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La diseguaglianza salverà il mondo

Giuliano Ferrara

Trump, l’Europa e noi. Lo sviluppo è sempre portatore di ineguaglianza, dipende quale. Che armi hanno le élite contro i professionisti della rivolta? Ascoltate Deaton

Angus Deaton è un Nobel 2015 corpacciuto, scozzese e americano, che si è appena ritirato dall’insegnamento a Princeton. A un anno dall’elezione di Donald Trump aveva reso nota una ricerca, elaborata con la moglie Anne Case, in cui si dimostra che moltissima gente in America sta male, molto male, che il suicidio da disperazione, nel suo incremento tra i bianchi della middle class decaduta, ha una spiegazione per lo meno statistica o demoscopica. Ovviamente non tutti coloro che hanno votato per Trump stanno così male ma una larghissima maggioranza tra quelli che stanno così male lo ha votato. E’ stato un caso non solo accademico, unito ad altre ricerche demoscopiche e inchieste giornalistiche, un caso trattato con gran clamore in particolare dopo la vittoria del billionaire newyorchese, ma anche in anticipo sul fatto a misurazione del fenomeno incipiente.

 


Angus Deaton (foto LaPresse)


  

Conversando con Shawn Donnan del Financial Times, Deaton sostiene che all’origine della relazione statistica tra disperazione di vita e voto, e della percentuale anomala dei suicidi, non sta genericamente la globalizzazione economica e la sua ricaduta su segmenti del mondo ex affluente, una concausa da non misconoscere senza sopravvalutarla, bensì gli oppiacei e altri intossicanti che danno assuefazione prescritti con eccessiva larghezza da una classe medica e da una farmaceutica imprudente e incompetente. Deaton difende i mercati aperti e la società aperta, e dice con un understatement che troverebbe “difficile” negare il valore di quel miliardo di esseri umani fino ad ora salvato dalla miseria grazie allo sviluppo globale e globalizzato. Ma da nipote di un minatore, da outsider scozzese, ché gli scozzesi lo sono ovunque vadano, ha un sentimento di vicinanza alla frazione di popolo sconfitta negli ultimi decenni, ora in rivolta aperta contro l’arroganza delle élite. Li capisce e, nonostante sia ormai personalmente parte del top delle classi dirigenti, sa che cosa provano nell’esclusione sociale.

 

 

Il risentimento che si è palesato con la Brexit, gli arrembanti fenomeni di rivolta sociale in Europa e con Trump non dipendono dalle disuguaglianze di reddito, non propriamente dalla logica dell’un per cento degli Occupy Wall Street, quella della diseguaglianza dei miliardari non impressiona nessuno, per lo meno al di fuori della sinistra radicale, sennò non si capirebbe la popolarità di un The Donald: il problema è la diseguaglianza nel contare e nel pesare sulle decisioni. L’idea diffusa è che le corporation hanno comprato il potere centrale e lo condizionano, associata al fatto che la gente non è più rappresentata, c’è la crisi dei sindacati e di altri corpi intermedi, c’è il fatto che gli Obama e i Clinton, questi ultimi in particolare, sono dei professional, non dei leader socialmente rappresentativi, non sono parte del popolo, pretendono di gestire politiche per il popolo, nel segno dell’interesse del popolo, che è altra cosa. Questo forse dice qualcosa anche del caso italiano del No. Renzi è un professional, con il fuoco politico nella pancia, non tecnocratico come origine, ma è un professional o come tale è percepito, forgiato come è nella e dalla comunicazione, e perfino il suo popolare e cooperativo ministro del Lavoro, il Poletti, fa figura come abbiamo visto di marziano lontano dal popolo (dichiarazioni incaute su giovani e lavoro, ma qualcosa vorranno pur dire).

 

Lo sviluppo è sempre portatore di ineguaglianza, ma dipende quale. Deaton a parte, Karl Marx diceva com’è noto che l’essere sociale determina la coscienza di classe. Sostituiamo alla nozione antiquata di coscienza di classe lo stato d’animo popolare in una democrazia di massa con la mobilità sociale incrinata, la concorrenza bloccata o senza regole, le diseguaglianze di potere, e la miscela in tempi di crescita lenta per tanti è bella che preparata. Il microfenomeno italo-grillino sembrerebbe in controtendenza, perché il comico e il Casaleggio rappresentano i loro ma solo virtualmente, attraverso la mistica più che la pratica dell’organizzazione in rete, eppure l’uomo solo al comando, il fenomeno televisivo, la celebrity milionaria, ecco, è comunque una figura distante da quella dei professional, i veri nemici contro cui sale l’onda.

 

Ora, per concludere, bisogna domandarsi se la globalizzazione possa, senza i professional, modificare quel che c’è da modificare (e non è poco se si pensi alle tecnologie, visto che l’intelligenza artificiale dei robot è in procinto di moltiplicare per dieci, per cento, certi effetti destabilizzanti sulla sicurezza e diffusione del lavoro umano sociale); e se, senza i professional, si possa far girare il mondo per il verso auspicabile dell’integrazione e della concorrenza che libera e fa ricchi o ci si debba rassegnare al ritorno di nazione, protezione, inflazione patologica, miseria vera e decrescita violenta e violenze nuove da decrescita e da ristabilimento di frontiere e blocchi. Senza le élite credo non si vada da nessuna parte, ma sono le élite a dover dimostrare di essere padrone del campo e non succubi della comunicazione di massa e dei suoi meccanismi di democrazia infernale, il che mi parrebbe piuttosto complicato. Vedremo, e incrociamo le dita con tutto l’ottimismo del caso.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.