Virginia Raggi durante la conferenza stampa di ieri in Campidoglio (foto LaPresse)

Duecento giorni da Raggi

Marianna Rizzini

Dal trionfo elettorale di giugno all’arresto di Raffaele Marra. I sei mesi che sconvolsero Roma

Tanti piccoli giorni del giudizio, uno dietro l’altro, che portano Roma a un venerdì nero. E lunedì le dimissioni dell’assessore Paola Muraro indagata, e giovedì le perquisizioni in Campidoglio, e venerdì l’arresto del capo del personale ed ex vicecapo di Gabinetto Raffaele Marra, con il sindaco Virginia Raggi che convoca una conferenza stampa per dire che lei non si dimette e va avanti, anche se “le dispiace” di essersi “forse sbagliata” a fidarsi di Marra – non un “dirigente politico” del M5s, ripete due volte, ma uno dei tremila “dipendenti” del comune, e non un braccio destro, dice, ché il suo braccio destro sono i cittadini romani. Le dispiace, sì, le dispiace per il Movimento e pure per Beppe Grillo che aveva sollevato “qualche perplessità”, e in quella frase c’è tutta l’allusione alla lotta interna e fratricida – due anime nel Movimento romano e di riflesso in quello nazionale, tanto che subito, nel M5s e sulla pagina Facebook del sindaco, compaiono commenti non proprio empatici. Qualcuno dice che aveva ragione Roberta Lombardi, deputato Cinque stelle e nemica numero uno di Raggi fin dai tempi della corsa alla nomination per “cittadino a cinque stelle in gara per la corsa a primo cittadino di Roma”, con Lombardi a sostenere Marcello De Vito, ora presidente dell’Aula ma nel 2013 candidato sindaco per l’M5s (“… chi ha sbeffeggiato e isolato i nostri portavoce che tentavano di risolvere il caso Marra chieda scusa e faccia un passo indietro…”, scrive su Twitter la deputata Dalila Nesci, prima che Lombardi, colei che aveva definito Marra “il virus che infetta il Movimento”, parli direttamente (“fiera di stare dalla parte giusta”) e la senatrice Paola Taverna rincari al grido “chiedere scusa non basta”.

 

C’è poi il senatore Nicola Morra che sottolinea l’ovvio per il Movimento degli autodenominati Buoni&Giusti (“… dal M5s non si può che pretendere rigore”), e c’è Roberto Fico, deputato e presidente della Vigilanza Rai – che in tanti contrappongono a Luigi Di Maio nella corsa interna a candidato premier – intento a dire, prima di recarsi da Beppe Grillo, che “senza dubbio l’arresto di Marra è una cosa gravissima”, e già la frase è abbastanza per far sospettare l’esistenza di un sottinteso (della serie: cara Virginia adesso tocca a te metterci la faccia). Anche dall’esterno, dal campo di chi ai Cinque stelle non ha mai guardato con sospetto (semmai con leggero antagonismo per la conquista degli stessi elettori), arrivano parole non di miele: il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, a commento dell’arresto di Marra, sembra voler fare un distinguo (“ … non entro nel merito delle vicende, posso però dire che Napoli oggi sul tema della questione morale è schierata in prima linea, non a parole ma con i fatti…”). E Piercamillo Davigo, presidente Anm dal piglio robespierriano, adorato dalla base Cinque stelle, pur non parlando direttamente del caso Roma se ne esce con discorsi del tipo: non bisogna aspettare la sentenza per allontanare il politico in sospetto di corruzione. “… Sostengo da almeno 25 anni che la presunzione di innocenza ha senso nel processo penale, non c’entra nei rapporti sociali… la giustizia è una virtù cardinale, ma anche la prudenza…”, dice Davigo (e nel M5s la fronda anti Raggi ci vede una conferma ex post della propria linea: Raggi doveva allontanare Marra, e anche sul caso Muraro ha sbagliato ad aspettare l’avviso di garanzia). E mentre, sulla pagina Facebook del sindaco di Roma, qualcuno chiede “perché hai voluto Marra a tutti i costi?”, con contorno di dubbi sul passato politico del capo del personale (area Alemanno) e sul fantomatico legame tra Raggi e gli ambienti della destra romana, gli amici sembrano latitare.

 

Per leggere parole meno dure bisogna paradossalmente attendere il post dell’ex candidato sindaco pd e avversario elettorale di Virginia Raggi Roberto Giachetti, garantista storico: “Cari amici, so che vi deluderò ma non provo nessuna euforia e nessuna soddisfazione per quanto accade…in queste ore”, scrive Giachetti, “…il dato più clamoroso che emerge è un altro colpo durissimo alla politica, alla sua nobiltà, alla sua credibilità, alla sua bellezza. Quello che più mi preoccupa in questo momento è il sentimento di frustrazione e di delusione che colpirà centinaia di migliaia di persone che avevano investito nell’opzione politica a 5 stelle come speranza di un cambiamento positivo… Chi si illude che il prezzo di questa frustrazione e di questa delusione lo pagherà solo il Movimento di Grillo si sbaglia, e di grosso… Non mi unisco… al coro di chi chiede le dimissioni della Sindaca… Un avviso di garanzia è e deve rimanere un atto di tutela per chi viene indagato, non una condanna preventiva e sommaria come ormai puntualmente accade…”. Ma le parole di Giachetti nulla possono contro la campagna anti-Raggi interna al M5s. Obiettivo: non solo il sindaco (per i suoi tormentati duecento primi giorni, costellati di dimissioni e discussioni (in quanto tali possibile zavorra mediatica in caso di elezioni politiche anticipate), quanto il Luigi Di Maio che, sul caso Roma, è stato considerato, dall’ala ortodossa del M5s, eccessivamente cauto (specie a fine estate, riguardo alle indagini sull’assessore Muraro). Il giorno dell’arresto di Marra non diventa, dunque, giorno di autosospensione del sindaco come nella Milano in cui il sindaco di centrosinistra Beppe Sala si auto-congela per le indagini sugli appalti Expo. Ma la settimana che per i Cinque stelle doveva essere di baldanza, sulla scorta della vittoria del No al referendum, si chiude nella preoccupazione e nella mestizia.

 

Ad appena dieci giorni dalla sconfitta del Sì, infatti, e con in mezzo le dimissioni e l’arrivederci dell’ex premier Matteo Renzi, i Cinque Stelle, causa disastro a Roma, non possono passare all’incasso in quel di Siena, con flashmob davanti al Monte Paschi (annullato ieri). Né possono lanciare la mirabolante pre-campagna elettoral-governativa, con Alessandro Di Battista l’ex Altermondialista che parla serio di “visione del credito”, mettendo nel cassetto per un giorno il tono elegiaco da uomo che ha camminato per le Americhe, e con Luigi Di Maio e Roberto Fico che completano, con sfumature diverse (l’Istituzionale e l’Ortodosso) il quadretto da “tre tenori” sul palco. Non si può neppure accusare l’universo mondo su Facebook, questa settimana, e anzi tocca fare il famoso passo indietro, tanto che Beppe Grillo si mette per tutta la mattina del venerdì nero in pausa di riflessione all’Hotel Forum. Su Roma è scesa un’aria cupa. Aria terribile fin da tre notti prima, quando il sindaco Raggi era apparsa in orario da festa in discoteca (quasi le due di notte) ma con sguardo funereo, su sfondo di natura morta di consiglieri a Cinque Stelle, per annunciare le dimissioni dell’assessore all’Ambiente Paola Muraro, colei che da mesi era sotto l’occhio della magistratura ma sulla quale si era esercitato l’inedito garantismo a Cinque Stelle (a intermittenza). Ma ieri il sindaco Raggi si ritrovava non solo a incarnare l’aforisma di Pietro Nenni – a fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro che ti epura – ma anche a cercare formule più pirotecniche di quelle di Grillo (che se ne usciva con la frase “Marra era solo un tecnico, non fa parte del Movimento. Dobbiamo sostenere Virginia, non abbiamo altra scelta”, poi tradotto da Virginia nel suddetto ritornello del Marra “dipendente del Comune”). Nell’ora più nera, mentre sui social network si scatenava la furia dell’indignazione cieca – della serie: alla prima che fai sei morto, visto che ti professavi senza macchia – la Giunta a Cinque Stelle pareva uscire barcollante dal “tagliando” dei primi sei mesi di passione, suggellati dall’arresto del braccio destro del sindaco, su sfondo di albero di Natale non alto e non brillantissimo.

 

E, a voler andare indietro nel tempo, non pare vero. Non pare vero che la donna che la notte del primo turno a Roma (5-6 giugno 2016) compariva in pubblico come una specie di statuetta dei miracoli (prima con il 35 per cento dei consensi), attorniata dai compagni e anche dai futuri nemici in un cortile del quartiere Ostiense, poi sarebbe diventata elemento divisivo e possibile punto dolente, in prospettiva, della campagna elettorale politica ( 2017 o 2018). Quella notte, anche le parlamentari poi anti-Raggi come Carla Ruocco erano accorse alla prima conferenza stampa on-the road, e tutti, dai Di Maio ai Fico ai Di Battista, si erano fatti vedere concordi nel dare sostegno, a parole, al miracolo Raggi medesimo. E lei, il candidato sindaco in vantaggio, pronta al ballottaggio con Roberto Giachetti, veniva descritta come la ex consigliera comunale che già dalla fine del 2015, al deflagrare del caso Marino, non temeva di dire la frase auto-motivazionale “metteteci alla prova”. Frase che oggi, chissà, qualcuno vorrebbe farle rimangiare, tanto la prova è stata dura. Ma in quella notte di giugno l’altro famoso (o famigerato) mondo pareva possibile, e tanto bastava a creare l’illusione ottica dei Cinque Stelle uniti dietro una grata da parcheggio, sempre al quartiere Ostiense, immagine che plasticamente restituiva l’idea del “noi puri” contro “loro gli impuri”.

 

Dopo due settimane di giri per quartieri e duelli Raggi-Giachetti, Raggi diventava sindaco della Roma ex commissariata (sotto il prefetto Tronca, dopo lo scoppio del caso Marino), e innalzava il suo 67 per cento dei voti del 19 giugno come investitura “dal basso”, sottolineata con tour nelle periferie, tra cassonetti, sterpaglie, incendi e bambini-prodigio nell’inseguimento topi. E però, sulla scrivania del sindaco “dal basso”, presto pioveva (21-22 giugno), il dossier “municipalizzate”. Che fare? E come farsi percepire dall’elettorato in attesa di altri miracoli, dopo mesi in cui i Cinque Stelle, a Roma, si erano fatti vedere dalla parte dei dipendenti Atac (società di cui, una volta al governo della città, bisognava però risolvere i problemi)? Delle due l’una: essere efficienti e scontentare i cittadini in luna di miele o cercare di non scontentare nessuno, evitando però di essere tacciati poi d’inefficienza. Ma Raggi aveva prima un altro problema urgente a cui pensare (e, visto il doppio caso Muraro-Marra si potrebbe dire: tuttora irrisolto, quello delle nomine). Come fanno, i cittadini-dal-basso, a nominare qualcuno di minimamente esperto? Di chi fidarsi? E infatti, in quei giorni di neo-mandato e di prima estate, non si sapeva bene come fare e chi nominare. Primo ostacolo: dove mettere il fedelissimo di Raggi ed ex consigliere comunale Daniele Frongia? Si pensa inizialmente alla carica di capo di Gabinetto. Solo che Frongia è incompatibile.

 

A quel punto viene nominato Raffaele Marra nella carica di vice (con potere di firma-atti), nonostante la provenienza non grillina ma alemanniana del medesimo. Contestualmente, la sindaca viene affiancata (qualcuno poi dirà “commissariata”) dal cosiddetto “minidirettorio”, all’inizio composto da Roberta Lombardi, Paola Taverna, Fabio Massimo Castaldo e Gianluca Perilli (Roberta Lombardi si sfilerà in luglio, gli altri si dimetteranno in settembre). Marra (che poi diventerà capo del Personale) viene “congelato”, ma sul posto di capo di Gabinetto si scatena una nuova lotta. Viene nominata la giudice Carla Romana Raineri, su suggerimento dell’assessore al Bilancio Marcello Minenna. Sembra tutto risolto, invece è solo una fragile tregua estiva. Il primo settembre, infatti, Minenna e Raineri si dimettono, assieme ai nuovi vertici di Ama e Atac (era successo nel frattempo che il sindaco – e Marra – avevano chiesto all’Anticorruzione un parere sulla nomina della Raineri. L’Anac aveva detto che la procedura di nomina era errata. Erano seguite appunto le dimissioni di Raineri e, per motivi connessi ma anche indipendenti, di Minenna e degli altri). E’ l’ìnizio della crisi, aggravata dal caso Muraro: l’assessore all’Ambiente fa sapere al sindaco di essere sotto indagine, ma a quel punto non si capisce più chi sa e chi no: il minidirettorio o il direttorio o tutti o nessuno? Qualche ammissione forzata, poi il lavacro pubblico in quel di Nettuno, sul palco dove Luigi Di Maio, l’uomo che forse aveva mal interpretato una mail in cui lo si informava dell’indagine, dovrà ammettere di aver “sottovalutato il caso Muraro”.

 

A quel punto, giunto Beppe Grillo a Roma, si affrontava anche il tema del Marra congelato (e spostato appunto al Personale, da cui agirà assumendo 1100 maestre precarie e sbloccando il concorso per la Polizia locale). Era l’8 settembre (di nome e di fatto), e Marra diventava “il” mistero della giunta: perché lui? perché un uomo degli anni Alemanno-Polverini, passato indenne, con processo di inabissamento carsico, attraverso la consiliatura Marino, e arrivato al vertice comunale con i Cinque Stelle? E perché Raggi lo difende? Neanche il tempo di riflettere e spunta un altro problema, quello del nuovo assessore al Bilancio, il giudice Raffaele De Dominicis (che confessa in un’intervista di essere stato consigliato a Raggi dallo studio Sammarco, studio dove il sindaco aveva lavorato). Apriti cielo: le polemiche conseguenti fanno saltare la nomina. Tra un impaccio e l’altro, il punto politico rilevante dell’estate e del primo autunno è il “no” alla candidatura olimpica e la firma del protocollo per il Grab (grande raccordo delle biciclette). Arriva ottobre e il sindaco, intervistato dal direttore di Repubblica Mario Calabresi, promette di risolvere i disastri su rifiuti e trasporti, ma dice una frase che le costerà lunga derisione via social network: “…noi ora ci troviamo a smuovere una montagna…certo ci vuole un po’ di tempo. Poi devo dire che non ho mai visto tanti rifiuti pesanti, divani, frigoriferi abbandonati per strada. Non so se vengono fatti dei traslochi, se tanta gente sta rinnovando casa, ma è strano…”.

 

Da lì al titolo sarcastico su Facebook e Twitter (“complotto dei frigoriferi”) il passo è breve. Ma Raggi non si scompone, nonostante il M5s sia già in parte borbottante sul suo conto. Anzi: la campagna referendaria la vede in prima linea (il 26 novembre il sindaco guida il corteo romano e regala un cuore rosso gonfiabile al Beppe Grillo camminatore per la Costituzione; il 29 novembre viene approvata in Comune la mozione dei Cinque Stelle per il No). Ma i casi Muraro e Marra incombono. Il resto è storia di ieri, con la contestazione a Marra del reato di corruzione in concorso con l’imprenditore Sergio Scarpellini. E mentre su Twitter corre l’hashtag (per nulla garantista) del #Raggi dimettiti, dal composto sito di Micromega (un tempo amico dei Cinque Stelle, poi osservatore critico ma non distante) giunge la domanda: “Perché il M5s si vuole suicidare a Roma tramite la fascio-partitocrazia?”. E Grillo? Grillo non può fare il Mangiafuoco, asserragliato com’è in hotel a Roma. Lo descrivono come “furente”, ma determinato a “non mollare il sindaco”. Roma non può essere persa (ma che cosa succederà, è la domanda che corre sul web, se al primo cittadino dovesse arrivare un avviso di garanzia)?

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.