Mark Zuckerberg (foto LaPresse)

Clamorosa ammissione di Zuckerberg

Redazione

“Facebook è una media company”, dice il ceo. Ma c’è una postilla

Ci è voluta la più grande tempesta mediatica della sua storia per costringere Facebook all’ammissione. Una mezza ammissione a dire la verità, che lascia spazio a praterie d’interpretazioni, ma il risultato resta comunque notevole. Se fino a poche settimane fa il ceo Mark Zuckerberg negava con forza che Facebook fosse una “media company”, vale a dire una società con responsabilità editoriale, quale dovrebbe essere il principale distributore di notizie del mondo, il disastro delle “fake news” e la messa sotto accusa dell’algoritmo gli hanno fatto cambiare idea. “Facebook è un nuovo tipo di piattaforma”, ha detto il ceo durante una trasmissione live di fine anno con il suo direttore operativo Sheryl Sandberg.

 

“Non è una compagnia tecnologica tradizionale. Non è una media company tradizionale”. Rispetto alla versione di quest’estate, secondo cui Facebook era una compagnia tecnologica punto e basta, la differenza è abissale. Ma il diavolo si nasconde in quel “non tradizionale”, che significa, immaginiamo, un’assunzione di responsabilità limitata e non vincolata da leggi pensate per l’editoria. Resta da vedere, insomma, fino a che punto l’ammissione di Zuck sia cosmetica. Se non lo fosse, sarebbe una rivoluzione copernicana in tutto il mondo della tecnologia, che coinvolgerebbe anche Google, Twitter e altri. Ma gli esperti sono scettici. Facebook ha costruito una delle più impressionanti macchine da soldi del mondo grazie ai meccanismi che producono (in piccola parte) le fake news. Per cambiare, avrà bisogno di incentivi, non solo di buoni propositi.

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