di garanzia’ o di un ‘avviso di conclusione delle indagini’ non comporta alcuna automatica valutazione di gravità dei comportamenti potenzialmente tenuti dal portavoce stesso”.

 

In pratica se gli indagati sono esponenti del Movimento 5 stelle, il garantismo non è automaticamente un gargarismo. Se gli indagati non sono del Movimento 5 stelle, vale sempre il diritto di infangare, di sputtanare, di infilare la post verità nel ventilatore del fango quotidiano e di passare come una ruspa sopra l’articolo 27 della Costituzione più bella del mondo. La bufala è evidente: non è la Costituzione a regolare i meccanismi giuridici che tutelano un indagato ma è il tribunale della post verità grillina (la democrazia diretta da un blog solo al comando e da un’azienda privata) che decide quando il garantismo è un gargarismo e quando invece non lo è. E quando insomma qualcuno merita di essere sputtanato (chi non è un grillino) e quando invece no (chi è grillino). Il rigido regime delle post verità e delle super verità, almeno per quanto riguarda il nostro paese, prevede infine un passaggio ulteriore che non vi sarà difficile riscontrare nella realtà: chi campa di post verità, di semibufale, di schizzi di fango, tende a considerarsi custode unico della verità; e tende a delegittimare, attraverso fatwe politiche, giornalistiche e spesso anche giudiziarie, chiunque si azzardi a mettere in discussione la super verità dei professionisti della gogna. L’inquisizione (che spettacolo questa democrazia diretta che si nasconde dietro la grandezza della rete per camuffare il suo istinto totalitario) non si può permettere il dissenso per una ragione semplice: la super verità – specie se costruita su una post verità – è vera a prescindere e va al di là di tutto, anche al di là di una notizia che non lo era, di una smentita, di una assoluzione. Il bello della gogna, humus sul quale si sviluppa con maggiore facilità il meccanismo dell’infamia tipico della post verità, è che ciò che si dice non importa se sia vero o no: importa solo che diventi virale, perché dal momento che una non-notizia viene condivisa qualcosa rimarrà, e non conta se sia vera o no, conta solo che sia stata detta, che sia stata condivisa. Beppe Grillo dunque non va condannato per aver ammesso di essere l’apostolo della difesa delle bufale.

 

Se al suo partito si tolgono le post verità, le teorie del complotto sull’11 settembre, le leggende metropolitane sui vaccini, i microchip sottopelle, l’esistenza delle sirene, il pericolo dell’olio tunisino, le scie chimiche, l’idea che dietro le stragi degli anni di piombo ci sia il Bilderberg, la convinzione che lo sbarco sulla Luna sia stato una finzione della Cia, la certezza che gli screening, gli esami e le diagnosi precoci sul tumore siano pericolosi (è tutto un magna magna), la persuasione che l’Aids sia la più grande bufala del secolo, in fondo non rimane molto. E dal suo punto di vista – “le vostre post-cazzate non ci fermeranno!” – il comico genovese fa bene a essere geloso del diritto a sparare post verità come se fossero botti di Capodanno.

 

Il processo alle post verità offre dunque molti elementi di riflessione ma presenta alcuni punti fermi che vale la pena sintetizzare: le bufale ci sono sempre, ci saranno sempre di più e andranno monitorate sempre meglio. Ovvio. Ma più che concentrarsi sulle fake news forse vale la pena aprire gli occhi e capire chi è che, spacciandosi per difensore della libertà di espressione, non fa altro che spendersi per impedire che l’Italia si vaccini contro il virus della gogna. E anche il garantismo grillino – tutti colpevoli fino a prova contraria tranne i figli politici della Casaleggio Associati – altro non è che una bufala, un’altra meravigliosa post verità: non è la Costituzione più bella del mondo a definire il perimetro del garantismo (articolo 27) ma è il sacro blog di Beppe Grillo a dire quando il garantismo può essere usato come un gargarismo e quando no. La democrazia delle bufale si costruisce anche così.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.